Contaci non è un congresso medico, ma una fucina di idee, un luogo di incontro per chi vuole migliorare l'oncologia offrendo ai pazienti un'attenzione che va oltre le terapie.
Pazienti, oncologi, infermieri, psicologi, volontari e altre figure che operano in ambito oncologico hanno avuto l'opportunità di confrontarsi e di condividere esperienze e buone pratiche. Tanti bellissimi progetti, tante buone idee: se ogni reparto di oncologia ne attuasse anche solo qualcuna, per migliaia di pazienti il cammino attraverso il cancro sarebbe molto più facile.
Contaci è in un certo senso un'isola felice, perché vi partecipano soprattutto persone "illuminate", che hanno voglia di ascoltare e sono disponibili a mettersi in discussione, mentre quelli che avrebbero più bisogno di cambiare i propri atteggiamenti probabilmente si guardano bene dal farsi coinvolgere. Ma è un modo per diffondere i semi di una nuova cultura sanitaria, che sa andare oltre gli aspetti strettamente clinici per estendere il concetto di salute oltre l'ambito fisico di "assenza di malattia", fino a comprendere il benessere psichico e sociale.
Ci sono stati diversi interventi interessanti, ma sarebbe troppo lungo richiamarli tutti. Cito soltanto alcuni aspetti che mi hanno colpito in modo particolare:
- L'instancabile impegno di Mario Clerico per una migliore oncologia: averne, di medici come lui!
- I principi della Slow Medicine spiegati da Giorgio Bert: sobrietà, rispetto e giustizia, e il concetto di appropriatezza clinica di cui si trova una descrizione qui.
- La bellissima precisazione della dottoressa Maria Grazia Fiori, medico di medicina generale, quando ha detto "Il malato... No. La persona malata."
- L'esercizio che abbiamo fatto nel laboratorio di medicina narrativa con Vincenzo Alastra: scrivere la nostra biografia, personale o professionale, in sei parole, sul modello del progetto "Six words memoirs". Le mie due biografie, personale e professionale, sono state "Ho attraversato molte volte il buio" e "Sono ingegnere elettronico, ma non professo".
- L'entusiasmo contagioso della dottoressa Brunello, che ha presentato due bellissimi progetti di ambulatori multidisciplinari dello IOV di Padova: sono particolarmente contenta che ci siano iniziative di eccellenza nella mia Regione.
- Due persone che avevo conosciuto quattro anni fa e che ho ritrovato con grandissimo piacere: Paola con il suo sorriso dolcissimo e Damaris con la sua straordinaria energia.
- Il caro ricordo di Aldo Sardoni, con cui avevo condiviso la partecipazione come paziente alla precedente edizione; purtroppo non è più con noi, ma ha lasciato tanto per tanti pazienti oncologici.
Come influenzare le politiche sanitarie? Come far sentire le nostre esigenze? Belle domande. Magari avessi le risposte!
Sicuramente i pazienti vorrebbero servizi sanitari efficaci, accessibili, personalizzati e anche efficienti, dal momento che li pagano, direttamente o indirettamente, con ticket, onorari e tasse. È l'idea della sanità come azienda e secondo me sarebbe una buona idea, se venisse attuata fino in fondo.
Guardando molte decisioni che vengono adottare in ambito sanitario, mi viene il dubbio che chi le compie non sappia nulla di gestione aziendale. O che ne sappia anche troppo e faccia in modo di volgerlo a proprio vantaggio anziché della collettività. Non si spiega altrimenti perché il concetto di "gestione aziendale" venga così spesso banalmente identificato con quello di "taglio dei costi".
Ridurre i costi è sicuramente importante e utile, se fatto con criterio per eliminare gli sprechi, che in sanità sono davvero tanti. Quando invece viene fatto in modo scriteriato, riducendo la qualità dei servizi per mantenere inutili sovrastrutture a scopo puramente clientelare, è soltanto dannoso e non ha nulla a che vedere con la gestione aziendale, di cui la riduzione dei costi è solo una parte.
Per avere successo, un'azienda deve raggiungere obiettivi di efficacia, migliorare la produttività e l'efficienza, cioè la capacità di utilizzare al meglio le risorse disponibili. Ma soprattutto, per rimanere con successo sul mercato, qualunque azienda deve essere capace di soddisfare le esigenze del cliente.
L'essenza della gestione aziendale non è il taglio dei costi, ma l'attenzione verso il cliente e la capacità di finalizzare tutte le energie e le attività alla sua soddisfazione.
Per soddisfare il paziente oncologico, bisogna conoscere le sue esigenze. Quali sono?
Per dare una risposta, mi sono ispirata alla piramide dei bisogni di Maslow, creandone una mia variante personalizzata.
Il principio di base della teoria di Maslow è che i bisogni devono essere soddisfatti in ordine, dalla base al vertice. Questo vale anche per le esigenze del paziente: se non riceve cure efficaci o ha difficoltà ad accedere alle strutture sanitarie, apprezzerà poco o per niente eventuali servizi di supporto o attività ricreative. Per riprendere un esempio che avevo fatto nella precedente edizione, ai pazienti non importa nulla delle opere d'arte esposte in una sala d'attesa, se le sedie su cui devono aspettare sono scomode.
Chi deve soddisfare queste esigenze? Generalmente quelle di base (cura e struttura) sono di competenza quasi esclusiva del servizio sanitario, mentre quelle di vertice (supporto e ausili) sono più spesso nel campo di attività delle associazioni di volontariato. Gli elementi intermedi che ho definito attenzione sono una zona di intersezione, in cui si sovrappongono mondo sanitario e volontariato. Non mancano poi i casi particolarmente virtuosi di strutture sanitarie che estendono le loro attività di assistenza fino al vertice della piramide, organizzando servizi e iniziative di carattere non strettamente medico, come pure di associazioni di volontariato particolarmente ben strutturate che operano per fornire anche elementi di struttura e di cura.
Le modalità con cui il paziente fa sentire la propria voce si sono evolute nel tempo.
Fino a poche decine di anni fa, il medico era considerato quasi una divinità, il detentore di un sapere misterioso rispetto a cui il paziente aveva un atteggiamento di rispetto e soggezione; in questo contesto relazionale, la comunicazione era a senso unico: il medico parlava e il paziente ascoltava, accettando passivamente qualsiasi informazione e indicazione gli venisse data.
Nell'era dell'informazione, il rapporto tra medico e paziente è cambiato. I pazienti oggi hanno mediamente un livello di istruzione più elevato e un accesso più facile a molteplici fonti di dati: pubblicazioni, informazioni provenienti da parenti e amici, veri o virtuali, maggiori possibilità di consulto con altri medici. E, soprattutto, quasi tutti i pazienti hanno a disposizione il medico più famoso del mondo: il dottor Google.
La disponibilità di una enorme quantità di informazioni mediche, purtroppo non sempre attendibili, ha ridotto lo squilibrio nel rapporto tra medico e paziente, creando per il malato maggiori occasioni per far sentire la propria voce. Aumenta quindi l'utilizzo dei canali di comunicazione istituzionali: colloqui con il personale sanitario, reclami, questionari e interviste, associazioni di pazienti che si fanno portavoce di istanze comuni.
Non si è tuttavia raggiunto un piano di parità, perché la condizione di malattia, e di malattia oncologica in particolare, pone comunque il paziente in una posizione di debolezza, per cui il medico nella relazione rimane dominante, sia pure in misura inferiore rispetto al passato. Talvolta il paziente non ha il coraggio di far sentire la propria voce, non tanto per soggezione nei confronti dei sanitari, quanto per il timore di essere trattato con minore riguardo se esprime critiche o proteste.
Esistono però anche numerosi canali di comunicazione informale. Il paziente parla con altri pazienti, con i familiari e gli amici, e un numero sempre crescente pubblica le proprie esperienze su blog, forum e social network.
Ci sono quindi tante fonti da cui si può raccogliere la voce del paziente, ma bisogna ricordare che ci sono anche tanti pazienti troppo spaventati, deboli o sofferenti per farsi sentire. Al corso di primo soccorso, mi hanno insegnato che spesso il ferito più grave, quello di cui bisogna occuparsi con maggiore urgenza, non è quello che urla a pieni polmoni, ma quello che tace perché non ha più nemmeno il fiato per gridare.
Bisogna ascoltare sempre le voci dei pazienti. Ma bisogna anche ascoltare i loro silenzi, perché a volte urlano molto più forte.
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