mercoledì 15 dicembre 2010

Esperienze di day-hospital

Lunedì ho accompagnato la mamma alla prima somministrazione di albumina e per la prima volta ho toccato con mano quello che prima avevo soltanto letto sui blog degli altri, in particolare le storie di Widepeak e Mamigà sui volontari ospedalieri e i compagni di chemio.

Le mie esperienze di day-hospital oncologico tutto sommato sono state piuttosto limitate: arrivavo, aspettavo un po' (o tanto) in sala d'attesa, facevo il cambio di serbatoio della chemio e/o la medicazione del CVC e arrivederci alla prossima settimana o addirittura a quella dopo. Solo un paio di volte mi sono fermata per le flebo idratanti e il cortisone, ma stavo così male che non ero assolutamente in grado di relazionarmi con gli altri pazienti e il mio contatto con le volontarie si è limitato ad una richiesta di informazioni sull'ubicazione dell'ambulatorio la prima volta che sono stata al CRO e un paio di visite durante il ricovero da parte della mamma di una mia amica.
Ma non è mai troppo tardi per vivere nuove esperienze...

Lunedì mattina, seguendo le indicazioni di questo post di Wide, ci siamo armate di abiti comodi, libro (per me), Settimana Enigmistica (per la mamma), bottigliette d'acqua (una per me e una per la mamma), penna e bloc notes (non si sa mai, vero Wide?), supermegasmartphone con MP3 e giochini (ho scoperto che c'è pure il solitario di carte che faceva sempre mio nonno), pazienza, sorrisi ed ironia (che con la Maria non mancano mai).
La mamma inizia ad avere grossi problemi di gonfiore, dovuto all'accumulo di liquidi nella pancia e nelle gambe, ormai le è molto difficile camminare o anche solo stare in piedi e in ospedale deve utilizzare la sedia a rotelle: la accompagno all'entrata del pronto soccorso, la parcheggio su una carrozzina in un angolo riparato, vado a cercare un posto per la macchina, poi torno a recuperarla e andiamo a fare i nostri giri.
Il day-hospital oncologico è al quarto piano. Nel corridoio ci ha accolto una delle volontarie dell'associazione In Famiglia, che si è subito preoccupata di trovare una sistemazione per la mamma in una delle due stanze, stipate di letti, poltrone e relativi chemioccupanti.

Speravamo in un letto per dare la possibilità alla mamma di tenere le gambe sollevate,  ma era disponibile soltanto una poltrona, fortunatamente dotata almeno di poggiapiedi. La volontaria ha aiutato la mamma ad accomodarsi, le ha procurato una coperta e le ha chiesto se desiderasse qualcosa da bere, un tè, un cappuccino, un bicchiere d'acqua... La mamma ha chiesto il tè, che pochi minuti dopo le è stato servito dalla volontaria, offerto dall'associazione In Famiglia. Più tardi, quando ha iniziato ad avere fame, sono arrivate anche fette biscottate e marmellata: un servizio a cinque stelle!

La giornata era critica: mancava uno dei medici e c'era stato qualche problema in laboratorio, tutte le analisi erano in forte ritardo, quindi molti pazienti stavano ancora aspettando le loro infusioni.
Nella poltrona vicina a quella della mamma c'era una signora ultraottantenne che voleva giocare a "chi-sta-peggio", convinta evidentemente che le spettasse la palma di più sfortunata del mondo, o almeno della stanza, posizione peraltro non facile da sostenere dato che era decisamente arzilla e l'unico tra gli altri pazienti che avesse un aspetto migliore del suo era un uomo che avrà avuto sì e no la mia età e - mi scuseranno gli anziani - se devo fare una classifica direi che avere il cancro a quarant'anni è decisamente peggio che averlo a ottanta. Ovviamente mia madre non è la persona più indicata a far da spalla per questo tipo di giochini: quando la vecchia le ha confidato di essere in cura ormai da tre anni, la Maria ha risposto candidamente che lei aveva appena cominciato, ma che di sicuro fra tre anni non ci sarebbe più stata perché il cancro l'avrebbe uccisa molto prima. Zittita la vecchia. Per cinque minuti. Poi ha proposto, un po' esitante: "Non potremmo dire un rosario tutti insieme?". Stavo per scoppiarle a ridere in faccia, il pensiero è volato istantaneamente al post di Wide, ma non c'è stato bisogno di rispondere, per fortuna uno degli altri pazienti ha stroncato la proposta con un secco "No, il rosario no".

Nel frattempo il mio cervello lavorava freneticamente per cercare di risolvere un dilemma che mi attanagliava ormai da tre anni: dove ho già visto quell'infermiera del day-hospital? L'avevo incontrata all'inizio del 2008, quando ero andata a farmi fare il lavaggio del CVC ed entrambe eravamo convinte di esserci già incontrate, ma dove? Oratorio? No. Scuola? Nemmeno. Volontariato? Neanche. Mah... Eravamo rimaste entrambe con il dubbio.
Lunedì, finalmente, la rivelazione: improvvisamente i pezzi sono andati al loro posto e ho ricordato che più di dieci anni fa era stata la ragazza di un compagno di squadra del mio ex. Reciproca soddisfazione per esserci finalmente tolte questo dubbio su come e quando ci fossimo conosciute.

Le cose andavano per le lunghe: il farmaco per la mamma non c'era, dovevano farlo arrivare da San Donà. Per fortuna nel frattempo lei si è addormentata e io ho diviso il tempo tra il libro e il solitario di carte del nonno, scambiando di tanto in tanto qualche parola con la volontaria e con gli altri pazienti.
Finalmente è arrivato il flacone di albumina e un'infermiera (non quella che conoscevo, un'altra) è entrata a chiedere conferma dell'identità della mamma. Le ho ripetuto nome e cognome, ma dopo qualche minuto è tornata, visibilmente incerta, a chiedermi: "Ma... la signora Maria... del 1934?". "Sì, certamente, 28 luglio 1934, perché?". "No, sa, è solo che sembra tanto più giovane..."
La mamma sentendo il suo nome si era svegliata, ma non era riuscita a cogliere lo scambio di battute. Ha chiesto cosa succedeva e le ho spiegato che l'infermiera non pensava che lei potesse avere 76 anni. Ha gongolato. Pochi minuti dopo, l'infermiera è entrata con la flebo, si è avvicinata a me e ha chiesto su quale braccio preferivo mettere l'ago. Io e la mamma abbiamo rischiato di soffocare dalle risate.

L'infusione è durata una ventina di minuti, poi ho ricaricato la mamma sulla sedia a rotelle e ripetuto l'iter al contrario: sistemazione in un angolo del pronto soccorso, recupero auto, recupero mamma. Siamo arrivate a casa poco dopo le 14: ci sono volute quasi 4 ore per un flaconcino di albumina. Però ci siamo divertite un sacco.



1 commento:

  1. Miiiiiiiiiii..........ma la Maria ha un anno in meno di mia madre!!!
    Adesso capisco, è quel decennio lì che sforna persone in gamba, noi non ce la potremo mai fare

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