lunedì 21 febbraio 2022

Sorveglianza sanitaria

La sorveglianza sanitaria è operativa: sono stati concordati i turni e i ruoli e, come sempre accade, alcuni sono più ambiti di altri. L'assistenza è comunque sempre garantita. 


Io non sto troppo male: oggi niente febbre, ma ancora tanto mal di gola, raffreddore e tosse. Come sempre, quando starnutisco Fergus si allontana seccato, Penny si spaventa e scappa, Edison tollera uno o due starnuti, credo per pigrizia, poi se ne va anche lui. Matilde rimane abbastanza indifferente ed Ettore arriva di corsa, gnaulando a gran voce per chiedermi come sto.

Si sono attivate anche le istituzioni: sono stata presa in carico dall'USCA, l'Unità Speciale di Continuità Assistenziale che segue i pazienti Covid a domicilio. Stamattina mi ha chiamato un medico, che ha raccolto informazioni sui sintomi, parametri (temperatura, saturazione di ossigeno, frequenza cardiaca) e terapie farmacologiche in corso e mi ha dato alcune indicazioni per la gestione dei sintomi. Mi richiameranno almeno una volta al giorno fino alla guarigione. 
Mi hanno appena consegnato a casa il farmaco antivirale, inizierò la terapia stasera: saranno quattro grosse capsule da assumere ogni 12 ore per 5 giorni. 


Stamattina era già disponibile sul portale regionale anche il certificato di isolamento, con cui la MMG ha potuto redigere il certificato di malattia per il lavoro. 
Sta funzionando tutto nel migliore dei modi. 

Il Covid ha scelto un pessimo momento per colpirmi, sarebbe stato meglio prenderlo insieme a Renato il mese scorso, ora sarei già di nuovo in pista. Però ieri pensavo anche a quanto sono fortunata ad averlo preso adesso, con la protezione di tre dosi di vaccino e la disponibilità di strutture organizzate, terapie, protocolli e informazioni molto più completi ed efficaci rispetto a inizio pandemia. Come si saranno sentiti quelli che si sono ammalati quando uscirne vivi oppure no fondamentalmente era questione di fortuna? 


domenica 20 febbraio 2022

Sogni infranti

Il programma della giornata di ieri era molto ricco: partenza di buon'ora per Verona, tre ore di allenamento congiunto con le squadre di Modena e Verona in vista dell'imminente campionato italiano di sitting volley, pranzo con la squadra, giretto a Verona, poi trasferimento a Brescia per un evento che aspettavo da 30 anni.


Per martedì avevo previsto un allenamento a Cesena, per conoscere la squadra con cui affronterò il campionato femminile e, soprattutto, farmi conoscere e valutare dall'allenatrice.
Questo è come sarebbe dovuta andare. 

Com'è andata, invece: ieri risveglio con febbre, mal di gola, congestione nasale e dolori articolari. 
Via a fare il tampone: positivo. Voglia di piangere. 

È stata immediatamente attivata la sorveglianza sanitaria, con monitoraggio costante della situazione e servizio di accompagnamento in bagno. 




Si sono attivati anche i miei angeli custodi senza coda con tante offerte di aiuto da amici e parenti (siete meravigliosi, lo sapete vero?) e, preziosissimo, il coinvolgimento dell'infettivologo, che ha presentato la richiesta per inserirmi nel protocollo di trattamento antivirale, in considerazione dei miei numerosi fattori di rischio: domani dovrebbero consegnarmi uno dei nuovissimi farmaci anti-Covid.

Avevo altri progetti per i prossimi giorni, altri sogni. 
A volte mi sembra che la vita si diverta a distruggere quello che cerco con tanta fatica di costruire. 




mercoledì 9 febbraio 2022

Scelte

Qualche volta nella vita si può scegliere, altre volte, volenti o nolenti, si viene scelti e bisogna fare di necessità virtù. 


L'autunno del 1982 aveva portato grandi novità nella mia vita. Avevo iniziato il liceo, un mondo completamente nuovo e tutto da scoprire, in cui, pur senza sentirmi fuori posto, mi rendevo conto di quanto l'essere figlia unica, molto solitaria e cresciuta dai nonni anziani, mi rendesse diversa dalla maggior parte degli adolescenti. Nell'ambito puramente scolastico non avevo nulla da invidiare ai miei compagni, avevo ottenuto ottimi voti fin dalle prime interrogazioni e compiti in classe, ma ero terribilmente indietro dal punto di vista sociale. Le ragazze vestivano quasi tutte all’ultima moda, io mettevo insieme alla bell'e meglio quello che trovavo in casa, spesso ereditato dai cugini più grandi. Sentivo citare continuamente programmi televisivi che non avevo mai visto, le TV private sarebbero entrate in casa nostra solo l'anno successivo, dischi che non conoscevo, libri che non avevo mai letto, prodotti di marche che non avevo mai sentito nominare. Gli studenti più grandi leggevano i giornali, parlavano di politica, organizzavano assemblee, scioperi e manifestazioni. Osservavo e ascoltavo, a volte fingendo di capire per non fare brutta figura, ma con la piena consapevolezza di quanto fosse evidente la mia arretratezza su tanti aspetti che sembravano fondamentali per integrarsi nell'universo degli adolescenti liceali.

Era iniziata da poche settimane anche la stagione sportiva e sentivo forte l'emozione e l'orgoglio per essere stata chiamata ad allenarmi con la prima squadra. Non sono mai stata timida, ma guardavo con un po' di soggezione le ragazze più grandi, che giocavano già da qualche anno, mentre io avevo iniziato solo pochi mesi prima, con le “piccole" che non facevano campionati, e la mia unica esperienza in campo era stata una partita, una di numero, con la squadra della scuola media.
Mi allenavo con grande impegno, a testa bassa, cercando con tutte le mie forze di ottenere buoni risultati. Già allora ero molto competitiva e ci tenevo a fare bene,  ma avevo e ho sempre avuto solo un unico avversario da battere: i miei limiti.

Ricordo bene il giorno dell’assegnazione delle maglie da gara. Quell’anno c’era un nuovo sponsor ed erano state appena realizzate, bianche con scritte nere, mentre la tuta era nera con inserti bianchi. 
Puntavo decisamente al numero 2 ma, se non fossi riuscita ad aggiudicarmelo, avevo deciso che l’alternativa dovesse essere un numero dispari.
Quando l'allenatore aveva iniziato a estrarre le maglie dallo scatolone, annunciando il numero e la taglia e chiedendo chi la volesse, avevo realizzato che alcuni numeri erano già tacitamente assegnati alle giocatrici più anziane, che riprendevano quelli che avevano usato nelle stagioni precedenti. Non sapevo se il 2 fosse tra quelli e nemmeno se sarebbe stata una taglia abbastanza grande per me: potevo solo sperare. 
C'erano quindici numeri disponibili, la distribuzione procedeva spedita, senza un ordine preciso. Cinque, quattordici, uno, sette, undici, sei, tre… il due tardava a uscire e io ero sulle spine: se non fossi riuscita a conquistarlo, mi sarei dovuta accontentare degli avanzi. Mancavano solo tre numeri quando finalmente l'allenatore aveva annunciato il 2. Prima ancora che dicesse la taglia, una delle giocatrici più esperte aveva allungato la mano, ignara della mia silenziosa disperazione, solo di poco mitigata dal fatto che quella maglia era comunque troppo piccola per me. 

Delle due divise rimaste, una non ricordo quale numero avesse, ma era piccola. L'altra, taglia grande, aveva il numero 8.
Otto. Pari. Che schifo. Un numero che non mi diceva nulla, insignificante, privo di attrattive.
Già mentre lo prendevo, avevo deciso che alla prima occasione l’avrei cambiato e con quella convinzione avevo affrontato il campionato under 17, che all'epoca si chiamava “ragazze", e poi l'under 15 e la seconda divisione. Chissà, magari l'anno seguente ci sarebbero state nuove divise, una taglia grande per il 2 oppure qualsiasi altro numero. Qualsiasi, purché non fosse l'8.
Avevo mantenuto ben saldo questo proposito per tutta la stagione. Mi ero integrata bene nella squadra, ormai me facevo parte a pieno titolo, e l'anno seguente non mi sarei fatta scavalcare da nessuno.

Andò proprio come mi ero ripromessa. 
All’inizio della stagione 1983/1984, arrivarono nuove divise, stesso sponsor e stessi colori, e chiesi e ottenni esattamente quello che volevo: il numero 8. E di nuovo, ogni anno, per gli undici anni che seguirono.

Non l'avevo scelto,  mi aveva scelto lui: all’inizio non lo sapevo, ci ho messo un'intera stagione a capirlo, ma era ed è sempre stato il mio numero. 
Lo è ancora. 








sabato 5 febbraio 2022

Il mostro della palude

I gatti, come le persone, sono tutti diversi tra loro per aspetto, carattere, abitudini e preferenze; ogni gatto ha la propria personalità e tratti caratteristici che lo distinguono da tutti gli altri.



Fergus è il più affettuoso fratello maggiore che un gatto possa desiderare. E il gatto più dolce che un umano possa desiderare. 
Ha paura anche della sua ombra, qualsiasi rumore lo mette in allarme ed è terrorizzato dalle scarpe e da qualsiasi cosa assomigli a un bastone, comprese le gambe del mio deambulatore; questo la dice lunga su cosa possa aver passato nei suoi primi mesi di vita. 


Ettore invece sembra non aver paura di niente e di nessuno, rimane indifferente anche all'aspirapolvere e al clacson dell'auto ed è l'unico tra tutti i gatti che abbiano mai vissuto con me che non solo non è infastidito dalle mie lunghe e rumorose serie di starnuti, ma appena sente il primo, corre da me premuroso e preoccupato, a chiedermi se sto bene. È anche l'unico dei nostri gatti a cui piace essere preso in braccio e ha ancora la curiosa abitudine di pucciare i suoi giocattoli nella ciotola dell'acqua.


Matilde è iperattiva, sempre indaffaratissima in esplorazioni e altre misteriose cose micesche. Fatica a stare ferma anche quando vuole le coccole: invece di acciambellarsi pacificamente, spinge il musetto sotto la mano, cambia posizione mille volte, dà testate e mordicchia. È irresistibilmente attratta da armadi e cassetti: basta anche solo pensare di aprire un'anta o un cassetto e lei si materializza e cerca di infilarcisi dentro. La cosa vale anche per il baule della mia auto, le valigie, il borsone per l'allenamento...


Penelope guarda il mondo con gli occhioni sgranati in un'espressione di perenne meraviglia. È una gattina elegante, discreta e beneducata. È piuttosto solitaria, non si avvicina spesso agli altri gatti e agli umani di casa, ma quando lo fa, è di una dolcezza indescrivibile... a meno che non si tratti di suo fratello. Non siamo sicuri chi dei due abbia iniziato a fare dispetti all'altro, ma sospettiamo che sia Edison, che spesso la insegue; come conseguenza, lei gli soffia e gli tira una zampata ogni volta che le capita a tiro.


Edison è... Edison.
Se casca il mondo, lui si sposta. Forse.


Chiede le coccole, ma dopo pochi secondi si allontana infastidito, per tornare subito dopo a chiederle di nuovo. È capace di non farsi vedere per tutta la giornata, ma quando rientriamo dall'allenamento ci aspetta sempre sul vialetto.
Chiede da mangiare dieci volte al giorno e ogni volta si abbuffa rumorosamente; vuole sempre il cibo degli altri, anche quando la sua ciotola è piena, e li allontana con prepotenza. L'unico che accetta di mangiare vicino a lui è Fergus, che ha la pazienza di Giobbe, 
Combina disastri.


Lui e Renato si adorano, ma sembrano incapaci di gestire la relazione: è un amore tormentato. Renato cerca continuamente di prendere in braccio Edison, che detesta essere preso in braccio. Edison passa ore a guardare Renato e cerca continuamente di richiamare la sua attenzione mordendogli i piedi. Dopo qualche morso particolarmente molesto, Renato ogni tanto chiede "Perché abbiamo portato a casa Edison?"
Come tutti i nostri gatti, Edison la possibilità di entrare e uscire liberamente attraverso le gattaiole, che sono uno strumento utilissimo per evitare l'assunzione di un portiere a tempo pieno per gestire le innumerevoli richieste quotidiane di "apri-la-porta-che-voglio-uscire", "apri-la-porta-che-voglio-entrare", "apri-la-porta-che-non-so-se-voglio-uscire-o-entrare-ma-tu-aprila-lo-stesso". Lui però sembra avere una predilezione per i luoghi fangosi e quando rientra, distribuisce impronte e fango per tutta la casa. Questa fastidiosa abitudine gli è valsa il soprannome di Mostro della Palude.
Dopo la terza passata di aspirapolvere della giornata, qualche volta mi chiedo anch'io perché abbiamo portato a casa Edison...




Prima che qualcuno si lanci nella difesa del GattonGattone ipotizzando che lo accusiamo ingiustamente: ho le prove. L'abbiamo visto più volte sia giocare con la carta igienica che entrare tutto inzaccherato e scuotere energicamente le zampe per liberarle dal fango, spargendolo generosamente su pavimenti e mobili. Ma gli vogliamo bene lo stesso.