venerdì 7 ottobre 2022

Questa è fatta

Sono tornata a casa ieri, dopo una degenza di circa 30 ore.
Grazie al preziosissimo aiuto di Emanuela e Maurizio, che si sono sobbarcati la levataccia per accompagnarmi, mercoledì mattina alle 8 ero davanti alla guardiola del reparto di pneumologia, dove mi hanno fornito subito il certificato di ricovero da presentare al lavoro. 
Il mio letto però non era ancora pronto, stavano completando le dimissioni di un'altra paziente, ma il trasporto per la broncoscopia era previsto alle 9:30 e bisognava eseguire alcune procedure preliminari, quindi hanno pensato di sistemarmi provvisoriamente in stanza con un uomo, il signor Carlo, posizionando un paravento tra i due letti per garantire la privacy.
Ho dovuto attendere un po' in corridoio perché le OSS stavano lavando il signor Carlo, poi ho preso possesso del mio letto, ho messo il pigiama e la ciabatta e sono andata in bagno.


Anno Domini 2022, Azienda Ospedale-Università di Padova: nel bagno della camera non ci sono né i maniglioni di sostegno, né il sedile doccia, né i sanitari rialzati, anzi, WC e bidet sono addirittura più bassi della media. Praticamente un bagno inaccessibile non solo per le persone con disabilità, ma anche per chiunque abbia qualche problema di mobilità. Complimenti!
Ho chiesto se ci fosse da qualche parte nel reparto un bagno attrezzato per disabili. Imbarazzo palpabile. No, forse al piano terra, i bagni per i visitatori...
Ma scherziamo?!?


Una cosa indegna, per cui l'Azienda Ospedaliera ha già ricevuto un mio reclamo formale.

L'infermiera mi ha chiesto se avevo fatto il tampone Covid e alla mia conferma ha detto che potevo togliere la mascherina. Meno male: non sapevo quali fossero le regole per i pazienti, ma mi preoccupava l'ipotesi di dover dormire con la FFP2.
Il signor Carlo, oltre alla patologia polmonare per cui era ricoverato, aveva evidenti problemi cognitivi: era disorientato nel tempo e nello spazio e continuava a chiamare il personale per chiedere di andare a casa. Mi ha fatto pena.

È iniziata l'ennesima serie di esami, con misurazione della pressione e saturazione di ossigeno.
Dopo aver attentamente esplorato le vene, l'infermiera ha inserito l'agocannula nel mio braccio sinistro, ma ho capito subito che non era andata benissimo, la vena era sottile e la cannula grattava contro la parete. Ha tentato di prelevare il sangue da lì, ma è riuscita a riempire a malapena una provetta su quattro e ha dovuto bucare un'altra vena, più in alto sullo stesso braccio, per completare il prelievo. L'agocannula però è rimasta lì, fastidiosamente.
Subito dopo mi hanno fatto un elettrocardiogramma, poi è venuto il medico a visitarmi e sforacchiarmi ancora, questa volta il polso destro, per l'emogas analisi.
È arrivata poi un'altra infermiera a porgermi un barattolo per la raccolta delle urine. "Non se ne parla proprio!", ho risposto "In un bagno privo di maniglioni e con il WC così basso, per me è impossibile riempire quel barattolo." Imbarazzatissima, mi ha portato la padella (ve lo ricordate, vero, che con la mia raccolta punti finisco sempre per vincere una padella?).
Giusto in tempo: nel frattempo era arrivato il barelliere dell'ambulanza per portarmi al day hospital pneumologico in cui sarebbe stata eseguita la broncoscopia, in un altro edificio dell'enorme complesso ospedaliero padovano.
Il trasporto è stato un film già visto: caricamento della barella in ambulanza, transito lungo le vie interne, scarico e parcheggio nella stanzetta di transito, in cui avevo passato più di qualche ora durante il ricovero del 2019. Questa volta l'attesa è stata abbastanza breve, una decina di minuti, prima che arrivasse una barelliera del servizio interno per portarmi alla destinazione finale. Ancora attesa in corridoio, circa mezz'ora, prima che arrivasse il mio turno.
Prima di iniziare, il medico mi ha spiegato che avrebbero esplorato ecograficamente la zona dell'addensamento, dall'interno dei bronchi (broncoscopia EBUS), e avrebbero eseguito le biopsie solo se fossero stati certi di raggiungere l'area da esaminare, altrimenti avrebbero interrotto l'esame.

Quando mi hanno iniettato il primo farmaco, ho avuto la conferma che l'agocannula non era collocata bene: il bruciore è stato fortissimo, ed è andata anche peggio con il sedativo, di cui ho il sospetto che una parte sia finita fuori dalla vena, perché la sedazione è stata decisamente troppo leggera, per i miei gusti: nessun dolore, ma ho percepito distintamente la sensazione del corpo estraneo nelle vie aeree. Ho tossito per tutta la durata dell'esame, e questo mi hanno detto che è normale, ma pur non essendo del tutto cosciente, ho sentito ogni singolo colpo di tosse, è stato come un sogno in cui tossivo perché non riuscivo a respirare. Niente di tragico, ma decisamente sgradevole.


Il boccaglio che mi teneva la bocca aperta ha evitato che mordessi la sonda o mi spaccassi i denti, ma mi sono ritrovata comunque una piccola ferita all'interno del labbro inferiore, a testimonianza della reazione violenta e incontrollabile alla presenza di un tubo nei polmoni.
Quando ho ripreso pienamente conoscenza, il medico ha confermato di essere riuscito a eseguire tutti i prelievi necessari. Meno male: sottoporsi a un esame così fastidioso senza ottenere il risultato voluto sarebbe stato particolarmente spiacevole.
Mi hanno tenuto in osservazione per circa un'ora al day hospital, ma già dopo dieci minuti mi hanno tolto il tubicino dell'ossigeno, perché saturavo perfettamente. Ho tossito un po', inevitabile e necessario per liberare i bronchi, ma senza dolore né tracce di sangue.
Il rientro è stato veloce, nessuna attesa nella stanza di transito, l'ambulanza era già pronta per riportarmi in reparto.

Nel frattempo il mio letto era stato spostato in una stanza femminile, dove al di là del paravento c'era la signora Stella, amorevolmente assistita da un compagno straordinariamente premuroso e visibilmente sollevato quando gli ho confermato che non sarebbe venuto nessuno a trovarmi e lui poteva restare fino alla fine dell'orario di visita (c'è il limite di un visitatore per stanza).
Sono passati i medici a vedere come stavo: nessun problema, solo qualche colpo di tosse e un po' di raucedine.
Dovevo andare in bagno, ma volevo essere sicura di non correre rischi. Ho provato ad alzarmi, mi sentivo stabile e non c'era traccia di capogiri. Per prudenza, uno dei medici mi ha accompagnata. Sono riuscita a fare tutto da sola, utilizzando la mia stessa sedia a rotelle come maniglione di appoggio, ma solo perché sono in discreta forma fisica, un anno fa non ce l'avrei fatta. Diciamo comunque che queste 30 ore di ricovero con bagno inaccessibile mi hanno permesso di recuperare almeno in parte gli allenamenti persi in questi giorni. Non ci credete? Provate a fare squat con una gamba sola...


Intanto piovevano messaggi di amici e parenti che chiedevano notizie e mi invitavano a riposare. Ma scherzate? C'è Italia-Giappone, campionato mondiale di pallavolo femminile!
In camera non c'era la TV, quindi mi sono dovuta accontentare del telefonino e sono riuscita a seguirla lo stesso... più o meno, perché ci sono state numerose interruzioni, in particolare la sostituzione dell'agocannula malefica che continuava a tormentarmi. Ho chiesto di toglierla, ma l'infermiera nicchiava: tutti i pazienti ricoverati devono avere un accesso venoso pronto in caso di emergenza. "Non sono contraria all'agocannula in generale, ma a questa, perché è messa male e se torno a casa con una flebite, mi arrabbio..." Dopo questa velata minaccia, si è arresa.
Quarto sforacchiamento della giornata, questa volta sul braccio destro. Niente da fare, la vena si è nascosta. L'infermiera allora ha chiamato il "mago delle vene", un collega particolarmente abile in queste operazioni, che in effetti ha centrato perfettamente al primo colpo - ma per me era il quinto buco - una vena di diametro adeguato sul braccio sinistro. Vena centrata talmente bene, che poi è dovuta venire la OSS a cambiare il lenzuolo, copiosamente macchiato di sangue.
Sono riuscita a vedere quasi tutto l'ultimo set della partita, che le ragazze terribili hanno vinto con il punteggio di 3-1.


Sono quindi andata a presentarmi alla mia compagna di stanza, al di là del paravento. La prima impressione è stata di una persona terribilmente lamentosa, ma nelle ore successive ho capito che aveva effettivamente alle spalle una storia clinica impegnativa ed era alle prese con la difficile gestione del dolore neurologico. Quando ha scoperto che ho esperienza di questo problema, e potevo quindi capire il suo disagio, ho percepito distintamente il suo sollievo per sentirsi finalmente compresa. Nelle ore che abbiamo passato insieme, pur senza vederci quasi mai per la costante presenza del paravento tra i due letti, mi ha raccontato tantissime cose della sua vita, della famiglia, del compagno, del figlio, della malattia... Diceva che per la prima volta aveva trovato una persona con cui sentiva di potersi aprire completamente. Ha pianto, quando mi hanno dimessa.
Da parte mia, ho cercato di offrire comprensione e incoraggiamento; in particolare, quando sono venute le fisioterapiste per farla alzare per la prima volta dopo mesi, l'ho sollecitata a provarci. È riuscita a mettersi in piedi non una, ma tre volte, raccontandolo poi con grande orgoglio alla successiva visita del compagno. 
Oltre alle chiacchiere di Stella, il pomeriggio è stato accompagnato dalle urla del signor Carlo, che continuava a chiamare aiuto a gran voce e a gridare che voleva andare a casa. Solo verso sera si è calmato, probabilmente grazie a qualche sedativo. 

Ero completamente a digiuno dalla sera precedente e avevo sospeso anche l'assunzione di acqua dalla mezzanotte per prepararmi alla sedazione, iniziavo ad avere fame e sete. Verso metà pomeriggio ho potuto riprendere a bere, ma ho dovuto aspettare l'ora di cena, le 18, per mettere qualcosa di solido sotto i denti.
Nel menu da "nuovo ingresso" ci sarebbe stata sicuramente la minestrina, non certo entusiasmante ma passabile, e la mela cotta che non mangio ma non importa; rischiavo però di ritrovarmi la temibile combinazione di pollo lesso e carote lesse, due cose che proprio non riesco a mandare giù. È andata bene: stracchino e purè e un pane particolarmente morbido che ho gradito molto.


Poco dopo la cena uno dei medici mi ha avvertito che sarebbero passati a breve a farmi una radiografia di controllo al torace: le biopsie del polmone comportano il rischio di pneumotorace, quindi era opportuno verificare lo stato dei polmoni.
Quando il tecnico di radiologia è entrato, spingendo davanti a sé l'apparecchiatura portatile a raggi X, ho avuto un pensiero folgorante: "Dopo il licenziamento da primo ministro, Boris Johnson ha cambiato lavoro ed è venuto a farmi i raggi!"


Ovviamente non era così, ma la capigliatura biondo-rossiccia del tecnico era straordinariamente simile a quella del noto personaggio politico.
Il resto della serata è trascorso all'insegna della noia, ascoltando gli interminabili racconti della vita della signora Stella. Il paravento era sempre presente, quindi ho potuto giocare ai videogames senza sembrare troppo scortese, intervenendo di tanto in tanto con qualche esclamazione o domanda per farle capire che la stavo comunque ascoltando.
Verso le 23 sono andata in bagno a lavarmi, il lavandino era l'unica cosa buona, un normalissimo lavabo sospeso, molto più comodo degli assurdi lavabi per disabili di cui avevo scritto tempo fa, poi ho dato la buonanotte alla signora Stella e mi sono messa a dormire.
Notte da ospedale, con diversi risvegli dovuti ai rumori del reparto, che era comunque molto più tranquillo dell'ortopedia o della cardiologia, in cui ogni notte c'era almeno un ricovero urgente; nel complesso ho dormito discretamente, anche se a un certo punto mi sono svegliata con la sensazione di qualcosa che non andava e ci ho messo qualche secondo a capire che mi mancava la sagoma calda e fusante di Ettore contro la gamba.

Mi sono svegliata presto, poco prima delle sei, probabilmente per i rumori del cambio turno.
Le OSS sono passate a chiedere se avevo bisogno di aiuto per l'igiene: a denti stretti ho dovuto rispondere di sì, perché il bagno a prova di disabile non mi consentiva di fare il bidet. Il fastidio di dover chiedere aiuto per qualcosa che normalmente riesco a fare in autonomia è stato solo in parte mitigato dai ripetuti complimenti delle operatrici per l'agilità con cui cambiavo posizione e la capacità di sollevare il bacino per facilitare il posizionamento e la rimozione dei teli impermeabili.
Anche per la colazione mi toccava il "nuovo ingresso". Sapevo già che avrei lasciato qualunque bevanda calda mi avessero portato: bevo il latte solo se è fresco, crudo, intero e freddo di frigo, mentre quello dell'ospedale è a lunga conservazione, bollito, parzialmente scremato e caldo. Il tè invece mi piace tanto, ma non posso prenderlo a colazione, come tutti gli alimenti acidi, altrimenti a metà mattina mi ritrovo piegata in due per i dolori da reflusso. Quindi avevo già messo in conto di bere acqua, va benissimo, e speravo in pane, burro e miele.
Sono arrivate solo le fette biscottate, ma in reparto avevano una piccola scorta di burro e marmellata: non c'è problema, con le fette biscottate andranno benissi...


Per fortuna le due fette dell'altro pacchetto erano integre.
Mi hanno portato anche il foglio per scegliere il menu del giorno seguente, cosa che ho fatto diligentemente, ma più che altro per scaramanzia, perché contavo di essere dimessa in giornata, come mi ha confermato il medico nel giro del mattino. Yeah!
Ho messo il torace a disposizione del gruppetto di specializzandi, ritrovandomi quattro stetoscopi che mi auscultavano contemporaneamente, mentre respiravo a bocca aperta. Qualche minuto di pausa per evitare di iperventilare, poi è stata la volta degli altri tre giovani medici di familiarizzare con i suoni dei miei polmoni


Giusto per non farmi mancare lo sforacchiamento quotidiano, una specializzanda è venuta poco dopo a farmi un altro prelievo per l'emogas. E fanno sei. Tra fori di ago, irritazioni da cerotto ed ematomi da laccio emostatico, le mie braccia sembrano quelle di una eroinomane di lungo corso. 
Il resto della mattina è passato tra le chiacchiere di Stella.
Il pranzo era un'incognita: non sarebbe stato un "nuovo ingresso", ma a discrezione del servizio di ristorazione, dato che il giorno precedente non avevo compilato il menu perché ero a fare la broncoscopia. È arrivata di nuovo minestrina, poi polpette di pollo, fagiolini e una bella mela rossa, di quelle che piacciono a me. Quando la OSS ha visto che mettevo da parte la minestrina, ha detto che forse sarebbe riuscita a recuperarmi qualcos'altro, dal vassoio di una paziente dimessa prima di pranzo. Un minuto dopo è arrivata una crespella ricotta e spinaci assolutamente dignitosa, mentre le polpette erano davvero buonissime e anche i fagiolini, teneri e dolci: ho spazzolato tutto con grande soddisfazione.
Mi avevano detto che la dimissione sarebbe avvenuta non prima delle due del pomeriggio. Con molta calma ho preparato lo zainetto e mi sono vestita, poi ho atteso la lettera di dimissioni, che è arrivata verso le tre. Un'infermiera mi ha tolto l'agocannula, poi ho salutato affettuosamente Stella che era tanto felice per me, ma piangeva perché me ne andavo e sono scesa al piano terra, dove mi aspettava Luciano, il mio autista per la giornata, che abita in Friuli e si è sciroppato la bellezza di 300 chilometri tra andata e ritorno per portarmi a casa. Lo ripeto ancora una volta: intorno a me ci sono persone straordinarie!


All'arrivo sono stata accolta da un comitato di zanzare, che probabilmente non volevano restare indietro con gli sforacchiamenti rispetto al personale ospedaliero e mi hanno massacrata nei pochi minuti in cui mi sono fermata a salutare i vicini di casa. Dentro casa invece ho trovato Edison e Fergus,  a cui si è subito aggiunta Matilde, un po' più tardi Ettore e per finire Penelope. Cinqui!
È arrivato anche Renato e abbiamo deciso che ci meritavamo il nostro cibo consolatorio per eccellenza, che non è la cioccolata come per molte persone, ma la pizza. Però anche la cioccolata ha il suo perché, quindi la zia-angelo ha deciso di accogliermi con una torta mousse ai tre cioccolati e due becchi d'anatra.


In serata mi è uscita un'eruzione cutanea su collo e viso, una costellazione di minuscoli puntini rossi, non troppo evidenti. Ero quasi sicura che fossero petecchie, dovute alla rottura dei capillari per i tanti e violentissimi colpi di tosse durante l'esame, ma per precauzione stamattina ho chiamato il medico di reparto per avvisarlo: non essendoci altri sintomi che possano far pensare a una reazione allergica, ha concordato con la mia ipotesi e ha detto che non c'è da preoccuparsi.
Adesso attendo l'esito degli esami sui campioni prelevati, che richiederanno un paio di settimane. Oltre all'istologico, sono previsti anche esame colturale, analisi di contaminazioni fungine ed esame citologico, quindi ci vuole un po'.
E poi vedremo, intanto questa è fatta.

7 commenti:

  1. Comunque un ospedale senza bagni attrezzati per i disabili non si può sentire. Cionondimeno, e' vero, questa e' fatta... Ora dita incrociate per i risultati. Un abbraccio, Iaia

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  2. Ti auguro di cuore che vada tutto bene.Mia ti ammiro sei una donna super.ciao

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  3. Sei un mito! 👍Ciao!!

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  4. Mia non posso lasciarti qualche giorno -lavoro e università mi hanno tenuta molto occupata- che ti ritrovo ad aver fatto festa!!! direi che è andata anche se non ancora al 100% ma manca poco...qui incrociamo le dita!

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  5. Ciao Mia ti leggo da tanto tempo, sei veramente una donna fortissima
    Ti auguro il meglio!
    Sono Lilly71

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  6. Mia, per fortuna che il tuo ricovero è stato solo di 30 ore, ma è stata come un'avventura all'Indiana Jones e malgrado tutti gli spiacevoli e sgradevoli accadimenti riesci sempre a raccontarli in modo che si fanno leggere e anche rileggere per godere del tuo scrivere.
    E alla fine cel'hai fatta a tornare a casa da Renato e dalla tua famiglia felina...Sei sempre mitica!!! Mila

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