All'accettazione mi hanno detto che prima dell'incontro con il medico è previsto un colloquio con la psicologa, se il paziente acconsente. Ho immaginato che questa procedura fosse stata introdotta perché i pazienti di questo servizio spesso sono a uno stadio di malattia avanzato, in cui il supporto psicologico può essere molto importante. Ero abbastanza curiosa di vedere come la psicologa si sarebbe relazionata con me, che fortunatamente non mi trovo in quella situazione, così ho accettato.
L'approccio è stato molto professionale, cordiale ma non troppo confidenziale, forse anche perché c'era una tirocinante ad assistere, comunque mi ha fatto una buona impressione. La psicologa mi ha spiegato che lo scopo del colloquio è valutare la situazione emotiva del paziente rispetto al dolore e la sua disponibilità ad assumere farmaci che potrebbero alterare le sue capacità cognitive, in modo da supportare il medico nella proposta di un trattamento personalizzato. Mi sembra una strategia molto intelligente, a cui ho aderito con entusiasmo.
Abbiamo iniziato con una sintesi della mia storia per passare poi a un questionario strutturato per valutare, tra le altre cose, la memoria a breve termine, con alcune sequenze di parole e numeri da ascoltare e ripetere.
Non ho alcuna difficoltà a raccontarmi, di solito lo faccio volentieri e questa occasione non ha fatto eccezione. Ho risposto a tutte le domande e la conclusione, condivisa, è stata che in questo momento il dolore non è tale da farmi accettare farmaci che possano alterare le mie facoltà mentali.
Pochi minuti di attesa e sono stata chiamata nell'ambulatorio di terapia del dolore. L'anestesista mi era familiare, l'avevo già incontrato. Un breve scambio di informazioni ha confermato il riconoscimento reciproco: era quello che mi aveva visitato e prescritto l'oppiaceo quando ero stata ricoverata con l'infezione alla gamba.
Già dopo i primi minuti di colloquio ho capito perché il mio oncologo aveva voluto che fosse proprio lui a vedermi: è stato molto scrupoloso, attento a ciò che gli dicevo e chiaro nelle spiegazioni.
Gli ho descritto tutti i dolori che ho alla gamba, all'inguine e nella zona pelvica: sono di cinque tipi diversi, ma tutti riconducibili ai danni che chirurgia e radioterapia hanno provocato a muscoli, legamenti e soprattutto nervi.
Aiutandosi con alcune immagini, il medico mi ha mostrato il percorso dei due principali nervi sulla parte anteriore e interna della coscia: corrisponde esattamente alle due zone in cui sento dolore soprattutto quando c'è brutto tempo. Mi ha spiegato che la rigenerazione delle guaine di rivestimento delle fibre nervose richiede almeno due anni, ma può essere ostacolata da infiammazioni, edema, infezioni... Considerate le traversie che ha dovuto affrontare la mia gamba, il processo sarà più lungo. Inoltre i muscoli rimasti sono costretti ad un superlavoro, per supplire alla mancanza di quelli asportati e anche questo è uno stress per i nervi. Mi ha raccomandato di continuare con la fisioterapia, per migliorare il tono muscolare e mantenere una postura corretta.
Per il momento non ritiene che ci sia il rischio di dolore cronico e non riscontra la necessità di un trattamento continuativo, che richiederebbe l'uso di dosi massicce di un farmaco dagli effetti collaterali piuttosto importanti. Abbiamo concordato che la soluzione migliore adesso è l'assunzione di analgesici in caso di necessità, cioè quasi mai (negli ultimi 8 mesi li ho usati ben tre volte).
È stato un colloquio molto interessante e istruttivo e, nell'insieme, un'esperienza di buona medicina, quella che ascolta il paziente e si centra sulle sue esigenze.
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