venerdì 31 dicembre 2010

Così parlò la Maria - ultimo

Ho avuto una buona vita
(Maria Gonella - 28/07/1934 - 23/12/2010)

giovedì 30 dicembre 2010

Così parlò la Maria - 9

Preferisco una bella morte, piuttosto che una brutta vita.

mercoledì 29 dicembre 2010

L'ultimo saluto

L'abbiamo salutata lunedì.
È arrivato per primo il sole a dirle addio, per ringraziarla di averlo portato sempre con sé e di averlo regalato a tante persone, con il suo sorriso.
Sono stata con lei al mattino, per guardarla ancora un po', per dirle grazie, per un'ultima carezza. Sapevo che non era più là, che quel corpo adagiato sul raso era solo il suo ricordo, che ormai se n'era già andata, lasciando su quel volto ancora l'ombra di un sorriso. Ma mi sono aggrappata all'illusione di poter condividere ancora quelle poche, ultime ore, di poterla salutare un'ultima volta.
L'avevano ricomposta, con l'abito nero che avevo trovato sul tavolino della sua camera il giorno dopo il ricovero, evidentemente lasciato in piena vista proprio per questo scopo, dato che non lo indossava da tempo. E la sua wiphala, la coloratissima sciarpa delle Ande. Tra le mani qualcuno le aveva messo un rosario, io ci ho aggiunto un fiore, un'orchidea che le avevano regalato gli amici del Club qualche giorno prima.
Le ore passavano troppo in fretta, come in quell'ultimo pomeriggio in unità coronarica in cui sapevo che se ne stava andando e non potevo fare nient'altro che cercare di renderle più dolce l'ultimo tratto di strada, riscaldando le sue mani con le mie.
Ma ormai non c'era più nulla da scaldare e quando l'addetto delle pompe funebri si è avvicinato per dirmi che era il momento di chiudere la bara, il pensiero è stato "No! Non ancora, non sono pronta!". Perché non importa quanto il distacco fosse previsto e accettato: quando il momento arriva, l'unico pensiero è "NO".
Lo è stato anche alle 2:30 di giovedì, quando è suonato il telefono e ho sperato contro ogni speranza che mi annunciassero che si era ripresa o anche solo che la trasferivano in un'altra stanza dove avrei potuto starle vicino. E quando la voce dall'altra parte ha detto "Sono il dottor N.", ho cercato di rinviare, dicendo che sì, mi ricordavo di lui, perché l'aveva visitata diverse volte in ambulatorio di cardiologia. E mentre parlavo, sapevo già quali parole avrei sentito subito dopo, e pensavo "NO".
Quando il coperchio si è chiuso, una parte di me è rimasta lì, strappata per sempre dal mio cuore.

E poi sono venuti in tanti, in tantissimi.
Qualcuno sicuramente ha partecipato solo per rispetto verso di me o gli altri parenti, ma quasi tutti erano lì per lei, perché l'avevano conosciuta di persona e la ricordano con affetto.
È proprio quello che abbiamo cercato di fare: ricordare la sua allegria, la sua generosità, la sua disponibilità.
Ci hanno aiutati loro, con l'intensa emozione di voci e musica, e i nipoti della "zia Maria" e gli amici che l'hanno voluta ricordare con parole piene di affetto, di tenerezza, di simpatia.
Siamo tutti addolorati per averla persa.
Ma siamo orgogliosi e felici di averla avuta con noi.

sabato 25 dicembre 2010

Ma tu sei forte

"Ma tu sei forte".
Me lo hanno detto o scritto in tanti in questi due giorni, facendomi le condoglianze.
Come se fosse un vantaggio.
Essere forte non ti fa soffrire di meno, ti permette soltanto di sopportare sofferenze ancora più grandi.

giovedì 23 dicembre 2010

Ciao, mamma!

Questa notte alle 2:30 il grande cuore della Maria ha smesso di battere.

Il funerale sarà celebrato lunedì 27 dicembre alle 14:30 nella Chiesa Parrocchiale di San Nicolò, in Viale Pordenone 28 a Portogruaro.

Ricordate che la Maria non vuole assolutamente fiori!

Chi desidera lasciare un segno tangibile del proprio affetto, può effettuare una donazione per attività di ricerca medica e/o per l'Associazione In Famiglia di Portogruaro.

mercoledì 22 dicembre 2010

Oltre il vetro

Oltre il vetro dell'unità coronarica c'è il mondo.
È una stanzetta d'angolo, dalle finestre si vede la strada, la gente che passa, la vita; dal vetro della parete divisoria interna si intravedono gli altri letti. Ma oggi quello che succede fuori non importa, il mio mondo è tutto lì dentro, nel bip delle macchine per il monitoraggio, nei respiri difficili, in quelle mani fredde che per tutto il pomeriggio ho cercato di scaldare con le mie, in quegli occhi ormai quasi ciechi, in quella voce ormai quasi muta, in quel viaggio ormai alla fine.
Vorrei poterla accompagnare fino in fondo, con tutta la dolcezza possibile.
Ma non si può rimanere in terapia intensiva, mi hanno già fatto un favore lasciandomi restare un po' nel pomeriggio.
Così adesso aspetto, sul divano, con le lacrime che scendono. Aspetto lo squillo del telefono, aspetto il tempo che passa.
E cerco di trovare la serenità per lasciarla andare.

Così parlò la Maria - 8

Medico - Signora, come si sente?
La Maria - Potrei stare meglio. Ma potrei anche stare peggio, quindi non va poi tanto male.

Così parlò la Maria - 7

Hanno spostato la mamma in terapia intensiva, che da un lato è un sollievo perché significa assistenza specializzata continua, dall'altro un dispiacere perché le possibilità di visita sono limitatissime.
Il rene - l'unico rimasto dopo un incidente stradale nel 1989 - sta cedendo, l'orizzonte si restringe sempre più.
E lei rimane sempre... la Maria!

Medico del Pronto Soccorso - Signora, ma noi ci siamo già visti, vero?
La Maria - Sì, ormai potete farmi l'abbonamento
Medico - Va bene, le faremo una tessera e ogni dieci bollini le regaliamo un soggiorno omaggio per una notte
La Maria - Ah no, se è per una notte non è un soggiorno, è una "sonnotte"! 

lunedì 20 dicembre 2010

Così parlò la Maria - 6

La mamma è stata ricoverata, per ora nell'astanteria del Pronto Soccorso perché i posti letto dei reparti sono tutti occupati.
Le hanno sospeso tutti i farmaci per il cuore, ma la pressione e il battito rimangono troppo bassi, spaventosamente bassi. È molto debole, stamattina mi sono davvero preoccupata, a tratti perdeva lucidità e faceva fatica a respirare, anche se dopo pranzo si è un po' ripresa.
È venuta a trovarla una delle sue sorelle, quella che ci ha invitate a pranzo per il giorno di Natale, proponendo un menù a base di pesce e (soprattutto) crostacei.
La Maria - Mi scoccerebbe perdermi il pranzo di Natale da voi: mi piacciono i crostacei. Il pesce invece non mi dice niente. D'altra parte, si dice appunto "muto come un pesce"!

Così parlò la Maria - 5

La mamma adora il tè solubile, quello che si trova di solito nei distributori automatici, per il quale io condivido la definizione "bevanda al gusto di tè" perché il tè vero è decisamente un'altra cosa. Ma dato che a lei piace tanto, ne ho comprato un pacco e ieri pomeriggio gliene ho preparato una bella tazza. Ma quando gliel'ho portato non si sentiva bene.
Le ho controllato pressione e battito cardiaco: erano entrambi decisamente troppo bassi, così ho deciso di portarla al Pronto Soccorso. Prima però ha voluto bere il suo tè.
Io - Com'è?
La Maria - Aaah, buono, ottimo! Come quello che fanno in ospedale. Sono contenta di andare in ospedale perché il tè che ti danno è buonissimo.

venerdì 17 dicembre 2010

Così parlò la Maria - 4

È arrivata la risposta da Bologna: c'è stato il consulto con i radiologi e la conclusione è che anche la radioembolizzazione non si può fare. In pratica, non si può fare niente se non proseguire le terapie di supporto per evitare quanto più possibile i disagi.
La Maria, che ha detto chiaro e tondo che non vuole che le sia nascosto nulla e che teme più di tutto i sussurri a mezza voce dietro le sue spalle, ha chiesto di sapere quanto tempo le resta.
Pochi mesi, forse anche meno.
Settimane o mesi? Bene, io pensavo addirittura giorni!

Così parlò la Maria - 3

In TV leggono l'oroscopo.
L'astrologa - Cari amici del Leone, nel fine settimana sarete piuttosto stanchi: evitate di uscire!
La Maria (che è del Leone e in questi giorni quasi non si regge in piedi): però, ci hanno azzeccato! Peccato, stasera pensavo di andare a ballare...

Così parlò la Maria - 3

Un'amica viene a trovare la mamma.
Amica - Come va, Maria?
La Maria - Insomma, così così. Io non mi sento tanto male, ma sembra che la cosa sia grave.
Amica - Cazzo! Oh, scusa...
La Maria - No, perché? Non me ne dispiacerebbe uno, prima di morire.

Così parlò la Maria - 2

"Non capisco perché la gente si faccia tanti problemi riguardo alla morte: cosa ci sarà mai da aver paura? Io non ho paura di morire, vivere è molto più pericoloso."

mercoledì 15 dicembre 2010

Esperienze di day-hospital

Lunedì ho accompagnato la mamma alla prima somministrazione di albumina e per la prima volta ho toccato con mano quello che prima avevo soltanto letto sui blog degli altri, in particolare le storie di Widepeak e Mamigà sui volontari ospedalieri e i compagni di chemio.

Le mie esperienze di day-hospital oncologico tutto sommato sono state piuttosto limitate: arrivavo, aspettavo un po' (o tanto) in sala d'attesa, facevo il cambio di serbatoio della chemio e/o la medicazione del CVC e arrivederci alla prossima settimana o addirittura a quella dopo. Solo un paio di volte mi sono fermata per le flebo idratanti e il cortisone, ma stavo così male che non ero assolutamente in grado di relazionarmi con gli altri pazienti e il mio contatto con le volontarie si è limitato ad una richiesta di informazioni sull'ubicazione dell'ambulatorio la prima volta che sono stata al CRO e un paio di visite durante il ricovero da parte della mamma di una mia amica.
Ma non è mai troppo tardi per vivere nuove esperienze...

Lunedì mattina, seguendo le indicazioni di questo post di Wide, ci siamo armate di abiti comodi, libro (per me), Settimana Enigmistica (per la mamma), bottigliette d'acqua (una per me e una per la mamma), penna e bloc notes (non si sa mai, vero Wide?), supermegasmartphone con MP3 e giochini (ho scoperto che c'è pure il solitario di carte che faceva sempre mio nonno), pazienza, sorrisi ed ironia (che con la Maria non mancano mai).
La mamma inizia ad avere grossi problemi di gonfiore, dovuto all'accumulo di liquidi nella pancia e nelle gambe, ormai le è molto difficile camminare o anche solo stare in piedi e in ospedale deve utilizzare la sedia a rotelle: la accompagno all'entrata del pronto soccorso, la parcheggio su una carrozzina in un angolo riparato, vado a cercare un posto per la macchina, poi torno a recuperarla e andiamo a fare i nostri giri.
Il day-hospital oncologico è al quarto piano. Nel corridoio ci ha accolto una delle volontarie dell'associazione In Famiglia, che si è subito preoccupata di trovare una sistemazione per la mamma in una delle due stanze, stipate di letti, poltrone e relativi chemioccupanti.

Speravamo in un letto per dare la possibilità alla mamma di tenere le gambe sollevate,  ma era disponibile soltanto una poltrona, fortunatamente dotata almeno di poggiapiedi. La volontaria ha aiutato la mamma ad accomodarsi, le ha procurato una coperta e le ha chiesto se desiderasse qualcosa da bere, un tè, un cappuccino, un bicchiere d'acqua... La mamma ha chiesto il tè, che pochi minuti dopo le è stato servito dalla volontaria, offerto dall'associazione In Famiglia. Più tardi, quando ha iniziato ad avere fame, sono arrivate anche fette biscottate e marmellata: un servizio a cinque stelle!

La giornata era critica: mancava uno dei medici e c'era stato qualche problema in laboratorio, tutte le analisi erano in forte ritardo, quindi molti pazienti stavano ancora aspettando le loro infusioni.
Nella poltrona vicina a quella della mamma c'era una signora ultraottantenne che voleva giocare a "chi-sta-peggio", convinta evidentemente che le spettasse la palma di più sfortunata del mondo, o almeno della stanza, posizione peraltro non facile da sostenere dato che era decisamente arzilla e l'unico tra gli altri pazienti che avesse un aspetto migliore del suo era un uomo che avrà avuto sì e no la mia età e - mi scuseranno gli anziani - se devo fare una classifica direi che avere il cancro a quarant'anni è decisamente peggio che averlo a ottanta. Ovviamente mia madre non è la persona più indicata a far da spalla per questo tipo di giochini: quando la vecchia le ha confidato di essere in cura ormai da tre anni, la Maria ha risposto candidamente che lei aveva appena cominciato, ma che di sicuro fra tre anni non ci sarebbe più stata perché il cancro l'avrebbe uccisa molto prima. Zittita la vecchia. Per cinque minuti. Poi ha proposto, un po' esitante: "Non potremmo dire un rosario tutti insieme?". Stavo per scoppiarle a ridere in faccia, il pensiero è volato istantaneamente al post di Wide, ma non c'è stato bisogno di rispondere, per fortuna uno degli altri pazienti ha stroncato la proposta con un secco "No, il rosario no".

Nel frattempo il mio cervello lavorava freneticamente per cercare di risolvere un dilemma che mi attanagliava ormai da tre anni: dove ho già visto quell'infermiera del day-hospital? L'avevo incontrata all'inizio del 2008, quando ero andata a farmi fare il lavaggio del CVC ed entrambe eravamo convinte di esserci già incontrate, ma dove? Oratorio? No. Scuola? Nemmeno. Volontariato? Neanche. Mah... Eravamo rimaste entrambe con il dubbio.
Lunedì, finalmente, la rivelazione: improvvisamente i pezzi sono andati al loro posto e ho ricordato che più di dieci anni fa era stata la ragazza di un compagno di squadra del mio ex. Reciproca soddisfazione per esserci finalmente tolte questo dubbio su come e quando ci fossimo conosciute.

Le cose andavano per le lunghe: il farmaco per la mamma non c'era, dovevano farlo arrivare da San Donà. Per fortuna nel frattempo lei si è addormentata e io ho diviso il tempo tra il libro e il solitario di carte del nonno, scambiando di tanto in tanto qualche parola con la volontaria e con gli altri pazienti.
Finalmente è arrivato il flacone di albumina e un'infermiera (non quella che conoscevo, un'altra) è entrata a chiedere conferma dell'identità della mamma. Le ho ripetuto nome e cognome, ma dopo qualche minuto è tornata, visibilmente incerta, a chiedermi: "Ma... la signora Maria... del 1934?". "Sì, certamente, 28 luglio 1934, perché?". "No, sa, è solo che sembra tanto più giovane..."
La mamma sentendo il suo nome si era svegliata, ma non era riuscita a cogliere lo scambio di battute. Ha chiesto cosa succedeva e le ho spiegato che l'infermiera non pensava che lei potesse avere 76 anni. Ha gongolato. Pochi minuti dopo, l'infermiera è entrata con la flebo, si è avvicinata a me e ha chiesto su quale braccio preferivo mettere l'ago. Io e la mamma abbiamo rischiato di soffocare dalle risate.

L'infusione è durata una ventina di minuti, poi ho ricaricato la mamma sulla sedia a rotelle e ripetuto l'iter al contrario: sistemazione in un angolo del pronto soccorso, recupero auto, recupero mamma. Siamo arrivate a casa poco dopo le 14: ci sono volute quasi 4 ore per un flaconcino di albumina. Però ci siamo divertite un sacco.



martedì 7 dicembre 2010

(Quasi) come il dottor House

Ieri con la mamma ci siamo concesse l'ennesima gita al Pronto Soccorso, per una nuova emorragia dalla lesione sulla gamba. Come ha detto oggi Cristina, ormai siamo clienti così affezionate che magari per Natale ci mandano una bella cesta, con il cotechino e il parmigiano.


L'episodio in sé non aveva niente di diverso rispetto alle volte precedenti, ma la reazione della mamma è cambiata. Imbarazzo, vergogna per essere stata di nuovo costretta a chiedere aiuto, paura di disturbare... sono sensazioni che ricordo fin troppo bene, pesano come macigni, forse più di ogni altra cosa creano la sensazione di malattia.
Ho cercato di sdrammatizzare, ci siamo anche fatte quattro risate mentre gli asciugamani che stavamo utilizzando per fermare il sangue si inzuppavano sempre più, ma so quanto è difficile sopportare l'idea di perdere la propria autonomia, di sentirsi costretti a dipendere dall'aiuto degli altri, anche se sono le persone più vicine, quelle con cui si ha maggiore confidenza.

Oggi l'ho portata a Bologna per la visita specialistica.
Viaggio tranquillo: poco traffico, appena un accenno di nebbia alla partenza, lei ha dormito per tutto il tempo, io ho ascoltato musica.
All'uscita del parcheggio dell'ospedale a Bologna ci è venuta incontro Cristina, la blogger di casa che è stata la nostra guida tra i padiglioni e i reparti del S. Orsola.
Eravamo un po' in anticipo, per strada non si sa mai cosa si trova e avevo preferito essere prudente, così ci siamo fatte quattro chiacchiere in corridoio in attesa del nostro turno.
Quando siamo entrate nell'ambulatorio... accidenti, sembrava una scena del dottor House! Al centro il professore e intorno ben quattro giovani assistenti, che ascoltavano, proponevano, registravano.
La mamma si è subito sentita a suo agio con questo medico così gentile, professionale e scrupoloso, che l'ha definitivamente conquistata quando per compilare una ricetta ha tirato fuori dal taschino una splendida penna stilografica, un segno di distinzione l'ha innalzato di almeno cento punti nella stima della mamma.



Ma veniamo alle conclusioni.
Confermata l'inapplicabilità del trattamento chirurgico: la parte sana di fegato è troppo piccola, il rischio di insufficienza epatica sarebbe troppo elevato. 
Per le terapie locoregionali, l'oncologo ha fatto copia del CD della TAC per valutarla insieme ad uno specialista radiologo, ma è dubbioso sulla possibilità di applicazione.
Fino a qui, niente di diverso da quello che mi aspettavo.
La sorpresa è arrivata parlando della terapia con il farmaco molecolare: il professore ritiene che in questo momento non sia praticabile, perché la piaga sulla gamba indica un problema di vasculite (tanto per non dimenticare il dottor House...) e il farmaco potrebbe seriamente peggiorarlo.
Ha proposto quindi una terapia di supporto, in attesa che la piaga guarisca., 
La mamma è stata contenta, in fondo quella lesione è la principale fonte di disagio per lei e non vede l'ora di liberarsene. Certo questo vuol dire ritardare l'inizio della terapia antitumorale vera e propria, ma nel frattempo il medico ha consigliato la somministrazione di albumina, per compensare la carenza legata alla sofferenza del fegato, e di un prodotto ricavato da un pesce, lo Zebrafish, che dovrebbe migliorare le condizioni generali e in alcuni casi si è rivelato efficace anche nella riduzione del tumore. Purtroppo il pesce-derivato è classificato come integratore e non viene fornito dal sistema sanitario, bisogna pagarlo interamente e costa pure una barca di soldi, ma se può essere utile, ben venga.


Dopo la visita, siamo andate a pranzo con Cristina e a pancia piena abbiamo ripreso la via di casa.
Ritorno un po' più trafficato e sotto la pioggia, siamo arrivate a casa verso le 17 e la mamma si è subito sistemata sulla poltrona, il viaggio l'aveva stancata più di quanto pensava.
Era il momento giusto per il tè... da gustare insieme al regalo di Cristina!

Oltreilcancro.it a Radio Capital

Per chi non fosse riuscito ad ascoltare in diretta la mia intervista su Radio Capital