sabato 21 settembre 2019

Mariti da ospedale

Ieri c'è stata una riorganizzazione del reparto e mi hanno trasferito in un'altra stanza, in attesa del passaggio al piano di sotto, nel reparto di riabilitazione, previsto per lunedì.
Speravo tanto di poter fare la riabilitazione a Portogruaro, ma l'assistente del professore è stata chiara: "Signora, lei ha avuto un intervento della Madonna, vogliamo tenerla d'occhio fino a quando saremo sicuri che non ci siano rischi di infezione."
Rischi che peraltro si sono già concretizzati: il punto malefico ha iniziato a spurgare e ieri siamo partiti con una copertura antibiotica ad ampio spettro, in attesa dell'esame batteriologico. Non entro nei dettagli della medicazione, vi dico solo che una delle OSS, impietosita, si è avvicinata al letto e mi ha tenuto la mano finché hanno finito.
Certo che sarebbe carino se qualche rogna ogni tanto mi fosse risparmiata.

Nuova camera dunque, letto numero 15, vicino alla finestra. Addio alla signora serba, senza troppi rimpianti, e primo contatto con una nuova compagna di stanza, una signora pugliese molto energica e volitiva, ma per nulla invadente o molesta. Ad assisterla c'è il marito, un omino piccolo piccolo e tanto gentile.

Mi avvicino ai sette mesi di degenza nel corso di quest'anno, un periodo lunghissimo e faticoso, che mi ha offerto molte opportunità di osservare da vicino la vita ospedaliera. Non ricordo nemmeno quanti mariti ho visto venire a trovare la moglie.
Uno non l'ho nemmeno mai visto, ma ne ho sentito la voce, a Milano. La moglie aveva reagito male all'anestesia, era confusa e continuava a cercare di alzarsi, togliere flebo e drenaggi, e lui cercava di calmarla, la pregava, le spiegava e quando arriva a al limite della sopportazione, bestemmiava piangendo.
Ricordo bene gli occhi lucidi del marito di Vampiro quando gli ho fatto notare quanto lei fosse migliorata dopo l'ictus. Il marito di Trombone che le teneva la mano. I baci tenerissimi del marito di TopoRisorto, che ogni volta le chiedeva di tornare a casa.
Mariti diversi, storie diverse.
Ma in tutti ho trovato la stessa espressione: un misto di preoccupazione per la salute della compagna di vita e di smarrimento per non averla al proprio fianco come al solito. Fanno tanta tenerezza.
Sì arrabattano con faccende a cui non sono abituati, hanno difficoltà a trovare la biancheria nei cassetti, sono spaventati dal vuoto che sentono accanto. Cercano di rendersi utili in ogni modo, mandano giù il groppo di paura che c'è in gola per tirare fuori un sorriso, e non ti preoccupare, a casa tutto bene, ho bagnato le piante e mangio, sì, e tua sorella è venuta a prendere la roba da stirare, io lo sai che non sono capace.
E dietro a ogni parola, a ogni gesto, a ogni sguardo c'è una preghiera struggente: mi manchi tanto, torna presto.


8 commenti:

  1. Le stesse impressioni che ho avuto io in tanti anni di ambulatorio. Mariti (ma anche mogli) sorridenti e tranquilli durante la visita, che poi rientravano in ambulatorio con una scusa e -con le lacrime agli occhi- mi chiedevano conferma sul fatto che DAVVERO andasse tutto bene come avevo detto. O che mi chiedevano "Cosa devo aspettarmi?" dopo che era stato trovato un problema. Tranne poi rimettersi la maschera delal perfetta serenità appena il coniuge si faceva vedere.
    Da qui la mia convinzione che spesso è peggio essere il coniuge che il diretto interessato. Il malato sa che cosa gli sta succedendo in ogni momento, il coniuge sta lì a spiare ogni segno e si chiede "Cosa le/gli sta succedendo adesso? ma sta bene o finge? Quanto sta male?" Soprattutto "Che cosa posso fare?" e -se la risposta è "Niente di più", segue lo scoramento.

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    1. Io sono da sempre fermamente convinta che a chi accompagna tocchi la parte peggiore: le attese, il senso di impotenza, la paura...

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  2. Buongiorno Mia,reputo fortunate le persona che hanno acconto qualcuno durante una malattia.A volte,la solitudine pesa più della malattia stessa.Un abbraccio.Daniela

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  3. Onestamente non so se sia peggio stare male o assistere. Io so cosa significa stare vicino. Mio marito si è ammalato due anni e mezzo fa. Il danno nei casi come il suo è sempre irreversibile ma i controlli e le terapie consentono una qualità di vita normale. Apparentemente almeno. L'ansia e la paura sono ormai compagne di vita quotidiane.

    Lina

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  4. So cosa vuol dire mettere la maschera, mostrarsi sorridenti, scherzare, fare finta che tutto vada bene...mentre nel cuore c'è tanta paura, ansia, dolore. E'un fare finta reciproco che aiuta ad andare avanti, a godere di piccole cose, a sperare...

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  5. Hai fatto venire le lacrime agli occhi anche a me!! Per il resto che dire, infezione pussa via!

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