mercoledì 23 marzo 2022

Viaggio a colori

Ieri ho recuperato l'allenamento a Cesena che avevo dovuto rinviare a causa del Coronavirus.
Lo so, è un po' folle farsi trecento chilometri all'andata e altrettanti al ritorno per un allenamento, ma è una cosa che mi piace e a cui tengo molto e avevo la possibilità lavorativa ed economica di farla, e allora perché no?
Sarebbe stato anche il mio primo viaggio lungo da sola dopo l'amputazione, una sfida per me, un modo per mettermi alla prova, per capire quanto posso fare e dove posso arrivare con la mia disabilità.


La prima parte del viaggio, fino a Padova, è routine, una strada che ho percorso centinaia di volte, di cui conosco ogni scorcio: vigne, fabbriche, campi, la maggior parte ancora spogli perché destinati a soia o mais, alcuni invece già colorati di verde dai primi steli di frumento, ogni tanto la pennellata di colore di un frutteto in fiore.

Il tratto fino a Bologna mi è meno familiare, ma comunque conosciuto. La zona industriale di Padova, i Colli Euganei con i potenti ripetitori radiotelevisivi del Monte Venda che da anni sparano i loro segnali a centinaia di chilometri di distanza (ma preoccupatevi pure del 5G che ha una potenza di segnale bassissima, mi raccomando...), le Sette Chiese della Rocca di Monselice. 
Una sosta all'area di servizio per sgranchirmi la gamba e usare il bagno, poi l'Adige, Rovigo e Occhiobello, sempre con un pensiero pieno di affetto e gratitudine per i prozii Lino e Jole, che da bambina andavo a trovare almeno una volta all'anno a Fiesso Umbertiano, quando in paese c'era la festa con le giostre. E i loro gatti, naturalmente: una coppia di siamesi, Micetta e Luca, con le loro meravigliose cucciolate. Lo zio Lino, un modello di incorruttibile integrità e onestà, mi insegnava a giocare a scacchi e ogni giorno mi dava i soldi per il gelato e per le giostre. Io non spendevo mai tutto, ogni sera gli portavo il resto e ogni volta mi diceva che potevo tenerlo. Mai una volta ho omesso di riportargli quello che non avevo speso e mai una volta lui l'ha voluto riprendere.

Il ponte sul Po e il Veneto lascia spazio all'Emilia: Ferrara, Altedo e poi Bologna, dove termina la A13 e le sue anacronistiche due corsie si espandono a destra nella A1, l'Autostrada del Sole, verso Firenze, e a sinistra nella A14 Adriatica, verso la Romagna, la mia destinazione. Poco più avanti, la torre Unipol e ogni volta mi chiedo se riuscirò mai a guardarla senza un moto di fastidio e un ricordo: “Abbiamo una banca?”. 
 A San Lazzaro parte in automatico la canzone: 'A san sté a la Fiera di S. Làsaro, oilì, oilà... Se non conoscete l'Opera Buffa di Guccini, ascoltatela almeno una volta: risate garantite!


Il paesaggio cambia, qui l'agricoltura è più diversificata rispetto alle mie zone, i campi sembrano tutti diversi tra loro, ci sono meno vigne e tantissimi frutteti. 
Un paio di settimane fa, la primavera era solo un sussurro, una promessa di gemme sui rami. Oggi invece ai lati della strada c'è un’esplosione di germogli e di fiori, bianchi e in tutte le tonalità di rosa. Mi chiedo sempre per quale motivo nessuno degli alberi da frutto delle nostre zone abbia i fiori gialli, arancioni o rossi.

All'altezza di Castel San Pietro mi incuriosisce una struttura enorme, un magazzino bianco e rosso che costeggia l'autostrada, privo di insegne. Cercando in rete, ho poi scoperto che è un nuovo polo logistico.
Imola è un pensiero di motori ruggenti e del recente, splendido trionfo della Ferrari in Bahrein.


Subito prima dell'uscita di Faenza mi chiedo cosa siano queste strane strutture, ma questa volta non ho trovato risposte in rete: qualcuno lo sa?


Lascio l'autostrada a Faenza: voglio fermarmi a salutare una persona con cui lavoro da quattro anni, con frequenti scambi di messaggi e telefonate, ma che non ho mai incontrato di persona. 
La prima cosa che colpisce di Faenza, e colpisce forte, è... l'odore. Ho scoperto che proviene da alcuni impianti di produzione alimentare vicini all'autostrada, oleifici e distillerie. 
Dopo il piacevole incontro con Elisa, non rientro in autostrada ma imbocco la via Emilia, e il pensiero torna ancora a Francesco Guccini.


La statale costeggia  case con giardino e finalmente ecco qualche fiore giallo, forsizie, e più avanti un campo di colza. Pianura fertile, colline dolci, una terra laboriosa tra campi e fabbriche.
Il tramonto inonda d’oro le colline romagnole. Lo so, lo so che ci vorrebbe un po’ di pioggia, che questa siccità è stata troppo lunga e la pagheremo cara, la stiamo già pagando, non oso pensare a quali livelli possano aver raggiunto polveri sottili e altri inquinanti dopo così tanti giorni senza precipitazioni. Ma non oggi, per favore: oggi voglio solo immergermi in questa luce dorata che accompagna gli ultimi chilometri del mio viaggio.

Il navigatore e i cartelli stradali mi informano che Cesena non ha una tangenziale, come molti altri centri abitati, ma una secante. Poco dopo capisco il significato di questo termine: il tratto centrale della strada è un lunghissimo tunnel che passa proprio sotto il centro città.
Non posso certo affrontare il viaggio di ritorno di tre ore dopo l'allenamento, quindi ho scelto per la notte un agriturismo con ottime recensioni, i cui proprietari sono stati gentilissimi nel fornirmi foto e video della stanza e del bagno per consentirmi di valutarne l'accessibilità. 
Il posto è fuori mano, a qualche chilometro dalla città; la strada si arrampica sulla collina arrotolandosi in tre tornanti che mi mettono addosso un po' di preoccupazione, perché non amo le strade in pendenza ed è difficile mantenere una pressione costante sull'acceleratore al volante durante le curve strette. La mia auto dimostra ancora una volta di avere tutto ciò di cui ho bisogno: il cambio automatico mi permette di superarli senza particolare difficoltà, anche non mi entusiasma l'idea di doverli percorrere di nuovo più tardi, al buio, per andare e tornare dalla palestra.

Imbocco la strada sterrata che porta all'agriturismo, solo un centinaio di metri fino al vialetto d'ingresso, costeggiato da un lato da cespugli di rosmarino in fiore, mentre sull'altro digrada dolcemente un uliveto. Un cagnolino chiaro corre ad accogliermi, ma senza avvicinarsi troppo alla macchina: bravo cane! 
Parcheggio vicino all'entrata della mia stanza, scendo per scaricare la sedia a rotelle, ma quando arrivo al bagagliaio, rimango senza fiato: da qui si gode una vista spettacolare: Gambettola, Sant'Angelo e, in fondo, Bellaria, Igea Marina e l'Adriatico.


I proprietari mi vengono incontro e mi aiutano a scaricare le mie carabattole. Stanza e bagno sono confortevoli e pulitissimi, mi riposo per un'oretta, poi mi cambio per l'allenamento. 
San GoogleMaps mi guida alla palestra, mentre parcheggio arriva Monica, l'allenatrice, che mi informa che purtroppo saremo in pochi a causa di una sfortunata combinazione di influenze e infortuni. Nessun problema, riusciremo comunque a fare un buon lavoro.
La mia presenza è una sorpresa per la squadra, solo Monica sapeva che sarei venuta, ma mi accolgono tutti con grande calore.


E dopo la fatica, terzo tempo in birreria!
I tre tornanti non mi hanno creato problemi nemmeno al buio (no, la birra non c'entra: io ho bevuto solo acqua!) e sono tornata in agriturismo stanca, ma soddisfatta: ne valeva la pena.
E tra dieci giorni si replica, ma non sarà più solo allenamento! 




venerdì 18 marzo 2022

Fate partire la ola!

Ho aspettato di avere in mano il certificato medico che autorizza il mio ritorno in campo dopo il Covid per l'annuncio ufficiale, ma adesso ci siamo: ho fatto la visita stamattina e l'ho superata con lode, con una prestazione da sforzo nettamente migliore rispetto alla prima visita, senza dubbio grazie all'impegno di questi mesi di allenamento. 

Sarò quindi in campo in panchina nel campionato italiano di sitting volley femminile 2022 con le straordinarie ragazze del Volley Club Cesena 


Sarà un'occasione per imparare da atlete molto più forti di me e per vivere un'esperienza sportiva meravigliosa, che solo pochi mesi fa non avrei mai nemmeno osato immaginare.

La prima fase si giocherà in forma ridotta perché una delle squadre del girone purtroppo si è ritirata. Ci sarà dunque solo un weekend di gare a Cesena, nella palestra Collodi in Via Recoaro 77:
  • sabato 2 aprile ore 17:30 Cedacrì SV GiocoParma - Volley Club Cesena
  • domenica 3 aprile ore 10:00 Cedacrì SV GiocoParma - Volley Club Cesena
  • domenica 3 aprile ore 13:00 Volley Club Cesena - Cedacrì SV GiocoParma
Il ritiro della terza squadra del girone ci qualifica automaticamente per la fase successiva, la Final Six che si giocherà nel fine settimana 6-8 maggio, in località ancora da definire.

Cioè, vi rendete conto?
Parteciperò alle finali nazionali del campionato italiano di sitting volley!!!
Sarò in panchina perché tutte le altre ragazze della squadra sono nettamente più forti di me (e anche più giovani, più magre, più esperte, più veloci...), ma ci sarò. Ed è una gioia immensa.

Venite a fare il tifo?


martedì 15 marzo 2022

Una vecchia storia

C’è una storia che racconto spesso, soprattutto quando mi presento a qualcuno per la prima volta, ma non ho mai riportato sul blog, una storia vecchia come me: è la storia del mio doppio nome.


Quando mia madre rimase incinta, nel 1968, l’ipotesi che si trattasse di un maschio fu presa solo brevemente in considerazione, lei era assolutamente sicura di aspettare una bambina e aveva scelto subito il nome: Mia.
Forse aveva già intuito che le promesse di mio padre di prendersi le proprie responsabilità e sposarla erano parole al vento e che sarebbe diventata una ragazza madre, con una figlia illegittima - all’epoca i bambini nati fuori dal matrimonio si chiamavano così – che avrebbe dovuto tirare su da sola e quel nome era la sua dichiarazione che ce l’avrebbe fatta. O forse voleva solo essere anticonvenzionale, in quella come in tante altre cose.

Nel 1969 non c’era l’attuale urgenza di registrare immediatamente le nascite all’anagrafe e richiedere il codice fiscale, il mio venne rilasciato per la prima volta quando avevo quindici o sedici anni, quindi mia madre ebbe tutto il tempo di uscire dalla clinica in cui aveva partorito e recarsi negli uffici dell'anagrafe di Roma per dichiarare la mia esistenza allo Stato. 
Quando comunicò all'impiegato il nome che aveva scelto per me, la sua aspirazione all’originalità venne brutalmente frustrata.
Non si può”, rispose l'addetto, “Mia non è un nome, ma un aggettivo e potrebbe creare disagio e imbarazzo alla bambina.

Come ho scoperto diversi anni dopo, gli ufficiali di stato civile hanno il dovere di rifiutare i nomi che potrebbero risultare “offensivi, ridicoli o vergognosi". Evidentemente c’è una certa discrezionalità in questa valutazione, perché ci sono in giro nomi davvero imbarazzanti, imposti da padri e madri a cui si dovrebbe togliere la potestà genitoriale. Forse se mia madre si fosse rivolta allo sportello a fianco avrebbe trovato un impiegato più accondiscendente, ma quello fu inflessibile: Mia non era un nome accettabile. 
La Maria fu presa completamente alla sprovvista e costretta a rivedere, in pochi secondi, la decisione che aveva mantenuto ben salda nei nove mesi precedenti. Non aveva un piano di riserva e l’addetto allo sportello la incalzava: “Allora, che nome metto?
Camilla."

E Camilla fu, ed è ancora, ma solo all’anagrafe. 
Il prete americano che mi battezzò nella chiesa di San Sebastiano alle Catacombe non ebbe alcuna obiezione su Mia Camilla. In famiglia tutti mi hanno sempre chiamato Mia e anche a scuola e quasi sempre anche al lavoro. Talvolta si sono addirittura generati equivoci, perché tantissime persone non sanno nemmeno che il mio nome anagrafico è Camilla e hanno utilizzato Mia su documenti ufficiali.

In effetti il nome che mi ha provocato disagio e imbarazzo nell'infanzia è stato Camilla, non Mia: ora è abbastanza comune, ma negli anni settanta era molto insolito e mi ha attirato numerose prese in giro, spesso banali - Camilla coccodrilla, Camilla camomilla – ma con qualche guizzo di originalità – Camilla cammella – che ho sportivamente riconosciuto e apprezzato. 
Mi ero anche informata sulla possibilità di cambiare nome e l'iter non è nemmeno troppo complicato, bisogna presentare richiesta motivata al Prefetto, e costa meno di venti euro, ma comporterebbe, oltre al rinnovo di tutti i documenti, anche la modifica del codice fiscale, che andrebbe aggiornato in innumerevoli contesti privati e professionali: anagrafe tributaria e sanitaria, INPS, banche, clienti, fornitori… Catastrofe garantita!

Quando avevo più o meno tredici anni, ho chiesto a mia madre perché quel giorno all’anagrafe, tra tanti nomi possibili, le fosse venuto in mente proprio Camilla.
“Mi dava l'idea di una donna molto alta, molto magra, che sarebbe andata a cavallo e avrebbe sposato un nobile.”
“Ahò, ma ne avessi azzeccata una!”



P.S.: nel gennaio del 1969, Sua Altezza Reale Camilla Mountbatten-Windsor, duchessa di Edimburgo e di Cornovaglia, aveva poco più di vent’anni, si chiamava Camilla Shand, non aveva ancora incontrato Carlo d’Inghilterra e in Italia nessuno aveva mai sentito parlare di lei. Ma la Maria l'aveva già descritta alla perfezione.


giovedì 3 marzo 2022

Andato!

Il virus ha tolto il disturbo in una decina di giorni senza avermi portato sintomi più severi di quelli di una comune influenza.
Forse se n'era andato anche prima, ma i medici dell'USCA che mi hanno monitorato quotidianamente mi avevano consigliato di aspettare almeno un paio di giorni dopo la fine della terapia antivirale prima di fare il tampone di controllo. Ho seguito le loro indicazioni, per ridurre al minimo le probabilità di un altro tampone positivo, che avrebbe automaticamente prolungato l'isolamento di un'altra settimana, rubandomi altre cose a cui tengo molto: un allenamento di sitting volley a Cesena domenica prossima e il ritorno su un palcoscenico che amo particolarmente.


Archiviata la pratica Covid, rimane la gratitudine per aver potuto usufruire di tutto ciò che può aiutare a ridurre il rischio di complicanze: la vaccinazione, la consulenza con l'infettivologo, il servizio di assistenza domiciliare e il farmaco antivirale. Sono sempre acutamente consapevole della fortuna di avere un servizio sanitario pubblico che, pur con tutti i suoi limiti e difetti, mi consente di accedere a prestazioni di eccellenza che mai potrei permettermi privatamente.

Ora posso riprendere la mia routine fatta di lavoro, sport, teatro e, si spera, qualche occasione di socialità in più, perché gli ultimi due anni ci hanno fatto rintanare davvero troppo.

E ascolto l'eco dei venti di guerra a est, direttamente dalla voce spezzata dall'ansia di chi in Ucraina ha figli, nipoti, parenti e amici, e mi sembra di risentire la voce di mia madre, quando le chiedevo: "Raccontami di quando eri piccola!" Storie di sirene, rifugi e bombardamenti, di buio e paura. Storie che non sarebbero mai dovute tornare. 

credit Eddie Lobanovskiy