domenica 29 ottobre 2017

Spostare i paletti

Qualche giorno fa ho partecipato a un corso per operatori sanitari. Via quelle espressioni sorprese: non ho cambiato lavoro, ero stata invitata dagli organizzatori per portare anche il punto di vista dei pazienti.*
Il corso aveva un titolo suggestivo, Dignità nella cura e cura della dignità: operatori, pazienti e caregivers costruiscono un progetto condiviso, e i partecipanti appartenevano a varie categorie professionali: medici, infermiere, fisioterapisti, psicologhe, ostetriche... Un gruppo eterogeneo da cui sono arrivati contributi molto variegati.
Dopo un'introduzione teorica al concetto di dignità, a ognuno dei partecipanti è stato richiesto di scrivere una storia di violazione della dignità in cui è stato coinvolto, direttamente o indirettamente. Le esperienze sono state lette e discusse, prima in piccoli gruppi e poi in sessione plenaria, e sono diventate il punto di partenza per interessanti ragionamenti sul concetto di dignità.

Una considerazione mi ha particolarmente colpito e ci ho pensato parecchio nei giorni seguenti: il confine della dignità non solo è soggettivo, perché una stessa situazione può essere percepita come degradante da una persona e perfettamente accettabile per un'altra, ma può variare anche per lo stesso individuo in base alla situazione contingente.
La malattia, in particolare, porta a spostare tanti paletti, fa diventare accettabili, quasi normali, condizioni che per una persona sana sarebbero intollerabili.
Pensiamo al pudore: normalmente non siamo disposti a permettere che un estraneo entri nella nostra camera da letto, che ci accompagni in bagno, che ci veda nudi... Situazioni che invece durante un ricovero sono spesso inevitabili e che si sopportano con rassegnazione, talvolta addirittura con sincera gratitudine.


Ampliando il ragionamento, ho pensato che per un malato di cancro questo spostamento di paletti non riguarda solo la dignità.
Chi è affetto da una patologia grave spesso deve convivere con difficoltà e limitazioni fisiche, psicologiche e sociali e talvolta deve accettare compromessi molto pesanti per cercare di salvarsi.
Il cancro costringe sempre a rinunciare a qualcosa, è un ladro che ruba frammenti di vita, qualche volta la vita stessa. È un'ingiustizia? Certamente, ma la vita non è giusta, fatevene una ragione.

Questo rapinatore insidioso e subdolo sta smontando la mia vita e se ne porta via un pezzo alla volta.
  • La forza e l'agilità, perché non posso più correre, saltare o arrampicarmi e in questi giorni faccio fatica anche solo a camminare.
  • La capacità di recupero, con i tessuti più volte lacerati dal bisturi e bruciati dalle radiazioni che sembrano ormai incapaci di rigenerarsi e reagiscono al minimo sforzo con dolorose infiammazioni.
  • L'autonomia, perché ci sono cose che, da sola, non riesco più a fare.
  • Le energie, che non bastano più per lavorare a tempo pieno.
  • La fertilità, con quella lama di sofferenza in fondo al cuore per la maternità negata.
  • Le difese immunitarie, mai completamente ripristinate negli ultimi dieci anni.
  • Ore, giorni, settimane e mesi di ricoveri, convalescenza, visite ed esami.
  • La possibilità di guardare avanti, nel futuro, perché tutto si ferma al prossimo controllo.
  • ...

Eppure, di fronte a questi furti gravi e ripetuti, la mia reazione non è mai stata di rabbia né di rifiuto. Sofferenza, certo, ma fino ad ora sono sempre riuscita a spostare i paletti senza troppa fatica e ad accettare questa vita tanto diversa da come l'avevo immaginata.
In questi giorni mi sono chiesta se questa mia elasticità non sia eccessiva, se non sia una forma di rassegnazione o di rinuncia. Non lo so.
Forse ho solo una buona dose di resilienza, in parte genetica e in parte costruita attraverso le mie esperienze, e ho ben chiara la mia priorità, che è sopravvivere.
O forse è soltanto perché così è più facile andare avanti.



*Nota: considerati tutti i crediti ECM delle iniziative a cui ho partecipato negli ultimi anni, dovrebbero darmi una qualifica sanitaria ad honorem

9 commenti:

  1. Sei davvero brava Mia! Non è da tutti riuscire ad avere il tuo attegiamento. Purtroppo sto sperimentando un tipo di reazione del tutto diverso.

    Un abbraccio forte

    Lina

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    1. Credo semplicemente di aver saltato a piè pari le prime fasi dell'elaborazione (negazione, rabbia, negoziazione, depressione) per passare direttamente all'ultima, cioè l'accettazione, ma è una situazione poco comune.
      La tua reazione probabilmente è molto più simile a quella di chiunque si trovi ad affrontare il trauma di una diagnosi oncologica.

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    2. Nonostante non sia una diagnosi oncologica è comunque una problematica che non prevede possibilità di guarigione totale. Il meglio sarà convivere. È questa consapevolezza ed il fatto che sia capitato alla persona che mi è più cara che non riesco ad elaborare. Lina

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  2. Di una cosa non ti ha di certo defraudata, il cancro: della tua splendida intelligenza. E' vero che la lucidità mentale, la capacità d'analisi e di autoanalisi, di ironia e di autoironia sono spesso foriere di sofferenza, ma...viva sempre e comunque la vividezza intellettiva e l'arguzia mentale, delle quali tu abbondi. Un abbraccio di vero cuore :-) Lella

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    1. Grazie Lella
      È vero che la lucidità può essere talvolta fonte di sofferenza, ma ironia e autoironia secondo me sono inesauribili strumenti di benessere.

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  3. Mia, come sempre condivido tutto quello che hai scritto: per quanto mi riguarda, la resilienza è intimamente legata al fatto che reagendo cosi' si riesce ad andare avanti. A sopravvivere meglio, semplicemente.
    E comunque io e te abbiamo davvero tanto in comune: anche io dovrei avere una qualifica sanitaria "ad honorem", ho fatto spesso anche la paziente mistero per gli studenti in medicina (quelli della specializzazione in neurologia devono detestarmi, tanto non faccio le cose come sono scritte nei libri e gli ho complicato la vita e distrutto tante certezze... speriamo siano medici migliori anche un po' grazie a me!) e della scuola di fisioterapia, anche se il mio ricordo piu' bello è stato quando sono stata invitata insieme al mio medico a fare una "conferenza al contrario" in una grande casa farmaceutica -non posso fare nomi perchè ho firmato una clausola di confidenzialità- dove dopo aver spiegato cosa vuol dire avere una delle mie (tante) malattie, come si vive al quotidiano e i veri problemi legati agli esami, ai farmaci, alle limitazioni, sono stata sommersa dalle domande dei ricercatori che erano molto interessati, giustamente, al concetto di "paletti"...
    Mia, dobbiamo incontrarci!
    Michela dalla Svizzera (messaggio scritto schivando i tentativi di Guizmo, il gatto sornione per eccellenza, sosia di Felix, di aggiungermi lettere, spazi e cancelletti per attirare l'attenzione)

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    1. Sapevo dell'esistenza dei mystery client, ma il "mistery patient" mi era completamente sconosciuto: dev'essere una cosa interessantissima sentire le ipotesi degli studenti!
      Sì, dobbiamo proprio incontrarci: siamo decisamente spiriti affini. E voglio conoscere anche Guizmo.

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  4. Non mi ha fatto incazzare la malattia. Non mi ha fatto incazzare la recidiva. Non mi fa incazzare il dover spostare tanti paletti della mia vita di volta in volta.
    Ma una cosa si, mi continua a far vedere nero: quando ti ammali sembra che per una grossa fetta di persone tu debba soddisfare la curiosità altrui senza farti problemi. Come se fossi una bambola rotta, che si può guardare lasciando aperta la finestra dell'ambulatorio mentre stai nuda dalla vita in su, e mentre ti visitano e ti toccano in tutte le posizioni possibili senza un cavolo di paravento chiunque può entrare a fare i cavoli suoi senza bussare, lasciando pure la porta aperta (vuoi mai che in sala d'attesa qualcuno si perda lo spettacolo). Se hai pudore anche solo di parlare di quello che ti succede con l'ultimo estraneo che passa, sai cosa ti dicono? Che hai problemi ad accettare ciò che ti è successo, "fatti aiutare", ti dicono. No, cazzo. Quando ero incinta tutti si sentivano in diritto di toccarmi la pancia, perchè "fa tanto bello". Stessa sensazione. Diventi una "cosa", non più una persona. Perchè tu, da sana, non ti faresti mai toccare le tette dal primo che passa, altrimenti partirebbe una denuncia dritta filata, ma se hai avuto il cancro e hai il torace devastato no, la privacy è un optional, il desiderio di proteggersi è una cosa da curare. Non lo capisco e non lo capirò mai.

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  5. Infatti non lo devi capire, lo devi contestare.
    Durante i lavori di gruppo del corso si è parlato proprio di questo argomento. Un'infermiera di terapia intensiva ha raccontato di quando la figlia di una paziente ha protestato, giustamente, perché la madre era nuda con la porta aperta (la stavano lavando). Il personale era così abituato alla nudità dei pazienti, da non rendersene conto. Quando gli è stato fatto notare, sono rimasti mortificati.
    Ci sta che un estraneo ti metta le mani addosso per motivi sanitari, non ci sta tutto il resto, dalla mancanza del paravento alla persona che entra senza bussare alla porta aperta, ed è giusto farlo notare.

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