La nausea mi impedisce di parlare e di muovermi, il dolore mi impedisce di dormire. Mi chiudo in una bolla di silenzio e sofferenza in cui qualsiasi altra cosa fatica a penetrare e tutto si concentra nella ricerca spesso vana di un po' di sollievo. Il corpo si raggomitola, i pensieri si avvolgono su se stessi, incapaci di andare oltre il qui e ora.
Provo a stendermi e il movimento fa salire un'ondata di nausea. Avvicino automaticamente la bacinella, ma so già che non serve, perché nello stomaco vuoto non c'è niente da vomitare.
Formicheformicheformiche.
Nel cassetto ci sono gli antidolorifici, basterebbe allungare la mano. Ci penso, valuto: no. Non per un assurdo eroismo, ma perché andrebbe a finire come la notte scorsa: il dolore si riduce, ma la nausea aumenta, accompagnata da capogiri e vampate di calore. Maledizione alle mie reazioni agli oppioidi: non potevano regalarmi sensazioni gradevoli come alla maggior parte delle persone? Invece mi fanno stare male, decido che questa volta non ne vale la pena, meglio tenermi le formiche.
Però fa male, un susseguirsi ininterrotto e logorante di scosse elettriche sul piede fantasma. Cerco sollievo con un massaggio leggerissimo sul punto di frattura, dove le ossa del bacino sono state separate dalla colonna vertebrale. È da lì che parte il dolore, da un nervo che crede ancora di arrivare fino al piede e invece è stato tranciato sul bordo dell'osso sacro e lancia segnali incoerenti che il cervello non sa come interpretare e allora li trasforma in dolore. Sfioro appena la pelle, che in quella zona è ipersensibile, una carezza più che un massaggio. Funziona, il dolore si attenua, ma soltanto finché continuo a massaggiare e dopo dieci, quindici minuti la mano è stanca e non riesco più a continuare.
Sono le tre e mezza, torno a tirarmi su, tanto di dormire non se ne parla e da seduta il dolore è un po' più sopportabile. Gesti automatici: risistemo due cuscini dietro la schiena e uno a destra, dove appoggio il braccio, indosso di nuovo la maglia di pile perché in camera non accendo il riscaldamento e le braccia e le spalle fuori dal piumone si raffreddano. Una coccola a Ettore che è acciambellato vicino a me, un altro conato di vomito.
È la quarta notte di fila che va così.
Ho voglia di piangere.

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