Durante la bella stagione, davanti a casa mia si vedono spesso gruppetti di bambini che giocano, i più piccoli sotto l'occhio vigile delle mamme, che ne approfittano per fare due chiacchiere tra di loro.
Questa cosa mi piace un sacco.
Ho un bellissimo ricordo dei giochi per strada di quando ero bambina. Alla sera ci si poteva incontrare anche nelle vie più vicine al centro, perché le auto erano davvero poche e andavano piano: il primo che vedeva i fari in lontananza gridava "Macchinaaa!" e allora si fermava il pallone, la bicicletta, i pattini o lo skateboard (sì, esisteva anche quando io ero piccola, nato da poco e molto più sottile e meno maneggevole di quelli attuali... quindi noi che lo sapevamo usare eravamo più bravi!) e si aspettava che l'auto si allontanasse.
Mi piace rivedere queste dinamiche anche adesso, in un'epoca in cui spesso i bambini non hanno molte occasioni di stare all'aperto e passare del tempo con i loro coetanei.
All'inizio della via abita una ragazzina, credo che abbia più o meno 13 anni. Ha un bel musetto sbarazzino e i capelli corti. Non li ha più lasciati allungare molto da quando le sono ricresciuti dopo la chemioterapia.
Stamattina, passando davanti a casa sua, l'ho vista per strada, insieme ad altri ragazzi. Guardandola chiacchierare in mezzo a quel gruppetto, mi sono chiesta quali segni può averle lasciato l'esperienza della malattia.
Sicuramente durante il periodo delle terapie si sarà sentita diversa dai suoi coetanei, probabilmente ne avrà sofferto, forse avrà provato rabbia per quella normalità che le veniva negata.
E adesso?
A guardarla insieme agli altri sembrava in tutto e per tutto uguale a loro: parlava, scherzava, rideva... Ma mi sono domandata se anche lei, come me, a volte si sente un'aliena rispetto alle persone che la circondano. Se anche lei, come me, ogni tanto pensa che il cancro ha scavato un solco che la separa dal mondo dei sani, di quelli che non hanno mai incontrato questa malattia. Se anche lei, come me, deve fare i conti con la solitudine dei diversi e con una paura senza nome, che non si può dire né mostrare a nessuno.
Ho sperato, dal profondo del cuore, che la vita possa restituirle tutto quello che il cancro le ha portato via. Ma non ne sono tanto sicura.
ha 13 anni non ho dubbi che saprà riprendersi tutto, non perché sia meno dura x un bambino/ragazzo, ma perché hanno più vita addosso e dentro, per fortuna
RispondiEliminaCara Mia, penso che Wide abbia ragione, forse a 13 anni... c'e' più vita "dentro" e meno strutture. Diciamo che mi paice pensare cosi. Mi fa soffrire menoi. Leggere le tue parole ha aperto, in me, un contenitore che da qualche tempo cercavo di tenere chiuso.. Ma che premeva...
RispondiEliminaLa rabbia, il senso di ingiustizia, il vedere il mondo suddiviso da chi la malattia la conosciuta e da chi no....
Tutte questioni ancora aperte, tutte questioni ancora da metabolizzare, tutte questioni con cui, comunque, venire a patti. Un abbraccio. Leggerti è un piacere
Scusa l'italiano... ho scritto con il cuore. Rileggendo mi sono spaventata :-)
RispondiElimina... nel mio piccolo (nemmeno paragonabile alla forza che ha una persona malata che affronta delle terapie) posso garantirvi che il crescere "diversa" dagli altri ( per un senso o per l'altro, ognuno vede le sue "patologie o handicap" sempre enormi)ti aiuta a vedere altri punti di vista, a vedere il lato delle cose e delle persone che gli altri non colgono ed imparare a capire quali sono le cose preziose. Ci sono mille momenti in cui dici..."ma ca...o! Perchè a me?!?"...eppure in certi momenti sono consapevole di aver capito cose che chi stà bene non capisce, anche solamente a livello psicologico: l'affetto incondizionato, una carezza, un saluto, un piccolo aiuto.
RispondiEliminaNon lo so ma un abbraccio solidale a lei e a te.
RispondiEliminaSe vi conoscete, perchè non parlarle?? E' pur vero che a 13 anni si ha più vita dentro, per fortuna, ma è anche vero che le riflessioni più forti si hanno nell'età adolescenziale è quel momento di formazione che a parer mio è molto delicato, come un cristallo. Dipende da un sacco di circostanze e da chi ti è vicino saper superare per andare oltre.
Un baciottone
4p
Io, alla fine delle cure, per un pò mi sono sentita speciale. Diversa dagli altri, questo si, ma non per difetto. Spero che per lei sia così e che poi superi del tutto quello che le è successo
RispondiElimina...non so se le verrà mai restituito il "mal tolto", suo malgrado. Credo anche che la malattia l'abbia fatta "crescere troppo in fretta",perchè avrà sopportato sofferenze che nessuno dovrebbe conoscere, men che meno un bambino. Le auguro che il futuro le riservi belle sorprese, tanta salute e un po di fortuna (che non guasta mai)in modo da potersi "riscattare", in piccola parte, per quella parte di fanciullezza non vissuta come la sua tenera età avrebbe naturalemente richiesto....e ora che si goda i "giochi in strada"...
RispondiEliminahai risvegliato in me meravigliosi ricordi.....rita
Come dice Vale, la "diversità" di chi ha sofferto non è necessariamente negativa, anzi spesso si manifesta proprio in una maggiore consapevolezza e sensibilità. Ma queste sono cose che si apprezzano maggiormente da adulti, mentre quando si è così giovani di solito si desidera soprattutto sentirsi "normali".
RispondiEliminaSpero che lei non senta il peso di ciò che la malattia le ha tolto, ma nemmeno di ciò che le ha dato.