Le giornate qui sono noiosissime, il tempo scorre lento e pesante. Conto le ore, i minuti. Non passano mai.
Non ho alberi e montagne da guardare fuori dalla finestra, solo una zona industriale e commerciale sullo sfondo, tra le righe orizzontali delle veneziane e i rettangoli dell'intelaiatura delle vetrate esterne, come sbarre di una prigione.
Non c'è aria vera da respirare, solo quella filtrata e riciclata del sistema di climatizzazione.
La luce esterna è grigia e spenta, troppo spesso oscurata dalla tenda che separa i due letti della stanza. Di nuovo occupati entrambi, dopo un giorno e mezzo di gradita solitudine: stanotte è arrivata una signora, ovviamente anziana, con il femore fratturato. L'infermiera è passata verso le due a verificare che il letto fosse pronto, lei l'hanno portata forse un'ora dopo. Almeno mezz'ora per sistemarla, mentre io aspettavo paziente l'occasione per riprendere sonno, cercando con fatica una posizione comoda. Purtroppo lei si è addormentata prima di me, russando come un trombone. Alle cinque ero ancora sveglia.
L'unico momento felice è la visita quotidiana di Renato, almeno quando non mi viene rubata.
Ieri ha scoperto solo all'ultimo momento che, essendo sabato, non c'erano i treni che aveva preso durante la settimana per venire qui e tornare a casa. È arrivato più tardi e ha dovuto ripartire più presto. È rimasto con me esattamente 17 minuti, e io ne ho passato almeno la metà a piangere per la frustrazione.
Oggi è arrivato presto, per sfruttare l'ora supplementare di visita mattutina concessa nei giorni festivi. Dopo pochi minuti sono arrivati medico e infermiera per farmi il lavaggio interno disinfettante e la medicazione, oggi particolarmente dolorosa, con il medico che sembrava divertirsi a premere forte sui punti più sensibili. E poi un'altra infermiera per fare l'elettrocardiogramma alla compagna di stanza, con i visitatori costretti ad attendere in corridoio per mezz'ora buona. Organizzarsi per fare queste cose fuori dall'orario di visita pareva brutto?
Disagi grandi e piccoli che si sommano, si accumulano, mi sommergono. E io cedo ogni giorno un po'. E piango, piango tanto. Perché sono stanca, mi sento sola, ho nostalgia di casa, voglio i miei gatti, ho paura di questa storia che non finisce mai.
Frustrazione e stress stroncherebbero chiunque
RispondiEliminaIl problema è che hai tutte le ragioni di sentirti così...
RispondiEliminaCi saranno giorni migliori, casa tua, i gatti e l'affetto di Renato e dei tuoi cari a portata di mano, ci vuole ancora un po' di pazienza e tanto, tanto coraggio.
Un abbraccio,
Michela
Che dire!...sei grande, sei forte, sei unica......poi posso aggiungere (come si dice qui a Bologna) socmel...che du maron!!! Scusa lo sfogo ma ci voleva, tutte le volte che ti leggo mi scappa detto...adesso l'ho anche scritto!. Basta, basta,basta! Sappi che tifo x te sempre!! Baci
RispondiEliminaOri
Come non darti ragione Mia...Spero tu possa presto tornare a casa dai tuoi amori (Renato e gatti). Spero ti giunga un enorme abbraccio!!! smack , Isa.
RispondiEliminaUn caro abbraccio.
RispondiEliminaA.
Scusa ma dopo aver fatto quella piccola operazione della volta scorsa non va un po' meglio almeno il gonfiore alla gamba? Mi dispiace troppo sentirti così giù. Dai senti sei nel posto ideale per chi ha problemi di questo tipo, sono sicura che ne uscirai quanto prima e ritornerai dai tuoi micioni.
RispondiEliminaQuesto commento è stato eliminato dall'autore.
RispondiElimina