giovedì 21 febbraio 2019

Cronache dal sarcofago - Prontuario farmaceutico

La vita nel sarcofago scorre lenta, scandita dalle somministrazioni di farmaci.
I primi giorni sono stata in compagnia di Santa Morfina, a tempo pieno. Cara lei, tanto brava, ha svolto egregiamente il suo lavoro, ma basta, grazie. Quando l'anestesista ha proposto di sospenderla, ho concordato con entusiasmo. Con lei se n'è andato anche zio Zofran, che serviva a tenere a bada la nausea indotta proprio dalla morfina, e si sono ridotte di molto le emorragie nasali, altro effetto collaterale degli oppiacei.
Addio senza rimpianti anche alle sacche di cibo da vena e all'insulina associata. Credevo che l'iperglicemia da nutrizione parenterale fosse solo un problema mio, avevo avvisato durante il pre-ricovero che quelle sacche mi fanno salire troppo gli zuccheri nel sangue. Ho poi scoperto che praticamente per tutti i pazienti alimentati in vena è necessario somministrare insulina. Fare le sacche con meno zucchero pare brutto?
Ho ancora due flebo di antibiotico al giorno (o sono tre? Ho perso il conto) più due di soluzione idratante con elettroliti.
E il gastroprotettore in dose quadrupla rispetto al mio standard, ma che basta appena appena.
E il farmaco per i dolori neurologici, quello che per tanto tempo il mio oncologo aveva cercato di farmi prendere e io avevo sempre rifiutato. Adesso me lo hanno rifilato punto e basta e attendo persino con lieve impazienza che l'effetto sia completo e stabile, ci vuole una decina di giorni.
E la cardioaspirina, che stamattina mi hanno lasciato con l'indicazione di prenderla a mezzogiorno e quasi scodinzolavo per la gratitudine di avere qualcosa da fare.
E le iniezioni serali di eparina, che tra un po' inizieranno a lasciare le macchie viola degli ematomi sulle spalle.
E lo sciroppo per la tosse, credo l'unico amaro e schifido presente in un mercato di prodotti dal sapore gradevole.
E le vitamine.
E i fermenti lattici, che con tutti gli antibiotici che prendo, la mia flora batterica probabilmente si è estinta.


E ieri sera, new entry, la mia prima benzodiazepina, il Lexotan, per aiutare il sonno. Che emozione! Già, perché erano di nuovo iniziate le notti con sonni brevi e disturbati e ore passate a guardare il soffitto e una cattiva qualità del sonno trasformerebbe la vita nel sarcofago, che è già un bel calvario, in un vero incubo.

Ieri poi la giornata era stata particolarmente difficile e stressante per le ferite operatorie e temevo davvero una notte in bianco.
Tanto dolore al mattino per le movimentazioni legate a igiene e cambio lenzuola. Oggi già meglio: sia io che il personale stiamo imparando le tecniche più adatte.
Qualche dolore per la limatura del gesso, ampiamente ripagato dalla riduzione del disagio in alcuni punti critici.
Ma il top della sofferenza è arrivato nel pomeriggio. Verso le 16 sono venuti a prendermi per TAC e radiografia del bacino.
Il tempo di arrivare in radiologia, pochi minuti, e il materasso ad aria antidecubito, che comunque non aveva mai funzionato a dovere, era completamente sgonfio. Il sarcofago - e io dentro - poggiava sulla rete rigida del letto. Ho pianto durante il trasbordo sul lettino della TAC, poi ho smesso, perché il dolore era così forte che non riuscivo a respirare, ho solo pregato che finisse presto.
Ancora dolore per tornare sul mio letto, poi per infilare sotto la schiena un piano rigido e le lastre radiografiche, infine per rimuovere il tutto, lasciando di nuovo il gesso posato sulla rete, dato che il materasso era sempre morto.
Ritorno in camera appesa al triangolo di sollevamento per ridurre la pressione del gesso sulla schiena, poi, con calma e pacatezza: "Adesso cambiate questo cazzo di materasso, subito!"
Un altro, doloroso cambio di letto, su un materasso normale che comunque è meglio di uno supertecnologico che non funziona. Vediamo se nei prossimi giorni si trovano soluzioni migliori.

Alla sera sentivo ancora i postumi di quell'agonia e ho chiesto un aiuto.
Comunque il Lexotan fa schifo. Non è una valutazione morale, ma gastronomica: le gocce hanno un sapore davvero orrendo, ne ho lasciato circa un terzo in fondo al bicchiere. Il suo lavoro poi l'ha fatto, non è colpa sua se l'efficacia è stata limitata da qualche colpo di tosse di troppo e soprattutto dal nonnetto classe 1930 che ha invocato a gran voce mamma e papà almeno fino alle due di notte. Tra un'interruzione e l'altra, ho dormito.

E adesso pazienza, tanta, tanta, tanta pazienza. Rimozione gesso prevista il 27 marzo, speravo il 25, ma "40 giorni" per l'ortopedico significava sei settimane, che a voler essere pignoli, e io lo sono, fanno 42 giorni. Al primo che osa anche solo pensare "ma cosa vuoi che siano due giorni in più", auguro due di questi giorni.
Resterò qui. In questi giorni mi sono resa conto di quanto sia difficile movimentarmi e dubito di poter trovare le necessarie risorse e competenze in strutture diverse da un ospedale. Ne ho parlato anche ieri con l'ortopedico, che dopo credo undici ore filate di sala operatoria è arrivato in reparto chiedendo a gran voce di Cicciabomba. Anche lui ritiene necessaria una struttura specialistica, difficile che una casa di riposo abbia personale in numero e forza fisica sufficienti a tutte le ore del giorno e della notte. Visto che non ci sono possibilità vicino a casa, tanto vale rimanere qui, dove è disponibile il miglior supporto infermieristico, medico, fisioterapico e psicologico (ah, sì, ieri è passata anche la psicologa per un primo colloquio).

6 commenti:

  1. Non commento mai ma stavolta ti voglio dire che ogni giorno controllo se hai scritto qualcosa, ti voglio bene Mia. Stefania dalla Sardegna 😊

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  2. Ti assicuro che hai reso bene l'idea del calvario che stai vivendo anche solo augurando due giorni dei tuoi 40+2.... ti ammiro e stimo sempre più.Isa.

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  3. Io credo che sia meglio essere in un luogo con un medico a disposizione sempre, che possa aggiustarti al volo una terapia in caso di bisogno. Quando si è nel dolore anche un'ora è un tempo eterno, non si può aspettare. Calvario non appare una definizione esagerata per quello che descrivi, mi dispiace tanto, ti auguro di poter trovare presto una stabilità che ti consenta di leggere, scrivere e qualunque altra cosa ti sia utile per far passare presto questi giorni.
    Ti abbraccio (sarcofago sorpreso). Gio

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  4. Ciao Mia,propongo la tua candidatura al premio "Pazienza infinita", che forza che hai (ma si sapeva)! Per ora un abbraccio virtuale. Daniela

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  5. Mia, sei un fenomeno! Si percepisce la tua stanchezza, il tuo dolore fisico...ma viene fuori anche la tua personalità positiva e combattiva. Sei una tosta!!!

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