venerdì 29 maggio 2015

Ci siamo! Però...

L'appuntamento per l'ecografia è stato fissato per giovedì 4 giugno.

Ci sono volute circa 28 ore per stabilirlo, ma la data è ragionevole e compatibile con la richiesta.
(chiarisco per chi non ha interpretato correttamente il post precedente: il problema non è mai stato l'ottenimento della prestazione, su cui non avevo dubbi, ma la procedura lunga e farraginosa necessaria per arrivare a questo risultato)

Bene.

Solo che...
Ricordate che avevo detto di dover fare la premedicazione perché in passato ho avuto reazioni spiacevoli al mezzo di contrasto? E che avevo già tutti i farmaci necessari per il protocollo?
Così credevo...
Avevo tutti i farmaci necessari per il protocollo stabilito al CRO o nelle altre strutture. Ma qui richiedono un protocollo diverso: due farmaci su tre sono diversi, le dosi sono diverse, i tempi sono diversi.
Devo andare in farmacia a fare spesa.
E riempirmi di cortisone e antistaminico, più il gastroprotettore per limitare i danni allo stomaco, non per due giorni, ma per sei.
Quanta pazienza...

giovedì 28 maggio 2015

Odissea

Quando faccio la TAC? Vorrei saperlo anch'io.

Al CRO sono così sovraccarichi di pazienti che l'oncologo non è riuscito a trovarmi una data ragionevolmente vicina; ha detto che continuerà a provarci, ma nel frattempo è meglio che mi attivi anch'io con altre strutture.
In dieci anni ho fatto un discreto numero di TAC, so che mi serve l'impegnativa del medico (ce l'ho! con priorità B, che in Veneto significa "entro 10 giorni"), il modulo di consenso all'uso del mezzo di contrasto con l'indicazione che sono allergica e faccio la premedicazione a base di cortisone, antiallergico e antistaminico (ce l'ho! e ho anche tutti i farmaci necessari) e analisi del sangue recenti (ce le ho!).

Pur sapendo che le priorità non sono riconosciute fuori regione né sono vincolanti per le strutture convenzionate, ho provato prima nella clinica friulana in cui ho fatto l'ecografia, perché in altre occasioni i tempi di attesa erano stati davvero contenuti, però questa volta la prima data utile era il 19 giugno: troppo in là.
Ho tentato in un'altra struttura convenzionata a pochi km da casa mia, ma eseguono le TAC solo di martedì e, per colmo di sfortuna, il prossimo martedì è festa e il successivo sono già pieni, non riescono a inserirmi prima del 16 giugno. Tardi anche lì.

Mi sono rassegnata. Ho fatto un respiro profondo e mi sono rivolta alla mia ULSS.
Se si fosse trattato di un altro tipo di prestazione, l'avrei fatto subito, prima di tentare altre strade, ma dopo le esperienze allucinanti con il reparto di radiologia nel periodo della malattia della mamma, l'avevo tenuta come ultima risorsa.
Anzi no, non è proprio così. Avevo fatto un primo tentativo ieri sera con la prenotazione on line dal sito dell'ULSS: niente da fare; dopo avere inserito il codice dell'impegnativa, compare il messaggio "prestazione non prenotabile on line". Evvabbè.

Stamattina telefono al CUP.
Tre o quattro tentativi per prendere la linea, poi finalmente l'operatrice... mi informa che la prestazione non è prenotabile nemmeno tramite CUP, ma bisogna rivolgersi direttamente alla segreteria della radiologia. 
Allora perché chiamarlo Centro Unico di Prenotazione? Chiamiamolo CQUP-ETCentro Quasi Unico di Prenotazione Esclusa TAC, per esempio.
Fastidio.

Chiamo la radiologia. 
La segreteria telefonica mi informa che le informazioni telefoniche vengono fornite solo dalle 12 alle 14. Dato che la radiologia pretende di sostituirsi al CUP, potrebbero almeno osservare gli stessi orari...
Irritazione.

Aspetto pazientemente che arrivi mezzogiorno, poi richiamo. Di nuovo la segreteria telefonica, ma dopo le prime parole qualcuno dall'altra parte forse si accorge che è iniziato l'orario di risposta e... interrompe la comunicazione.
Principio di incazzatura. 

Richiamo subito dopo.
Dopo parecchi squilli, finalmente mi risponde una voce femminile non registrata. Illustro la mia esigenza e la signora mi spiega cortesemente che non posso prendere appuntamento per telefono, ma devo andare di persona oppure inviare un fax. 
Ho la sfiga di abitare nell'unico posto in cui l'ospedale non accetta prenotazioni telefoniche per una TAC. 
Non solo: siamo nel 2015 e c'è ancora qualcuno che chiede di mandare un fax anziché una mail. Se sono così tecnologicamente avanzati, c'è il rischio che per guardare dentro il mio addome, invece di una TAC mi facciano l'autopsia.
Incazzatura crescente.

"Sta scherzando? Perché non posso prenotare per telefono come qualsiasi altra prestazione?"
"Deve venire di persona con l'impegnativa del medico, il referto dell'ecografia e il modulo di consenso per l'uso del mezzo di contrasto. Oppure può mandarli via fax. Il primario li valuterà e la richiameremo noi per indicarle data e ora dell'appuntamento."
Quindi il primario vuole valutare tutte le richieste, di persona pirsonalmente (cit.), e vuole anche il referto dell'ecografia, probabilmente per determinare l'effettiva necessità e urgenza dell'esame. Se fossi il medico di base che ha emesso la richiesta, mi offenderei parecchio nel vedere così svilita la mia professionalità. E anche se fossi uno degli altri medici della radiologia.
Incazzatura forte.

La Direzione dell'azienda presso cui mi trovavo oggi a lavorare mi ha gentilmente permesso di utilizzare il loro fax per inviare tutta la pappardella di documenti richiesti, cosa che ho fatto verso le 12:30. Sono le 22:41 e non ho ancora ricevuto risposta.
Tutte le altre strutture che avevo contattato mi hanno formulato la loro proposta di appuntamento immediatamente, ma in quel reparto evidentemente le cose non sono cambiate rispetto al 2010. Anzi, non sono cambiate rispetto a qualche secolo fa, quando "il dottore" era considerato appena mezzo gradino sotto Dio e i pazienti dovevano riconoscere devotamente la sua autorità, accettando umilmente di essere trattati come esseri inferiori, il cui tempo non valeva nulla, in confronto a quello del grande luminare.
Furia.


martedì 26 maggio 2015

Che palle!

Dopo più di un mese di problemi intestinali, dolori tutto intorno alla palla, tensione addominale,  nausea e fastidi di vario genere alla pancia, ho affrontato il consueto giro di controlli semestrali con una certa preoccupazione.
Analisi del sangue discrete: globuli bianchi di nuovo bassi, 3700, colesterolo e glicemia altini, ma non è una novità, il resto nella norma.

Oggi c'era l'ecografia.
L'esame era previsto alle 13:20 e nell'attesa mi sono preparata con una sostanziosa dose di antidepressivo: sessioni multiple di coccole feline.
Avevo previsto di andare da sola, ma ieri avevo condiviso le mie preoccupazioni con le bloggers di Oltreilcancro e stamattina Wolkerina mi ha telefonato per offrirsi di accompagnarmi: ma che amiche fantastiche ho?
Sono entrata puntuale, anzi con qualche minuto di anticipo. Meno male, perché la volta precedente un paziente in sala d'attesa si era sentito male e io avevo aspettato quasi tre quarti d'ora con la vescica piena: un incubo.
L'ecografista era lo stesso che aveva fatto per primo la diagnosi di liposarcoma nel 2006.
Pancreas a posto.  Fuori uno.
Fegato a posto. Sollievo che solo chi conosce davvero il significato della parola metastasi può comprendere appieno.
Reni, colecisti, milza... tutto ok.
Zona pelvica: ahia! La palla è sempre lì, con i suoi otto centimetri di diametro, e fa male ogni volta che si tocca.
Ancora la sonda dell'ecografo che esplora,  poi il medico già lo schermo verso di me: eccola lì.
Una palla.
Un'altra.
Nuova.
Solida.
Cinque centimetri per sette e mezzo.
Bene. Almeno adesso so che tutti i disturbi delle ultime settimane hanno un perché.

Il medico è moderatamente ottimista: ritiene che sia un lipoma, il cugino benigno del liposarcoma, in sostanza una palla di grasso.
Però l'ecografia non è il metodo diagnostico migliore per valutare, bisogna fare una TAC.

Il mio oncologo non era raggiungibile al telefono, impegnato in una videoconferenza. Gli ho mandato una mail alle 19:10. Mi ha risposto alle 19:40. Il mio oncologo è un mito.
Cercherà di fissarmi la TAC a breve.

Ora gli scenari possibili sono molti e vanno da quello seccante di una formazione benigna  ma ingombrante, che probabilmente andrà comunque asportata chirurgicamente, a quello sgradevole di una recidiva localizzata fino a quello drammatico che comprende metastasi.
Vedremo.

Però, che palle!
Due.



martedì 12 maggio 2015

Musica, maestro!

Più o meno un mese fa, mentre tornavo in auto dal lavoro, mi sono messa a canticchiare una vecchia canzone di De Gregori così, senza un motivo particolare. Quattro cani, non uno dei suoi pezzi più famosi, ma io ci sono affezionata perché è collegato a persone e situazioni che hanno reso più piacevole la mia adolescenza. Poi ne ho canticchiata un'altra e un'altra ancora e avanti così fino a casa, ricordando i tempi in cui imparavo a suonare la chitarra sulle note dei cantautori italiani, che hanno quasi monopolizzato i miei gusti musicali tra i 14 e i 17 anni e che non ho mai smesso di amare anche più tardi, quando ho aggiunto il rock ai miei interessi.

A voler essere precisi, ho iniziato ad amare De Gregori nel 1979.
La mamma mi aveva portato in montagna, a Moena, per una settimana bianca. Passavo le giornate da sola sulle piste da fondo oppure insieme alla mia cuginetta Maria Cristina sulle discese per lo slittino. Alla sera si restava in albergo, dove l'unico passatempo era il juke box e io facevo suonare e risuonare continuamente Generale. Avevo dieci anni e mi ero letteralmente innamorata di quella canzone, la adoravo, non mi stancavo mai di ascoltarla.
Tornata a casa, pregai la nonna di comperarmi quel disco, insistendo fino quando finalmente lei decise di accontentarmi. Non ho mai saputo come siano andate veramente le cose quel giorno nel negozio di dischi, perché la nonna tornò dicendo che il 45 giri di Generale non esisteva, c'era solo il 33 giri, il disco in vinile grande che però io non potevo ascoltare con il mio mangiadischi, e comunque costava troppo. Non era vero, il 45 giri esisteva, ma l'ho scoperto solo molti anni dopo. Forse nel negozio le avevano detto che non esisteva perché loro non l'avevano o forse la nonna aveva sentito la canzone e non la riteneva adatta a una bambina di dieci anni. Non lo saprò mai.


Immaginando la mia delusione, la nonna aveva deciso di comperarmi un altro disco per consolarmi... ed era tornata a casa con Mi scappa la pipì papà di Pippo Franco. L'aveva preso in perfetta buona fede, pensando che mi sarebbe piaciuto. Probabilmente aveva anche chiesto consiglio al commesso del negozio. Non vi dico quanto ho pianto.

Qualche anno dopo mi sono comperata da sola quel 33 giri e anche altri di De Gregori, poi è iniziata l'era dei CD, il mio giradischi si è rotto e non l'ho più sostituito (a proposito: ho numerosi 33 giri in vinile in perfette condizioni da vendere, se qualcuno fosse interessato...). Ho ricomperato in CD qualche album che avevo in vinile e ho usato una gift card di i-Tunes che mi aveva regalato Renato per crearmi una compilation con i brani di De Gregori che amavo di più, ma tra le decine e decine di CD che possiedo, lo ascolto raramente.
Ho ritirato fuori quella compilation proprio dopo quel tragitto in auto passato a canticchiare De Gregori. Mentre la stavo ascoltando, nel mio studio, è arrivato Renato con le mani dietro la schiena e l'inconfondibile espressione di chi ha in serbo una sorpresa. E che sorpresa!
Due biglietti per il concerto di De Gregori dell'8 maggio a Venezia.


Ci tengo a chiarire che Renato non poteva in alcun modo sapere che il giorno prima in macchina avevo canticchiato De Gregori né che in quel momento lo stavo riascoltando per la prima volta dopo svariati mesi, perché la porta era chiusa e il volume basso. Il fatto che si sia presentato con i biglietti per il concerto proprio in quel momento dimostra in modo incontrovertibile che tra noi due c'è un legame che va oltre ogni logica.
Legame che però si estende solo parzialmente ai gusti musicali: amiamo entrambi il rock e ascoltiamo volentieri insieme gli AC/DC, i Deep Purple o gli Iron Maiden, però a Renato i cantautori proprio non dicono niente, quindi nel darmi i biglietti ha precisato che lui a sentire De Gregori non ci sarebbe venuto e potevo regalare il secondo biglietto a chi volevo.
Nessun problema: la mia amica Chiara venerdì sera era libera e ben felice di accompagnarmi.

Non ci siamo fidate a usare il treno perché l'ultimo parte da Venezia poco dopo mezzanotte e se il concerto si fosse prolungato un po' avremmo rischiato di perderlo. Abbiamo quindi lasciato l'auto a Mestre e raggiunto piazzale Roma con l'autobus. Chiara va spesso a Venezia per lavoro, quindi aveva la sua tessera ricaricabile per il bus e da qualche parte in fondo alla mia borsa ne ho scovate due anch'io, residuo di quando andavo a tenere corsi a Mestre. Una era vuota, ma nell'altra c'erano ancora due biglietti, giusti giusti per andata e ritorno.
Arrivate a Venezia ho gettato la tessera vuota nel cassonetto e ci siamo incamminate verso il Teatro Goldoni, che si trova vicino a Rialto: l'assurdo ponte di Calatrava, un concentrato di errori tecnici le cui fondazioni stanno facendo sollevare il piano stradale dal lato della stazione ferroviaria, e poi il susseguirsi di rio terà, campicalli, e salizade di Cannaregio. Con calma e senza fretta, perché eravamo in anticipo, ma soprattutto perché la mia condizione atletica è all'incirca paragonabile a quella di una megattera spiaggiata.
Dopo aver ritirato i biglietti, ci siamo aggirate nei dintorni, a caccia di uno spuntino. Scartati un paio di bar che esponevano panini e tramezzini d'epoca, abbiamo adocchiato una rosticceria dall'aspetto poco turistico, un po' defilata in un sottoportego. Scelta azzeccatissima: ci siamo limitate a due deliziose mozzarelle in carrozza, ma l'offerta gastronomica era davvero strepitosa e comprendeva piatti veneziani molto invitanti e a prezzi onestissimi.

L'orario di inizio del concerto era ormai prossimo, siamo tornate verso il teatro e ci siamo accomodate nei nostri centralissimi posti in platea, con un moto di gratitudine verso Renato che li aveva scelti alla perfezione. Più di un moto di stizza invece verso il tizio seduto davanti a Chiara, che ha passato metà del concerto a scattare fotografie, muovendosi continuamente a destra e a sinistra per trovare le migliori inquadrature; ma la cosa davvero assurda è che ha impiegato l'altra metà del tempo a guardare le foto che aveva scattato. Dato che la donna che era con lui seguiva invece con entusiasmo il concerto, ne abbiamo dedotto che non gli importasse nulla della musica e fosse lì solo per accompagnarla. Renato ha dimostrato maggiore buon senso dicendomi di andare con qualcuno che potesse apprezzare lo spettacolo.

Il primo pensiero all'entrata in scena di De Gregori è stato "Ma quanto è alto?": rispetto agli altri musicisti sembrava un gigante. Il giorno dopo ho verificato su Internet che è alto "solo" 1,92 quindi forse la differenza rispetto agli altri era almeno in parte un effetto della prospettiva.
Il secondo pensiero invece è stato "È sempre uguale", che non so se sia un complimento. Potrebbe voler dire che adesso sembra giovane come trent'anni fa, oppure che trent'anni fa sembrava vecchio come adesso. Fateci un pensierino se - come a me - vi capita di sentirvi dire "Non sei cambiata per niente!" da gente che non vedete da vent'anni. Che poi nel mio caso è una falsità lampante, perché peso venticinque chili in più e solo un cieco potrebbe non accorgersene.

Una scaletta inattesa, diversa da quella che mi aspettavo in base alle recensioni di altri concerti recenti, con alcuni brani che non conoscevo vicino ai grandi classici e a qualche pezzo che amo particolarmente, in particolare Caterina e L'abbigliamento di un fuochista, oltre a Generale, naturalmente. Peccato non ci fosse il delizioso arrangiamento jazz di Natale dell'album Vivavoce, ma capisco che sarebbe stato fuori stagione.
Eccellenti i musicisti, in particolare il giovane tastierista Alessandro Arianti, davvero straordinario. Impeccabile la voce del Principe, che non risente del passare degli anni. Stendiamo invece un velo pietoso sulle capacità canore del pubblico. Il teatro Goldoni ha 800 posti, ma non era completamente pieno, c'erano spazi vuoti in galleria. Ipotizziamo che ci fossero circa 600 spettatori e che qualcuno non abbia cantato. Quando De Gregori ha invitato il pubblico a cantare con lui, ha ottenuto strofe di Niente da capire e Buonanotte Fiorellino a 500 voci dispari. Ognuna per conto suo.
Gli appunti negativi riguardano la scarsa capacità di comunicazione con il pubblico: solo poche parole, quasi di circostanza ("Grazie a tutti, siete fantastici"). Mi aspettavo qualcosa di più coinvolgente dal punto di vista emotivo e anche qualche pezzo in più; avevo letto di due ore e mezza di concerto a Milano, mentre quello di Venezia è arrivato a malapena a due ore.
Il concerto si è concluso con La donna cannone, accompagnata dal pianoforte e con una splendida chiusura di violino, e un remake di Buonanotte Fiorellino che strizzava l'occhio a Bob Dylan.

Siamo tornate verso il terminal degli autobus sotto qualche goccia di pioggia e lampi che non promettevano nulla di buono, ma alla fine il temporale ci ha graziate.
Ci sono voluti diversi tentativi per individuare la corsia giusta, la segnaletica di piazzale Roma è davvero pessima, ma alla fine l'abbiamo trovata giusto in tempo, pochi minuti prima che arrivasse il nostro autobus.
Appena salite a bordo abbiamo passato le nostre tessere davanti al lettore per scalare il biglietto e... mi sono aggiudicata il premio volpe del giorno: avevo buttato via la tessera buona e tenuto quella vuota!

(ACTV mi perdoni se non ho timbrato il biglietto: giuro però che l'avevo pagato: è in un cassonetto a piazzale Roma)
Il percorso del bus N2 mi ha ricordato un po' quello con l'85 a Roma, che per andare da largo Colli Albani alla stazione Termini fa il giro largo passando dal Colosseo. Qui poco ci mancava che per andare da Piazzale Roma a San Giuliano si facesse il giro per Firenze (se non ci credete, guardate qui). Però ci abbiamo messo un attimo: l'autista ha approfittato delle strade quasi deserte della mezzanotte per divertirsi un po' con l'acceleratore, più che sull'autobus sembrava di essere al luna park.
Dopo aver recuperato la macchina, siamo tornate a casa chiacchierando come non avevamo occasione di fare da un bel po': anche questo è stato parte del regalo!

martedì 5 maggio 2015

Conversazioni domestiche - 7

Lui: "Conta!"
Io: "Cosa?"
Lui (indicandosi la testa): "Conta!"
Io: "???"
Lui (inginocchiato per mostrare la testa): "Conta!"
Io: "Uno... due... tre... quattro... Amore! Ti hanno zanzatissimo!!!"
Lui: "Sono stato fuori un quarto d'ora a togliere erbacce, mi hanno massacrato..."
...
Lui: "Ordina due pizze!"

(per la serie: alimenti consolatori)


sabato 2 maggio 2015

Lavoratori della domenica

Oggi è il primo maggio, festa dei lavoratori, e come accade ormai praticamente in ogni festività, è un fiorire di proteste contro le aperture festive di negozi e centri commerciali, con l'accusa di sacrificare i diritti dei lavoratori sull'altare del profitto e del consumismo.

Sarà che sono una libera professionista, sarà che sono figlia di un'infermiera, ma per me il lavoro festivo non è mai stato un tabù, però capisco che altri lo possano considerare sbagliato o addirittura scandaloso, per motivi familiari, etici o religiosi.
Quello che non capisco - e non accetto - è che tutti questi strenui difensori dei "lavoratori della domenica" mostrino tutta la loro indignazione soltanto per il personale di negozi e centri commerciali.
E tutti gli altri?
Ci sono migliaia di persone che lavorano abitualmente nei giorni festivi e per i quali nessuno parla dai palchi del sindacato, si mobilita su Facebook, organizza raccolte di firme o espone striscioni di solidarietà.

Lasciamo da parte i servizi indispensabili come sanità, sicurezza, viabilità, vigili del fuoco, telecomunicazioni, distribuzione di energia elettrica, acqua e gas, che devono essere sempre garantiti. Possiamo considerare essenziali anche i trasporti e l'informazione, benché si possa tranquillamente sopravvivere per un giorno a settimana anche senza treni o telegiornali. Ammettiamo anche come inevitabile il lavoro festivo per alcune attività che per motivi tecnici non possono essere interrotte, come fonderie, vetrerie, allevamento, ecc.

Ma avete mai sentito qualcuno tuonare contro l'apertura domenicale di bar, ristoranti, pizzerie, cinema, teatri, stadi, alberghi, discoteche o stabilimenti balneari? Lamentarsi se le reti radiofoniche e televisive trasmettono anche di domenica? Se il primo maggio si fanno spettacoli e concerti? Piuttosto accade il contrario: si protesta se nei giorni festivi questi servizi non sono disponibili. Eppure non sono certamente essenziali e sono consumistici e volti al profitto, non meno dei negozi.

Perché voi paladini dei diritti festivi dei lavoratori non vi ergete in difesa di questo esercito di cuochi, camerieri, addetti alle pulizie, tecnici di palco, truccatori, parrucchieri, operatori video, musicisti, speaker, receptionist, arbitri...?
Forse perché anche voi oggi siete andati in gita, al bar, in pizzeria, alla sagra di paese. Qualcuno addirittura ha fatto un salto al centro commerciale ("ma era un'emergenza!"). E avete potuto inserire i vostri post di protesta su Facebook grazie a qualche tecnico informatico che ha lavorato anche il primo maggio.
Io rispetto la vostra opinione, ma mi aspetto che siate coerenti: abbiate la stessa considerazione per tutti i lavoratori e domenica non andate al centro commerciale, ma nemmeno al ristorante, al museo, al cinema, in edicola; non guardate la televisione, non ascoltate la radio, non navigate su Internet. Altrimenti non siete credibili.


PS: No, io oggi non sono andata al centro commerciale. E nemmeno al ristorante o al cinema. E sono sinceramente grata agli addetti alla raccolta dei rifiuti che oggi (ma anche il lunedì di Pasquetta) hanno effettuato il consueto prelievo porta a porta.