La fiamma di Tokyo si è spenta, ammainata la bandiera a cinque cerchi: cala il sipario sui Giochi della XXXII Olimpiade.
Un'edizione realizzata con un immane sforzo collettivo di migliaia di persone che si sono date da fare per superare enormi difficoltà organizzative e logistiche, adattandosi a situazioni inedite e spesso sgradevoli. Ricorderemo i posti vuoti dello stadio olimpico, l'eco che rimbalza sulle gradinate deserte dei palazzetti, i volti nascosti dalle mascherine. Ma grazie alla collaborazione di tutti, abbiamo qualcosa da ricordare, e non è poco.
Nelle ultime due settimane ho sfruttato selvaggiamente lo smart working, che non è solo telelavoro, ma lavoro agile, flessibile. Ho portato a termine tutte le mie incombenze tra una gara e l'altra in orari talvolta assurdi, mi sono alzata nel cuore della notte, ho dormito a intermittenza sul divano.
Ho preparato e aggiornato giorno per giorno il mio calendario delle gare, perché nessuno di quelli disponibili on line era adeguato alle mie esigenze. Ho seguito più di 25 discipline sportive, sfruttando appieno la pay TV che offriva - finalmente - la possibilità di visualizzare quasi ogni singola gara. Ho corso, saltato, lanciato, nuotato, cavalcato, pedalato, tirato, volteggiato, sparato, palleggiato, remato, combattuto... Ho vinto e ho perso. Mi sono divertita, incuriosita, emozionata, entusiasmata, avvilita. Ho esultato e sofferto.
È stato bellissimo.
Ho vissuto un'altra Olimpiade: è una grande vittoria.
Posso sognare ancora.
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