Più o meno un mese fa, mentre tornavo in auto dal lavoro, mi sono messa a canticchiare una vecchia canzone di De Gregori così, senza un motivo particolare. Quattro cani, non uno dei suoi pezzi più famosi, ma io ci sono affezionata perché è collegato a persone e situazioni che hanno reso più piacevole la mia adolescenza. Poi ne ho canticchiata un'altra e un'altra ancora e avanti così fino a casa, ricordando i tempi in cui imparavo a suonare la chitarra sulle note dei cantautori italiani, che hanno quasi monopolizzato i miei gusti musicali tra i 14 e i 17 anni e che non ho mai smesso di amare anche più tardi, quando ho aggiunto il rock ai miei interessi.
A voler essere precisi, ho iniziato ad amare De Gregori nel 1979.
La mamma mi aveva portato in montagna, a Moena, per una settimana bianca. Passavo le giornate da sola sulle piste da fondo oppure insieme alla mia cuginetta Maria Cristina sulle discese per lo slittino. Alla sera si restava in albergo, dove l'unico passatempo era il juke box e io facevo suonare e risuonare continuamente Generale. Avevo dieci anni e mi ero letteralmente innamorata di quella canzone, la adoravo, non mi stancavo mai di ascoltarla.
Tornata a casa, pregai la nonna di comperarmi quel disco, insistendo fino quando finalmente lei decise di accontentarmi. Non ho mai saputo come siano andate veramente le cose quel giorno nel negozio di dischi, perché la nonna tornò dicendo che il 45 giri di Generale non esisteva, c'era solo il 33 giri, il disco in vinile grande che però io non potevo ascoltare con il mio mangiadischi, e comunque costava troppo. Non era vero, il 45 giri esisteva, ma l'ho scoperto solo molti anni dopo. Forse nel negozio le avevano detto che non esisteva perché loro non l'avevano o forse la nonna aveva sentito la canzone e non la riteneva adatta a una bambina di dieci anni. Non lo saprò mai.
Immaginando la mia delusione, la nonna aveva deciso di comperarmi un altro disco per consolarmi... ed era tornata a casa con Mi scappa la pipì papà di Pippo Franco. L'aveva preso in perfetta buona fede, pensando che mi sarebbe piaciuto. Probabilmente aveva anche chiesto consiglio al commesso del negozio. Non vi dico quanto ho pianto.
Qualche anno dopo mi sono comperata da sola quel 33 giri e anche altri di De Gregori, poi è iniziata l'era dei CD, il mio giradischi si è rotto e non l'ho più sostituito (a proposito: ho numerosi 33 giri in vinile in perfette condizioni da vendere, se qualcuno fosse interessato...). Ho ricomperato in CD qualche album che avevo in vinile e ho usato una gift card di i-Tunes che mi aveva regalato Renato per crearmi una compilation con i brani di De Gregori che amavo di più, ma tra le decine e decine di CD che possiedo, lo ascolto raramente.
Ho ritirato fuori quella compilation proprio dopo quel tragitto in auto passato a canticchiare De Gregori. Mentre la stavo ascoltando, nel mio studio, è arrivato Renato con le mani dietro la schiena e l'inconfondibile espressione di chi ha in serbo una sorpresa. E che sorpresa!
Due biglietti per il concerto di De Gregori dell'8 maggio a Venezia.
Ci tengo a chiarire che Renato non poteva in alcun modo sapere che il giorno prima in macchina avevo canticchiato De Gregori né che in quel momento lo stavo riascoltando per la prima volta dopo svariati mesi, perché la porta era chiusa e il volume basso. Il fatto che si sia presentato con i biglietti per il concerto proprio in quel momento dimostra in modo incontrovertibile che tra noi due c'è un legame che va oltre ogni logica.
Legame che però si estende solo parzialmente ai gusti musicali: amiamo entrambi il rock e ascoltiamo volentieri insieme gli AC/DC, i Deep Purple o gli Iron Maiden, però a Renato i cantautori proprio non dicono niente, quindi nel darmi i biglietti ha precisato che lui a sentire De Gregori non ci sarebbe venuto e potevo regalare il secondo biglietto a chi volevo.
Nessun problema: la mia amica Chiara venerdì sera era libera e ben felice di accompagnarmi.
Non ci siamo fidate a usare il treno perché l'ultimo parte da Venezia poco dopo mezzanotte e se il concerto si fosse prolungato un po' avremmo rischiato di perderlo. Abbiamo quindi lasciato l'auto a Mestre e raggiunto piazzale Roma con l'autobus. Chiara va spesso a Venezia per lavoro, quindi aveva la sua tessera ricaricabile per il bus e da qualche parte in fondo alla mia borsa ne ho scovate due anch'io, residuo di quando andavo a tenere corsi a Mestre. Una era vuota, ma nell'altra c'erano ancora due biglietti, giusti giusti per andata e ritorno.
Arrivate a Venezia ho gettato la tessera vuota nel cassonetto e ci siamo incamminate verso il Teatro Goldoni, che si trova vicino a Rialto: l'assurdo ponte di Calatrava, un concentrato di errori tecnici le cui fondazioni stanno facendo sollevare il piano stradale dal lato della stazione ferroviaria, e poi il susseguirsi di rio terà, campi, calli, e salizade di Cannaregio. Con calma e senza fretta, perché eravamo in anticipo, ma soprattutto perché la mia condizione atletica è all'incirca paragonabile a quella di una megattera spiaggiata.
Dopo aver ritirato i biglietti, ci siamo aggirate nei dintorni, a caccia di uno spuntino. Scartati un paio di bar che esponevano panini e tramezzini d'epoca, abbiamo adocchiato una rosticceria dall'aspetto poco turistico, un po' defilata in un sottoportego. Scelta azzeccatissima: ci siamo limitate a due deliziose mozzarelle in carrozza, ma l'offerta gastronomica era davvero strepitosa e comprendeva piatti veneziani molto invitanti e a prezzi onestissimi.
L'orario di inizio del concerto era ormai prossimo, siamo tornate verso il teatro e ci siamo accomodate nei nostri centralissimi posti in platea, con un moto di gratitudine verso Renato che li aveva scelti alla perfezione. Più di un moto di stizza invece verso il tizio seduto davanti a Chiara, che ha passato metà del concerto a scattare fotografie, muovendosi continuamente a destra e a sinistra per trovare le migliori inquadrature; ma la cosa davvero assurda è che ha impiegato l'altra metà del tempo a guardare le foto che aveva scattato. Dato che la donna che era con lui seguiva invece con entusiasmo il concerto, ne abbiamo dedotto che non gli importasse nulla della musica e fosse lì solo per accompagnarla. Renato ha dimostrato maggiore buon senso dicendomi di andare con qualcuno che potesse apprezzare lo spettacolo.
Il primo pensiero all'entrata in scena di De Gregori è stato "Ma quanto è alto?": rispetto agli altri musicisti sembrava un gigante. Il giorno dopo ho verificato su Internet che è alto "solo" 1,92 quindi forse la differenza rispetto agli altri era almeno in parte un effetto della prospettiva.
Il secondo pensiero invece è stato "È sempre uguale", che non so se sia un complimento. Potrebbe voler dire che adesso sembra giovane come trent'anni fa, oppure che trent'anni fa sembrava vecchio come adesso. Fateci un pensierino se - come a me - vi capita di sentirvi dire "Non sei cambiata per niente!" da gente che non vedete da vent'anni. Che poi nel mio caso è una falsità lampante, perché peso venticinque chili in più e solo un cieco potrebbe non accorgersene.
Una scaletta inattesa, diversa da quella che mi aspettavo in base alle recensioni di altri concerti recenti, con alcuni brani che non conoscevo vicino ai grandi classici e a qualche pezzo che amo particolarmente, in particolare Caterina e L'abbigliamento di un fuochista, oltre a Generale, naturalmente. Peccato non ci fosse il delizioso arrangiamento jazz di Natale dell'album Vivavoce, ma capisco che sarebbe stato fuori stagione.
Eccellenti i musicisti, in particolare il giovane tastierista Alessandro Arianti, davvero straordinario. Impeccabile la voce del Principe, che non risente del passare degli anni. Stendiamo invece un velo pietoso sulle capacità canore del pubblico. Il teatro Goldoni ha 800 posti, ma non era completamente pieno, c'erano spazi vuoti in galleria. Ipotizziamo che ci fossero circa 600 spettatori e che qualcuno non abbia cantato. Quando De Gregori ha invitato il pubblico a cantare con lui, ha ottenuto strofe di Niente da capire e Buonanotte Fiorellino a 500 voci dispari. Ognuna per conto suo.
Gli appunti negativi riguardano la scarsa capacità di comunicazione con il pubblico: solo poche parole, quasi di circostanza ("Grazie a tutti, siete fantastici"). Mi aspettavo qualcosa di più coinvolgente dal punto di vista emotivo e anche qualche pezzo in più; avevo letto di due ore e mezza di concerto a Milano, mentre quello di Venezia è arrivato a malapena a due ore.
Il concerto si è concluso con La donna cannone, accompagnata dal pianoforte e con una splendida chiusura di violino, e un remake di Buonanotte Fiorellino che strizzava l'occhio a Bob Dylan.
Siamo tornate verso il terminal degli autobus sotto qualche goccia di pioggia e lampi che non promettevano nulla di buono, ma alla fine il temporale ci ha graziate.
Ci sono voluti diversi tentativi per individuare la corsia giusta, la segnaletica di piazzale Roma è davvero pessima, ma alla fine l'abbiamo trovata giusto in tempo, pochi minuti prima che arrivasse il nostro autobus.
Appena salite a bordo abbiamo passato le nostre tessere davanti al lettore per scalare il biglietto e... mi sono aggiudicata il premio volpe del giorno: avevo buttato via la tessera buona e tenuto quella vuota!
(ACTV mi perdoni se non ho timbrato il biglietto: giuro però che l'avevo pagato: è in un cassonetto a piazzale Roma)
Il percorso del bus N2 mi ha ricordato un po' quello con l'85 a Roma, che per andare da largo Colli Albani alla stazione Termini fa il giro largo passando dal Colosseo. Qui poco ci mancava che per andare da Piazzale Roma a San Giuliano si facesse il giro per Firenze (se non ci credete, guardate qui). Però ci abbiamo messo un attimo: l'autista ha approfittato delle strade quasi deserte della mezzanotte per divertirsi un po' con l'acceleratore, più che sull'autobus sembrava di essere al luna park.
Dopo aver recuperato la macchina, siamo tornate a casa chiacchierando come non avevamo occasione di fare da un bel po': anche questo è stato parte del regalo!
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