Eravamo rimasti in attesa dell'appuntamento per la biopsia.
Cambio di programma: il primario di radiologia ha voluto prima una risonanza magnetica del bacino con mezzo di contrasto, richiesta più che sensata, perché la RM "vede" cose che la TAC non vede e viceversa, quindi è un completamento di indagine assolutamente appropriato.
Appuntamento velocissimo, già il 28 dicembre. Ottimo: Renato era in ferie e poteva accompagnarmi.
Ho vissuto la situazione con assoluta serenità fino al momento di infilarmi nel tunnel, anzi, anche per i successivi venti minuti.
Poi è iniziato il dolore.
Prima sordo, poi sempre più intenso, alla fine lancinante. Dall'inguine al ginocchio, la mia gamba destra era solo dolore. Per la prima volta in tredici anni di onorata carriera oncologica, ho dovuto suonare il campanello per chiedere una pausa: avevo assolutamente bisogno di cambiare posizione almeno per un po', non ce la facevo davvero più.
I tecnici sono riusciti a risolvere temporaneamente la situazione inserendo un ulteriore rialzo sotto al ginocchio, poi hanno avviato l'infusione del mezzo di contrasto e completato rapidamente l'esame. Sono stati gentilissimi e comprensivi, ma io ero mortificata per non essere riuscita a resistere fino in fondo. Sicuramente l'interruzione mi ha fatto saltare almeno una sequenza di indagine, forse anche più di una, ma mi hanno assicurato che la parte che siamo riusciti a completare sarebbe stata sufficiente.
Mentre mi rivestivo, sono comparse le solite macchie rosse sul petto, spalle e schiena, che mi hanno fatto vincere una flebo di soluzione fisiologica, per accelerare lo smaltimento del mezzo di contrasto, e una dose supplementare di antistaminico, oltre a quello che avevo già preso due ore prima dell'esame. Ho dormito come un sasso per sedici delle successive venti ore.
domenica 30 dicembre 2018
venerdì 21 dicembre 2018
Regali sotto l'albero
Ieri ho iniziato ad aprire i primi regali di Natale.
Erano in una busta con il logo del Centro di Riferimento Oncologico, bruttina, niente di che, certo non uno di quei pacchetti infiocchettati e sbrilluccicanti che conquistano già prima dell'apertura.
Dentro la busta, un CD e due fogli; sui fogli, le risposte della TAC:
Con le festività natalizie imminenti, difficilmente riusciranno a programmare la biopsia prima di fine anno, è più probabile che venga fissata a inizio gennaio, mi faranno sapere.
Non è un dramma, o almeno non ancora; può essere una recidiva, al momento è l'ipotesi più probabile, ma non è detto, quindi non fatene una tragedia. Non sono in punto di morte: la mia dipartita è certa, come quella di chiunque altro, ma non imminente e ho cose più divertenti da fare che consolarvi per la mia (possibile) malattia.
Non sto nemmeno tanto male, anzi. La frattura del bacino non mi sta creando particolari problemi, è sostanzialmente una crepa dell'osso, probabilmente presente già da qualche mese e quasi asintomatica.
Negli ultimi giorni anche il ginocchio mi ha dato tregua, qualche doloretto, ma non le stilettate feroci delle settimane precedenti. Non che non voglia dargli fiducia, apprezzo la buona volontà che dimostra in questi giorni, ma ho prenotato una risonanza magnetica per capire perché mi ha fatto vedere le stelle per quasi un mese.
Nel frattempo mi godo i regali veri; quelli ricevuti e quelli da fare, tantissimi, che ho iniziato a sistemare sotto l'albero già da qualche settimana e che riempiono di allegria il mio salotto.
E quelli, ancora più belli, che non si possono incartare: l'affetto di familiari e amici, le fusa di Aki e Gandalf, le giornate che da domani inizieranno di nuovo ad allungarsi, i sorrisi su cui capita sempre di inciampare.
Sarà un Natale bellissimo.
Erano in una busta con il logo del Centro di Riferimento Oncologico, bruttina, niente di che, certo non uno di quei pacchetti infiocchettati e sbrilluccicanti che conquistano già prima dell'apertura.
Dentro la busta, un CD e due fogli; sui fogli, le risposte della TAC:
- peggioramento ed estensione delle alterazioni nella zona inguinale
- frattura spontanea del bacino e osso quasi sbriciolato intorno all'inserzione del femore
- il nodulo al polmone leggermente ridotto, ma con nuove strie fibrotiche
Con le festività natalizie imminenti, difficilmente riusciranno a programmare la biopsia prima di fine anno, è più probabile che venga fissata a inizio gennaio, mi faranno sapere.
Non è un dramma, o almeno non ancora; può essere una recidiva, al momento è l'ipotesi più probabile, ma non è detto, quindi non fatene una tragedia. Non sono in punto di morte: la mia dipartita è certa, come quella di chiunque altro, ma non imminente e ho cose più divertenti da fare che consolarvi per la mia (possibile) malattia.
Non sto nemmeno tanto male, anzi. La frattura del bacino non mi sta creando particolari problemi, è sostanzialmente una crepa dell'osso, probabilmente presente già da qualche mese e quasi asintomatica.
Negli ultimi giorni anche il ginocchio mi ha dato tregua, qualche doloretto, ma non le stilettate feroci delle settimane precedenti. Non che non voglia dargli fiducia, apprezzo la buona volontà che dimostra in questi giorni, ma ho prenotato una risonanza magnetica per capire perché mi ha fatto vedere le stelle per quasi un mese.
E quelli, ancora più belli, che non si possono incartare: l'affetto di familiari e amici, le fusa di Aki e Gandalf, le giornate che da domani inizieranno di nuovo ad allungarsi, i sorrisi su cui capita sempre di inciampare.
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mercoledì 19 dicembre 2018
Il buono dell'attesa
Sono in attesa dell'esito della TAC.
Fin dall'inizio del mio viaggio sul pianeta cancro ho patito le attese.
Attesa per gli esami, per gli esiti degli esami, per le visite, per gli interventi... Giorni, settimane, a volte mesi. Non per niente ci chiamano "pazienti"!
L'attesa alimenta l'incertezza e la paura: è una enorme fonte di ansia.
Non è possibile sopportare una simile tensione così spesso per così tanti anni, quindi già in occasione della prima ricaduta ho cominciato a elaborare qualche strategia per gestire questo tipo di stress.
"Non ci pensare" non è una soluzione praticabile.
È impossibile non pensare a qualcosa che condiziona profondamente la propria vita. Anzi, secondo me è necessario pensarci, è l'unico modo per scendere a patti con la malattia, per trovarle un posto in cui dia meno fastidio possibile. Ma non si può lasciare che questi pensieri invadano tutto, altrimenti non c'è più spazio per vivere.
La prima strategia che ho messo a punto, già in occasione della prima recidiva, è stata quella di delimitare gli spazi da dedicare all'attesa: ogni giorno mi ritagliavo un po' di tempo per pensare a cosa sarebbe potuto succedere, di solito mentre guidavo l'auto durante gli spostamenti di lavoro oppure alla sera, prima di addormentarmi. Al di fuori di quegli spazi, cercavo di pensare ad altro.
All'inizio mi è servita parecchia disciplina per rispettare i limiti che mi ero posta, ma con il tempo è diventato sempre più facile, al punto che sono arrivate intere giornate in cui il pensiero di ciò che stavo aspettando non mi sfiorava nemmeno.
Negli ultimi tre anni, con due recidive molto vicine tra loro e tutti i problemi successivi, le attese si sono affollate e moltiplicate. I controlli molto ravvicinati mi hanno lasciato pause brevissime tra la fine di un ciclo di esami e visite e l'inizio del successivo e spesso anche queste pause sono state cariche di attesa per i risultati incerti dei controlli precedenti. Eppure queste attese non sono state difficili come temevo.
La cosa più importante che ho imparato nei miei tredici anni a braccetto con il cancro è stata che devo cercare di raccogliere ogni briciola di ciò che di buono incontro nel mio cammino. Finalmente ho trovato qualcosa di buono anche nell'attesa.
È vero che l'attesa è incertezza, ma nell'attesa si può sperare in un esito positivo, si può sognare un futuro luminoso.
Finché dura l'attesa, tutto è ancora possibile.
Fin dall'inizio del mio viaggio sul pianeta cancro ho patito le attese.
Attesa per gli esami, per gli esiti degli esami, per le visite, per gli interventi... Giorni, settimane, a volte mesi. Non per niente ci chiamano "pazienti"!
L'attesa alimenta l'incertezza e la paura: è una enorme fonte di ansia.
Non è possibile sopportare una simile tensione così spesso per così tanti anni, quindi già in occasione della prima ricaduta ho cominciato a elaborare qualche strategia per gestire questo tipo di stress.
"Non ci pensare" non è una soluzione praticabile.
È impossibile non pensare a qualcosa che condiziona profondamente la propria vita. Anzi, secondo me è necessario pensarci, è l'unico modo per scendere a patti con la malattia, per trovarle un posto in cui dia meno fastidio possibile. Ma non si può lasciare che questi pensieri invadano tutto, altrimenti non c'è più spazio per vivere.
La prima strategia che ho messo a punto, già in occasione della prima recidiva, è stata quella di delimitare gli spazi da dedicare all'attesa: ogni giorno mi ritagliavo un po' di tempo per pensare a cosa sarebbe potuto succedere, di solito mentre guidavo l'auto durante gli spostamenti di lavoro oppure alla sera, prima di addormentarmi. Al di fuori di quegli spazi, cercavo di pensare ad altro.
All'inizio mi è servita parecchia disciplina per rispettare i limiti che mi ero posta, ma con il tempo è diventato sempre più facile, al punto che sono arrivate intere giornate in cui il pensiero di ciò che stavo aspettando non mi sfiorava nemmeno.
Negli ultimi tre anni, con due recidive molto vicine tra loro e tutti i problemi successivi, le attese si sono affollate e moltiplicate. I controlli molto ravvicinati mi hanno lasciato pause brevissime tra la fine di un ciclo di esami e visite e l'inizio del successivo e spesso anche queste pause sono state cariche di attesa per i risultati incerti dei controlli precedenti. Eppure queste attese non sono state difficili come temevo.
La cosa più importante che ho imparato nei miei tredici anni a braccetto con il cancro è stata che devo cercare di raccogliere ogni briciola di ciò che di buono incontro nel mio cammino. Finalmente ho trovato qualcosa di buono anche nell'attesa.
È vero che l'attesa è incertezza, ma nell'attesa si può sperare in un esito positivo, si può sognare un futuro luminoso.
Finché dura l'attesa, tutto è ancora possibile.
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giovedì 6 dicembre 2018
Conversazioni domestiche - 18
Io: "Se ti mangi anche i miei biscotti, me ne devi comperare di più."
Lui: "Li ho mangiati perché i miei erano finiti."
Io (paziente): "D'accordo, allora comprane di più dei tuoi."
Lui: "No! Se ne compero di più, poi li mangio!"
Ineccepibile logica maschile.
Lui: "Li ho mangiati perché i miei erano finiti."
Io (paziente): "D'accordo, allora comprane di più dei tuoi."
Lui: "No! Se ne compero di più, poi li mangio!"
Ineccepibile logica maschile.
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domenica 2 dicembre 2018
Circolo vizioso
Non mi faccio mai mancare niente.
Non bastavano le formiche, le fitte da neurite, i crampi muscolari e l'intorpidimento che nelle ultime settimane mi hanno reso particolarmente difficile muovermi. Un paio di settimane fa si è aggiunto anche un dolore molto intenso al ginocchio.
Nessun sovraccarico, nessun movimento strano: ero sul divano, ho piegato leggermente la gamba per alzarmi ed è partita una pugnalata appena sotto la rotula. Dopo un paio di giorni il dolore si è ridotto, ma poi è peggiorato di nuovo, senza motivo apparente.
Tra una decina di giorni ho la TAC, vedremo di cosa si tratta.
Nel frattempo, zoppico abbondantemente e dormo male.
Di notte, se non cambio spesso posizione, mi fanno male l'inguine e la schiena. Ogni volta che cambio posizione, mi fa male il ginocchio.
Non bastavano le formiche, le fitte da neurite, i crampi muscolari e l'intorpidimento che nelle ultime settimane mi hanno reso particolarmente difficile muovermi. Un paio di settimane fa si è aggiunto anche un dolore molto intenso al ginocchio.
Nessun sovraccarico, nessun movimento strano: ero sul divano, ho piegato leggermente la gamba per alzarmi ed è partita una pugnalata appena sotto la rotula. Dopo un paio di giorni il dolore si è ridotto, ma poi è peggiorato di nuovo, senza motivo apparente.
Tra una decina di giorni ho la TAC, vedremo di cosa si tratta.
Nel frattempo, zoppico abbondantemente e dormo male.
Di notte, se non cambio spesso posizione, mi fanno male l'inguine e la schiena. Ogni volta che cambio posizione, mi fa male il ginocchio.
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sabato 24 novembre 2018
La prozia
La prozia è sorella, o cognata, dei nonni.
Quando arriva, la prozia sparge il terrore salutando i pronipoti con frasi come "Vieni-qui-fatti-vedere-ma-come-sei-cresciuto-dai-un-bacio-alla-zia", per poi ricambiare quei baci recalcitranti con terrificanti pizzicotti sulle guance del malcapitato.
La prozia può essere armata di mestoli e mattarello, con cui realizza vagonate di tagliatelle e tortellini, oppure di ferri da calza e uncinetto che producono sciarpe chilometriche e centrini che ricoprono ogni superficie della casa.
La prozia può essere una signora severa e arcigna, che pretende silenzio assoluto dalle 13 alle 16 perché deve fare il riposino, oppure simpatica e affettuosa, sempre pronta ad allungare di nascosto ai pronipoti la seconda fetta di torta o qualche monetina per il gelato.
Ma la prozia è sempre, invariabilmente vecchia.
A maggio divento prozia.
Non sono pronta.
Quando arriva, la prozia sparge il terrore salutando i pronipoti con frasi come "Vieni-qui-fatti-vedere-ma-come-sei-cresciuto-dai-un-bacio-alla-zia", per poi ricambiare quei baci recalcitranti con terrificanti pizzicotti sulle guance del malcapitato.
La prozia può essere armata di mestoli e mattarello, con cui realizza vagonate di tagliatelle e tortellini, oppure di ferri da calza e uncinetto che producono sciarpe chilometriche e centrini che ricoprono ogni superficie della casa.
La prozia può essere una signora severa e arcigna, che pretende silenzio assoluto dalle 13 alle 16 perché deve fare il riposino, oppure simpatica e affettuosa, sempre pronta ad allungare di nascosto ai pronipoti la seconda fetta di torta o qualche monetina per il gelato.
Ma la prozia è sempre, invariabilmente vecchia.
A maggio divento prozia.
Non sono pronta.
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venerdì 16 novembre 2018
Il dolore di domani
Sarà cattivo il dolore di domani.
Sarà quello che picchia forte, che stritola lo stomaco e spacca il cuore.
Quello che si ferma in gola e ti lascia senza fiato.
Quello che no, basta, per favore, per favore, basta!
Sarà tutto il dolore che serve per cominciare a lasciarla andare. E ne serve tanto.
E io, che non la conoscevo, posso aiutarti solo ascoltando, amica mia, mentre mi parli di lei.
Sarà quello che picchia forte, che stritola lo stomaco e spacca il cuore.
Quello che si ferma in gola e ti lascia senza fiato.
Quello che no, basta, per favore, per favore, basta!
Sarà tutto il dolore che serve per cominciare a lasciarla andare. E ne serve tanto.
E io, che non la conoscevo, posso aiutarti solo ascoltando, amica mia, mentre mi parli di lei.
sabato 10 novembre 2018
Conversazioni domestiche - 17
La nostra casa è impacchettata.
Per proteggere i serramenti durante le operazioni di tinteggiatura, porte e finestre sono state sigillate con teli e nastro adesivo.
Al piano terra possiamo utilizzare il portoncino d'ingresso, una porta finestra che dà sul retro e una finestra che si apre su un tratto di muro in mattoni a vista, non interessato dai lavori, mentre il primo piano è completamente chiuso.
Questa situazione è piuttosto fastidiosa: non solo la casa è buia a tutte le ore, ma è anche molto difficoltoso arieggiare le stanze. Inoltre la direzione lavori non può accedere ai ponteggi attraverso la finestra del mio studio e questo ha generato vibranti proteste.
Oggi abbiamo cercato di far girare un po' d'aria aprendo tutto ciò che era possibile.
Dall'unica finestra del piano terra si vedono i ponteggi, circa un metro più in alto rispetto al davanzale.
La direzione lavori al completo non si è lasciata sfuggire l'occasione di un'ispezione e Renato non si è lasciato sfuggire l'occasione di immortalarli.
Io: "Girami la foto"
Lui: "Perché, non ti va bene dritta?"
Per proteggere i serramenti durante le operazioni di tinteggiatura, porte e finestre sono state sigillate con teli e nastro adesivo.
Al piano terra possiamo utilizzare il portoncino d'ingresso, una porta finestra che dà sul retro e una finestra che si apre su un tratto di muro in mattoni a vista, non interessato dai lavori, mentre il primo piano è completamente chiuso.
Questa situazione è piuttosto fastidiosa: non solo la casa è buia a tutte le ore, ma è anche molto difficoltoso arieggiare le stanze. Inoltre la direzione lavori non può accedere ai ponteggi attraverso la finestra del mio studio e questo ha generato vibranti proteste.
Oggi abbiamo cercato di far girare un po' d'aria aprendo tutto ciò che era possibile.
Dall'unica finestra del piano terra si vedono i ponteggi, circa un metro più in alto rispetto al davanzale.
La direzione lavori al completo non si è lasciata sfuggire l'occasione di un'ispezione e Renato non si è lasciato sfuggire l'occasione di immortalarli.
Io: "Girami la foto"
Lui: "Perché, non ti va bene dritta?"
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martedì 30 ottobre 2018
Il Direttore Lavori
Lavori in corso all'esterno della mia tana: opere di risanamento e impermeabilizzazione, rifacimento intonaci e tinteggiatura.
Da un paio di settimane la casa è avvolta dai ponteggi e abbiamo polvere ovunque, anche se relativamente a questo aspetto il peggio dovrebbe essere passato, dato che le attività di rimozione degli intonaci da sostituire sono finite.
La settimana scorsa il Direttore Lavori ha richiesto la prima ispezione dei ponteggi.
Mi sentivo tranquilla: per quanto ne posso capire, non essendo esperta del settore, il piano di sicurezza del cantiere mi sembra a posto, l'impresa lavora in modo ordinato e preciso e i ponteggi sono montati a regola d'arte.
Lui, evidentemente, non ne era altrettanto sicuro. È andato avanti e indietro per circa mezz'ora, osservando con attenzione ogni dettaglio.
Quando finalmente è rientrato, mi ha esposto a voce un resoconto molto dettagliato... di cui non ho capito nemmeno una parola.
Il giorno seguente si è presentato di nuovo nel mio studio, pretendendo di fare un'altra ispezione. Naturalmente non ho potuto negargliela.
Ancora un'osservazione scrupolosa, questa volta un po' più breve, seguita da un altro resoconto incomprensibile.
Alla terza richiesta in tre giorni ho iniziato a scocciarmi, ma non ho detto nulla.
Oggi si è presentato di nuovo, con un assistente, e a questo punto non mi sono più trattenuta: "Aki, la finiamo con questa storia di passeggiare sulle impalcature?"
Dopo un po' è tornato, chiedendo a gran voce di rientrare.
Ho aperto.
Ha deciso che voleva farsi un altro giretto, si è voltato ed è saltato di nuovo sul ponteggio.
Mi rimane un dubbio: cosa vuole dirmi con quei cinque minuti di miagolamento ogni volta che rientra?
Da un paio di settimane la casa è avvolta dai ponteggi e abbiamo polvere ovunque, anche se relativamente a questo aspetto il peggio dovrebbe essere passato, dato che le attività di rimozione degli intonaci da sostituire sono finite.
La settimana scorsa il Direttore Lavori ha richiesto la prima ispezione dei ponteggi.
Mi sentivo tranquilla: per quanto ne posso capire, non essendo esperta del settore, il piano di sicurezza del cantiere mi sembra a posto, l'impresa lavora in modo ordinato e preciso e i ponteggi sono montati a regola d'arte.
Lui, evidentemente, non ne era altrettanto sicuro. È andato avanti e indietro per circa mezz'ora, osservando con attenzione ogni dettaglio.
Quando finalmente è rientrato, mi ha esposto a voce un resoconto molto dettagliato... di cui non ho capito nemmeno una parola.
Il giorno seguente si è presentato di nuovo nel mio studio, pretendendo di fare un'altra ispezione. Naturalmente non ho potuto negargliela.
Ancora un'osservazione scrupolosa, questa volta un po' più breve, seguita da un altro resoconto incomprensibile.
Alla terza richiesta in tre giorni ho iniziato a scocciarmi, ma non ho detto nulla.
Oggi si è presentato di nuovo, con un assistente, e a questo punto non mi sono più trattenuta: "Aki, la finiamo con questa storia di passeggiare sulle impalcature?"
Dopo un po' è tornato, chiedendo a gran voce di rientrare.
Ho aperto.
Ha deciso che voleva farsi un altro giretto, si è voltato ed è saltato di nuovo sul ponteggio.
Mi rimane un dubbio: cosa vuole dirmi con quei cinque minuti di miagolamento ogni volta che rientra?
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domenica 28 ottobre 2018
L'ora di andare a letto
Sono una dormigliona.
Ho bisogno di molte ore di sonno per essere efficiente e produttiva, o anche solo vagamente civile. Se non dormo abbastanza, divento scontrosa e scorbutica. Ok, divento più scontrosa e scorbutica del solito.
Ho sempre dormito molto, fin da quando sono nata. Nei primi mesi di vita dormivo a tutte le ore, ma ben presto ho iniziato a concentrare il sonno soltanto dalla sera alla tarda mattinata.
Al primo anno di asilo, dopo pranzo era previsto un sonnellino. Ci facevano stendere sulle brandine di tela e bisognava dormire. Io restavo stesa a pancia in su, a guardare il soffitto, perfettamente sveglia. Non facevo rumore né disturbavo il sonno degli altri bambini - da buona marmotta ho sempre avuto molto rispetto per il sonno altrui - ma fin dal primo giorno avevo capito che restare svegli durante l'orario del sonnellino non era considerato accettabile e quando la suora si avvicinava per controllare, chiudevo gli occhi e fingevo di dormire. Contavo, a ragione, sul fatto che la suora non potesse sapere che io dormivo sempre e solo a pancia in giù.
Detestavo l'asilo, non perché mi trovassi male, ma perché per andarci dovevo alzarmi "presto", verso le otto, se ben ricordo, vale a dire dopo undici ore di sonno.
Dormivo più della maggior parte degli altri bambini e talvolta questo mi creava disagio, un po' perché venivo etichettata come pigrona, ma soprattutto perché mi sentivo diversa. Una delle mie zie un giorno cercò di rassicurarmi, dicendo che quando fossi diventata grande, avrei avuto meno bisogno di dormire. Sto ancora aspettando di diventare grande.
Ho bisogno di molte ore di sonno per essere efficiente e produttiva, o anche solo vagamente civile. Se non dormo abbastanza, divento scontrosa e scorbutica. Ok, divento più scontrosa e scorbutica del solito.
Ho sempre dormito molto, fin da quando sono nata. Nei primi mesi di vita dormivo a tutte le ore, ma ben presto ho iniziato a concentrare il sonno soltanto dalla sera alla tarda mattinata.
Al primo anno di asilo, dopo pranzo era previsto un sonnellino. Ci facevano stendere sulle brandine di tela e bisognava dormire. Io restavo stesa a pancia in su, a guardare il soffitto, perfettamente sveglia. Non facevo rumore né disturbavo il sonno degli altri bambini - da buona marmotta ho sempre avuto molto rispetto per il sonno altrui - ma fin dal primo giorno avevo capito che restare svegli durante l'orario del sonnellino non era considerato accettabile e quando la suora si avvicinava per controllare, chiudevo gli occhi e fingevo di dormire. Contavo, a ragione, sul fatto che la suora non potesse sapere che io dormivo sempre e solo a pancia in giù.
Detestavo l'asilo, non perché mi trovassi male, ma perché per andarci dovevo alzarmi "presto", verso le otto, se ben ricordo, vale a dire dopo undici ore di sonno.
Dormivo più della maggior parte degli altri bambini e talvolta questo mi creava disagio, un po' perché venivo etichettata come pigrona, ma soprattutto perché mi sentivo diversa. Una delle mie zie un giorno cercò di rassicurarmi, dicendo che quando fossi diventata grande, avrei avuto meno bisogno di dormire. Sto ancora aspettando di diventare grande.
In virtù della mia natura marmottesca, apprezzo particolarmente il momento di andare a letto pregustando il sonno che mi attende, soprattutto prima dei giorni festivi, quando so di avere a disposizione tutte le ore di cui ho bisogno e anche di più.
Infilarmi sotto le coperte però significa anche dedicare un po' di tempo alla lettura, un'altra attività che amo moltissimo. A meno che non sia davvero molto tardi, leggo sempre qualche pagina prima di dormire.
La combinazione di lettura e sonno rende quindi particolarmente gradevole l'ora di andare a letto soprattutto nelle ultime settimane, in cui c'è stata una singolare coincidenza tra un bisogno di riposo particolarmente intenso e alcuni libri particolarmente belli.
Venerdì sera, sapendo che sabato avrei potuto dormire fino a tardi, ho prolungato il tempo di lettura per finire le ultime pagine di un thriller poi, al momento di decidere quale nuovo libro iniziare, ho sentito il desiderio, inatteso e intenso, di rileggere un libro che ho amato moltissimo nella mia infanzia: L'isola misteriosa di Jules Verne.
Ne possiedo una versione ridotta per ragazzi, letta e riletta molte volte, ma avevo la curiosità di leggere l'edizione integrale.
Detto fatto. Ho attivato la connessione wi-fi sull'e-reader, sono entrata nel negozio on line, ho trovato il libro e l'ho acquistato. E già che c'ero, ne ho comperato anche un altro.
Comodamente accoccolata sotto al piumone ho ripensato a trent'anni fa, quando frequentavo l'università e risparmiavo su tutto, mettendo da parte ogni spicciolo per acquistare libri. Ho ricordato le spedizioni al centro commerciale, con la speranza di trovare il libro che desideravo a prezzo scontato. Le profonde riflessioni di fronte all'edicola della stazione di Mestre quando un ritardo dei treni prolungava l'attesa e cercavo qualcosa di nuovo da leggere e bisognava scegliere bene come investire i risparmi accumulati con tanta fatica. Lo sguardo sognante e le mani che accarezzavano il dorso dei volumi nelle grandi librerie di Padova, in cui entravo spesso solo per guardare, perché non potevo permettermi di acquistare.
Allora speravo che prima o poi avrei avuto abbastanza denaro per comperare tutti i libri che avessi desiderato e alla fine questo sogno si è avverato.
Però mai, mai avrei potuto immaginare che un giorno avrei potuto acquistare quei libri nel cuore della notte senza muovermi dal mio letto.
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lunedì 8 ottobre 2018
Ci vuole un fisico bestiale. E anche un chimico eccezionale.
Un weekend al Malnisio Science Festival è un'esperienza straordinaria. È un fine settimana di brevi conferenze con relatori di altissimo livello, integrate da laboratori per bambini e ragazzi, all'interno della centrale idroelettrica Pitter di Malnisio (PN), ora trasformata in museo e sede di eventi di divulgazione.
Il programma di quest'anno, incentrato sul tema dell'acqua, era ricco di appuntamenti interessanti, tanto che in alcuni casi non è stato facile scegliere quale conferenza seguire tra quelle che si svolgevano in contemporanea.
Gli eventi speciali del Festival hanno raccolto un pubblico numerosissimo: il resoconto dell'astronauta Umberto Guidoni del suo viaggio fino alla Stazione Spaziale Internazionale e le curiosità su Leonardo Da Vinci presentate da Massimo Polidoro hanno riempito l'auditorium anche oltre la sua capacità.
Ma al di là dei nomi più noti, due conferenze in particolare sono state a mio parere davvero straordinarie, combinando perfettamente argomenti di grandissimo interesse ed eccezionali capacità espositive dei relatori.
Federico Forneris, docente universitario e ricercatore dell'Università di Pavia, ha raccontato con grande chiarezza e proprietà espositiva come nuovi metodi e tecnologie consentano di studiare in dettaglio la struttura delle proteine, il primo passo per la creazione dei farmaci a bersaglio molecolare che stanno rivoluzionando la cura di alcune forme tumorali.
L'argomento mi interessava particolarmente, sia come paziente oncologica, potenziale beneficiaria di queste nuove scoperte, sia perché la mia tesi di laurea, nel lontano 1995, è stata proprio lo sviluppo di un programma software per l'analisi e il confronto delle strutture tridimensionali delle molecole proteiche contenute in una banca dati archiviata dall'Università di Trieste.
Alla fine della conferenza, sono andata a complimentarmi con il relatore per l'eccellente esposizione e gli ho detto che molto tempo fa mi ero occupata di questo tema. Non vi dico la soddisfazione quando ha detto che conosceva il software, l'aveva utilizzato una ventina d'anni fa durante un periodo di studio a Trieste.
Sono straordinariamente orgogliosa di sapere che quel mio lavoro, a cui ho dedicato tante energie e tantissime notti davanti al computer, ha dato almeno un piccolissimo contributo alla ricerca sanitaria.
L'altra conferenza a cui eravamo particolarmente interessati a partecipare aveva un titolo irresistibile per due appassionati di fantascienza come noi: La fisica di Star Trek.
L'astrofisico Fabio Peri, curatore del planetario Hoepli di Milano, ha illustrato in modo semplice e avvincente concetti complessi come le teorie della relatività di Einstein e la curvatura dello spazio-tempo, spiegando con grande entusiasmo come le tecnologie immaginate dai creatori di Star Trek, come la velocità a curvatura, gli smorzatori inerziali o il teletrasporto, abbiano in effetti un fondamento almeno teorico nelle leggi della fisica. Un'esposizione competente e divertente: se vi capita l'occasione di assistere a una sua conferenza, non lasciatevela sfuggire.
Anche altri interventi hanno lasciato il segno.
Finalmente ho capito cosa sono i bitcoin grazie ad Alberto Montresor, docente universitario di informatica.
Il fisico Enrico Gazzola ha parlato di pseudoscienza: errori, falsità, studi poco rigorosi, scoop sensazionalistici su teorie ancora non dimostrate e soprattutto la scienza patologica, cioè i casi - purtroppo tristemente frequenti - in cui qualcuno, per orgoglio o ingenuità, ma più spesso a scopo di lucro, continua a sostenere teorie di cui è già stata dimostrata l'infondatezza.
Il chimico Luigi Garlaschelli ha parlato di come analisi scientifiche ed esperimenti rigorosi abbiano permesso di demolire alcuni falsi miti collegati all'acqua: i miracoli di Lourdes, l'omeopatia e la rabdomanzia.
Claudio Casonato ha parlato di mostri acquatici veri, quasi veri e completamente inventati mentre il biologo marino Giovanni Bearzi ha descritto come in pochi anni i cetacei siano passati nell'immaginario collettivo da mostri pericolosi da sterminare a giganti buoni da proteggere.
Di nuovo Fabio Peri, sempre con una verve irresistibile, ha raccontato come si possono analizzare i corpi celesti per valutare se possono ospitare la vita.
Insomma, sono stati due giorni entusiasmanti, pieni di cose nuove e di nuovi amici con cui condividere la nostra passione per la scienza e il pensiero critico.
Il prossimo anno venite anche voi.
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venerdì 5 ottobre 2018
L'uomo dei sogni
Nel 1987, all'inizio di una storia importante, avevo messo subito le cose in chiaro con il mio ragazzo.
Non potevo promettere di amarlo per sempre, ma mi impegnavo a essergli assolutamente fedele per tutta la la durata della nostra relazione, con un'unica, possibile eccezione.
Ho sempre trovato straordinariamente affascinante quest'uomo.
All'epoca io avevo 18 anni e lui 50, ma non mi importava: se mai mi fosse capitata l'occasione di un'avventura con Robert Redford, non me la sarei lasciata sfuggire.
Il mio ragazzo non aveva fatto obiezioni, probabilmente confortato dalla statistica.
A occhio e croce, la probabilità che io riuscissi a incontrare Robert Redford poteva essere una su un milione. Ancora più esigua la probabilità che Robert Redford potesse essere attratto da me: benché trent'anni (e trenta chili) fa io non fossi proprio da buttar via, non ero certo il tipo che faceva voltare gli uomini per strada. Diciamo una probabilità su dieci milioni. Dato che la probabilità che si verifichino due eventi è il prodotto delle probabilità dei singoli eventi, abbiamo un totale di una probabilità su dieci miliardi.
Il ragazzo non aveva certo motivo di preoccuparsi e mi aveva facilmente concesso la mia licenza di cornificazione, un bonus che mi sarei potuta giocare soltanto con Robert Redford.
C'è bisogno di dirlo? Non ho mai avuto l'occasione di usarla.
E quando ho conosciuto Renato, un anno e mezzo dopo la fine di quella relazione iniziata nel 1987, avevo ormai chiuso il cassetto di questo sogno e non gli ho richiesto la licenza di cornificazione.
Stamattina però...
Nell'azienda per cui lavoro c'era una convention importante, a cui partecipavano diversi VIP.
Non so esprimere l'emozione di vederlo a pochi metri da me, con tutti i suoi 82 anni, le rughe e i capelli tinti, ma sempre straordinariamente affascinante.
Quando mi sono avvicinata, mi sembrava di camminare su una nuvola. Imbarazzata per la mia mediocre pronuncia inglese e assolutamente incantata da quello sguardo ancora straordinariamente azzurro, gli ho detto solo: "Your blue eyes are a gift to the world. Thank you."
Mi ha regalato uno dei suoi meravigliosi sorrisi, roba da sciogliere in un secondo tutti i ghiacci dell'Himalaya, altro che riscaldamento globale!
E poi...
...
... è suonata la sveglia.
Oggi effettivamente c'era una convention di VIP in azienda, ma si trattava di rappresentanti di alcuni tra i più prestigiosi marchi del Made in Italy.
Quanto a Robert Redford... Beh, lui è l'uomo dei sogni, quindi si trovava esattamente al suo posto.
Non potevo promettere di amarlo per sempre, ma mi impegnavo a essergli assolutamente fedele per tutta la la durata della nostra relazione, con un'unica, possibile eccezione.
Ho sempre trovato straordinariamente affascinante quest'uomo.
All'epoca io avevo 18 anni e lui 50, ma non mi importava: se mai mi fosse capitata l'occasione di un'avventura con Robert Redford, non me la sarei lasciata sfuggire.
Il mio ragazzo non aveva fatto obiezioni, probabilmente confortato dalla statistica.
A occhio e croce, la probabilità che io riuscissi a incontrare Robert Redford poteva essere una su un milione. Ancora più esigua la probabilità che Robert Redford potesse essere attratto da me: benché trent'anni (e trenta chili) fa io non fossi proprio da buttar via, non ero certo il tipo che faceva voltare gli uomini per strada. Diciamo una probabilità su dieci milioni. Dato che la probabilità che si verifichino due eventi è il prodotto delle probabilità dei singoli eventi, abbiamo un totale di una probabilità su dieci miliardi.
Il ragazzo non aveva certo motivo di preoccuparsi e mi aveva facilmente concesso la mia licenza di cornificazione, un bonus che mi sarei potuta giocare soltanto con Robert Redford.
C'è bisogno di dirlo? Non ho mai avuto l'occasione di usarla.
E quando ho conosciuto Renato, un anno e mezzo dopo la fine di quella relazione iniziata nel 1987, avevo ormai chiuso il cassetto di questo sogno e non gli ho richiesto la licenza di cornificazione.
Stamattina però...
Nell'azienda per cui lavoro c'era una convention importante, a cui partecipavano diversi VIP.
Non so esprimere l'emozione di vederlo a pochi metri da me, con tutti i suoi 82 anni, le rughe e i capelli tinti, ma sempre straordinariamente affascinante.
Quando mi sono avvicinata, mi sembrava di camminare su una nuvola. Imbarazzata per la mia mediocre pronuncia inglese e assolutamente incantata da quello sguardo ancora straordinariamente azzurro, gli ho detto solo: "Your blue eyes are a gift to the world. Thank you."
Mi ha regalato uno dei suoi meravigliosi sorrisi, roba da sciogliere in un secondo tutti i ghiacci dell'Himalaya, altro che riscaldamento globale!
E poi...
...
... è suonata la sveglia.
Oggi effettivamente c'era una convention di VIP in azienda, ma si trattava di rappresentanti di alcuni tra i più prestigiosi marchi del Made in Italy.
Quanto a Robert Redford... Beh, lui è l'uomo dei sogni, quindi si trovava esattamente al suo posto.
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venerdì 28 settembre 2018
Sono un'idiota - Lettera aperta al Governo Italiano
Al Presidente del Consiglio, Vice-Presidenti, Ministri,
Sottosegretari, Deputati e Senatori della Lega e del Movimento 5 Stelle
e p.c. al Presidente
della Repubblica
Mi presento.
Sono una libera professionista
dal 1999.
Invalida dal 2007, disabile dal
2016; a titolo di informazione per la Ministra della Salute, anche
immunodepressa.
Nel 2016 ho accettato un lavoro
dipendente part-time in un settore completamente nuovo per me e con uno
stipendio molto inferiore ai miei compensi abituali, perché le mie condizioni
di salute non mi consentivano più di svolgere la mia attività a tempo pieno.
Ora ho uno stipendio netto di circa 850€ al mese, che integro con qualche
attività di consulenza, compatibilmente con le mie limitazioni fisiche.
Sono quella che nel 2006 ha
ricevuto dall'INPS un'indennità di ben 330€ a fronte di una sospensione di due
mesi e mezzo dell'attività lavorativa per malattia e nel 2008 addirittura
1.100€ per una sospensione, sempre per malattia, di otto mesi. Importi
lordi, su cui ho poi versato imposte e contributi.
Sono quella che anche con il
100% di invalidità non ha mai avuto diritto a sussidi, perché mi sono
sempre data da fare per lavorare ed essere economicamente autosufficiente.
Sono quella che si tiene la
contabilità da sola, perché un commercialista costa più di 1.000€ all'anno e
per me sono tanti. Ogni tanto sbaglio a compilare qualche dichiarazione e
pago le sanzioni, perché è giusto che chi sbaglia paghi.
Sono quella che nel 2009 e 2010
ha perso il 30% del fatturato, ha stretto i denti ed è andata avanti, continuando a pagare puntualmente tutto il dovuto.
Sono quella che a dicembre 2010
ha pagato interessi e sanzioni per un giorno di ritardo nel versamento
dell'acconto IVA. Il giorno della scadenza c'era stato il funerale di mia
madre.
Sono quella che a fine novembre
2016 si è fatta portare il computer in ospedale per versare puntualmente gli
acconti di imposte sui redditi e contributi, acconti di cui sto ancora
aspettando il rimborso, perché erano calcolati sul reddito dell'anno
precedente, quando ancora lavoravo da professionista a tempo pieno. Lo sapevo che
erano troppo alti, ma è un po' difficile fare il ricalcolo quando sei sotto
oppiacei per controllare il dolore.
Sono quella che poche settimane
fa ha versato quasi 50€ di interessi e sanzioni per un ritardato pagamento IVA
solo perché l'Agenzia delle Entrate aveva scartato l'intero modello F24,
presentato puntualmente, per un errore di indicazione dell'anno di competenza
in una riga del valore di 3€.
Sono quella che appena si è
accorta di aver commesso un errore formale nelle comunicazioni periodiche IVA,
ha provveduto a sanarlo versando oltre 70€ di sanzioni, senza attendere una contestazione dell'Agenzia delle Entrate che forse non sarebbe mai arrivata.
Sono quella che ha sempre pagato le tasse e i contributi, perché è giusto che ognuno faccia la sua parte.
Con i provvedimenti che con tanto orgoglio
annunciate di avere inserito nella Legge di Bilancio, voi mi insultate e
insultate tutte le persone oneste.
Ci state dicendo che siamo stupidi,
tonti, imbecilli, idioti perché lavoriamo e paghiamo le tasse e i contributi.
· Volete regalare il reddito di cittadinanza a chi
non trova lavoro, ma anche a chi lavora in nero e a chi il lavoro non lo cerca,
perché senza la riforma dei Centri per l'impiego non c'è modo di valutare se
una persona stia effettivamente cercando un lavoro né di applicare la lodevole
clausola per cui chi rifiuta tre offerte di lavoro perde il diritto al sussidio.
· Volete regalare la pensione di cittadinanza agli
invalidi, ma anche a tutti quelli che non hanno mai pagato i contributi o ne
hanno pagati pochissimi.
· Volete regalare l'ennesimo condono agli evasori
fiscali. Ma davvero avete il coraggio di guardarvi allo specchio e dire che la
"Pace fiscale" non è un condono? Anche se in fondo non dovrei
sorprendermi. Cosa ci si può aspettare da quelli che hanno rubato 49 milioni di
euro e vogliono restituirli in 80 anni di comode rate? E da quelli che
urlavano Onestà, onestà! ma da quando si sono accomodati sui seggi
del Parlamento hanno tradito tutti i loro principi, da uno vale uno alla
democrazia dal basso, dalla trasparenza a gli indagati devono
dimettersi?
Non è una guerra tra poveri, è tra
onesti e furbi.
Forse io sono un’idiota perché nonostante
tutto sto dalla parte degli onesti.
Voi, invece, state dalla parte dei furbi. E ve ne vantate pure.
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riflessioni (quasi) serie
venerdì 31 agosto 2018
Rimandata a dicembre
Ieri giornata di ritiro referti e visite oncologiche.
Renato ha voluto accompagnarmi, anche se fisicamente non era necessario, per non lasciarmi affrontare da sola l'eventualità di brutte notizie. Che non ci sono state. Quasi.
Secondo il radiologo, il nodulo al polmone si è leggermente ridotto, da 10 a 8 mm. Secondo me, confrontando le immagini, ha solo cambiato leggermente forma, ma le dimensioni sono le stesse. In ogni caso, se non aumenta, non ce ne preoccupiamo.
Quello che ci è piaciuto poco è il peggioramento delle alterazioni nella zona inguinale, che coinvolgono sia i muscoli, con zone che iniziano a captare il mezzo di contrasto in modo differente rispetto ai tessuti circostanti, sia l'osso del bacino, che presenta una deformazione sempre più marcata in prossimità dell'inserzione del femore.
La posizione dei medici è ancora di attesa: nuovo controllo fra tre mesi, anzi quattro, perché non c'è disponibilità per la TAC fino a metà dicembre.
Potete immaginare come dormiremo tranquilli...
Renato ha voluto accompagnarmi, anche se fisicamente non era necessario, per non lasciarmi affrontare da sola l'eventualità di brutte notizie. Che non ci sono state. Quasi.
Secondo il radiologo, il nodulo al polmone si è leggermente ridotto, da 10 a 8 mm. Secondo me, confrontando le immagini, ha solo cambiato leggermente forma, ma le dimensioni sono le stesse. In ogni caso, se non aumenta, non ce ne preoccupiamo.
Quello che ci è piaciuto poco è il peggioramento delle alterazioni nella zona inguinale, che coinvolgono sia i muscoli, con zone che iniziano a captare il mezzo di contrasto in modo differente rispetto ai tessuti circostanti, sia l'osso del bacino, che presenta una deformazione sempre più marcata in prossimità dell'inserzione del femore.
La posizione dei medici è ancora di attesa: nuovo controllo fra tre mesi, anzi quattro, perché non c'è disponibilità per la TAC fino a metà dicembre.
Potete immaginare come dormiremo tranquilli...
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cancronache
venerdì 17 agosto 2018
Dalla cima del monte Elmo
A volte basta cambiare punto di vista per capire qualcosa
che sembrava incomprensibile.
Ieri, sui tabelloni vicino alla funivia della Croda Rossa, leggevo
i nomi delle cime delle Dolomiti di Sesto: Tre Scarperi, Paterno, Baranci, Tre
Cime di Lavaredo, Croda Rossa, Croda dei Toni… e poi una serie di numeri: Cima
Nove, Cima Dieci, Cima Undici, Cima Dodici, Cima Una...
Mi sono chiesta se gli
abitanti del luogo avessero esaurito la fantasia, un po’ come è successo con le
stelle: quelle conosciute fin dall'antichità hanno nomi evocativi e ricchi di
significato, mentre per le scoperte più recenti si utilizzano fredde
combinazioni di numeri e lettere.
Però mi pareva strano. La montagna è qualcosa che non si può
ignorare, incute rispetto e soggezione, non credo che si possa vivere sotto la
sua ombra considerandola solo un anonimo pezzo di roccia.
Stamattina siamo saliti sul monte Elmo, da cui si ammira un
panorama straordinario. A pochi passi dalla stazione della funivia, la vista si
apre sulle Dolomiti di Sesto e tutto è diventato chiaro.
Cima Nove, Dieci, Undici, Dodici e Una sono il quadrante del
più straordinario orologio del mondo: la Meridiana di Sesto. Durante la
mattina, il sole illumina in sequenza queste cime, ciascuna nell'ora
corrispondente al nome.
Anche oggi ho affrontato una passeggiata, breve e facile; un
sentiero per famiglie, che si può percorrere anche con i passeggini. Anche oggi
abbiamo proceduto a passo di formica, il mio, con tante soste per riposare la
gamba. E alla fine ero davvero tanto stanca.
Il sentiero non era di quelli che avrei scelto quindici anni
fa, troppo affollato e rumoroso. Ma guardiamolo da un altro punto di vista...
Dalla cima del monte Elmo, circondata da cespugli di erica e
mirtillo, mentre guardavo il cielo attraverso i rami di un larice, ho ricordato
che esattamente due anni fa, il 17 agosto alle 13:30, stavo affrontando una
seduta di radioterapia, in preparazione all'intervento chirurgico di ottobre, dopo
il quale non era affatto scontato che avrei potuto camminare ancora. O che
avrei avuto ancora entrambe le gambe.
Se lo guardo da questo punto di vista, quel sentiero così
facile per tutti e tanto impegnativo per me, è un traguardo straordinario.
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viaggi
giovedì 16 agosto 2018
Nella salute e nella malattia
Ho sempre pensato che chi sceglie il rito matrimoniale cattolico
dimostri grande incoscienza.
Secondo me, moltissimi sposi non valutano
realmente la portata della formula matrimoniale, la pronunciano perché è bella
e suggestiva, o magari solo perché “si usa così”, ma senza capire davvero
quanto sia profonda e impegnativa.
Prometto di esserti fedele sempre, nella gioia e nel dolore, nella
salute e nella malattia
e di amarti e onorarti tutti i giorni della mia vita
Tutti i giorni della vita significa sempre, in ogni caso.
Amare anche se l’altro ti abbandona, essere fedele anche se tradisce, onorare
anche se si comporta male. Come si può fare una simile promessa? Mi stupisce sempre
che qualcuno abbia il coraggio di pronunciarla, per di più davanti al proprio
Dio.
Ma c’è anche chi non fa promesse e non si nasconde dietro parole
altisonanti ma vuote. Chi cammina al mio fianco da sedici anni, nella salute e nella
malattia, soprattutto nella malattia, adattando il suo passo al mio, con infinita
pazienza.
Oggi abbiamo fatto una bellissima passeggiata ai Prati di
Croda Rossa. Un percorso molto breve e molto facile. Piano, pianissimo, con la mia andatura da formica. Probabilmente ci abbiamo messo almeno il doppio rispetto
agli escursionisti più lenti. Nei tratti in discesa, lui teneva stretta la
cinghia del mio marsupio, per sostenermi se avessi perso l’equilibrio.
A un certo punto gli ho chiesto se non gli pesava dover
procedere così lentamente.
Ha risposto, semplicemente: “Siamo in due”.
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mercoledì 15 agosto 2018
Un grande regalo (post lungo)
Alla fine di giugno, in occasione di una cena con alcuni dei
miei numerosi zii e cugini, si parlava di vacanze estive.
Noi, niente. Renato sarebbe stato in ferie soltanto la
settimana di Ferragosto e io il 14 avevo la TAC. Se anche avessimo trovato un hotel
disposto a darci una camera solo per 3 o 4 notti nella settimana più gettonata dell’anno,
avremmo dovuto affrontare una spesa proibitiva per ritrovarci in mezzo a una
folla di turisti. No, grazie.
Ma a quel punto è arrivato un regalo del tutto inaspettato.
Uno dei miei cugini, Carlo, durante l’inverno fa l’istruttore
di snowboard a San Candido, in Alto Adige, mentre d’estate gestisce una scuola
di windsurf a Bibione. La sua compagna, Erika, ci ha offerto la possibilità di
utilizzare il loro appartamento di San Candido, che durante l’estate rimane
vuoto: un’occasione da non perdere!
La prospettiva di qualche giorno nel mio amatissimo Alto
Adige mi ha coinvolto al punto da oscurare quasi completamente il pensiero
della TAC imminente. Nei giorni scorsi sono stata concentrata esclusivamente
sul lavoro e sui preparativi per questa mini vacanza, con le mie solite liste:
cose da fare e da vedere, cose da portare, posti in cui mangiare.
La nostra gentilissima vicina di casa anche questa volta si
è resa disponibile per occuparsi dei gatti, che abbiamo cercato di tenere all’oscuro
dei nostri progetti di partenza più a lungo possibile. Gandalf, in particolare,
si agita sempre molto quando capisce che stiamo per uscire – e di solito lo
capisce prima che iniziamo a prepararci: lui sa! – quindi, per non farlo
preoccupare, abbiamo rinviato la preparazione delle valigie all’ultimo momento.
Alla fine, a preoccuparsi è stato Aki. Gandalf dormiva pacificamente sul
tettuccio della mia auto, in garage, e non si è accorto dei preparativi, mentre
Aki è arrivato in camera proprio mentre riempivo la valigia e ha iniziato ad
aggirarsi sul letto, agitatissimo. Povero piccolo!
Alla fine anche Gandalf ha capito cosa stava succedendo e sono
rimasti tutti e due sul vialetto di casa a guardarci partire, sconsolati.
Avevo messo a tal punto in secondo piano l’idea della TAC che
ieri mattina, impegnata a riempire la valigia, avevo dimenticato di prendere
uno dei farmaci necessari per la preparazione al mezzo di contrasto e me ne
sono resa conto soltanto quando sono arrivata all’accettazione della radiologia
e ho consegnato il modulo di consenso in cui era indicato che avevo fatto la
premedicazione. Mortificata, ho segnalato il problema all’infermiera che inserisce
le agocannule per l’infusione del mezzo di contrasto, una persona gentilissima,
che ormai mi conosce da anni e non manca mai di chiedermi come stanno i miei
gatti. Poco male: è un farmaco che va preso poco prima dell’esame, quindi me l’ha
dato lei e abbiamo ritardato di circa un’ora la TAC perché avesse il tempo di
fare effetto.
Dopo la TAC, erano ormai passate le 14, siamo scesi a
mangiare un panino al bar dell’ospedale, poi di nuovo in radiologia per
togliere l’ago, che mi fanno tenere sempre per almeno mezz’ora dopo l’esame per
via dell’allergia al mezzo di contrasto, che potrebbe provocare reazioni
ritardate, poi finalmente siamo partiti.
Non avevamo fretta, così abbiamo scelto di evitare l’autostrada
e attraversare la Valcellina: Montereale, Barcis, Cimolais, Erto e Casso e infine
la diga del Vajont, un monumento all’arroganza e all’avidità, che si affaccia
su Longarone, la nuova Longarone, perché la vecchia è stata spazzata via il 9
ottobre di 55 anni fa da quell’ondata d’acqua che in pochi minuti ha spento quasi
2000 vite.
Dopo Longarone il paesaggio cambia: le valli si fanno più
larghe e luminose, la roccia grigia e ripida delle Dolomiti friulane lascia
spazio a quella più chiara del Cadore, che il sole accende di riflessi rosa,
trasformando le cime frastagliate in delicati merletti.
Avevo pensato di attraversare Cortina e da lì il passo di
Carbonin-Schluderbach, il cui doppio nome già racconta il passaggio dal Veneto
all’Alto Adige, per arrivare a Dobbiaco, invece Google Maps suggeriva come
strada più veloce quella che attraversa Pieve di Cadore e poi il Comelico. Ci
siamo fidati… e non è stata una buona idea. Anziché un solo passo, ne abbiamo
dovuti superare due, Sant’Antonio e Monte Croce Comelico, con abbondanza di
tornanti e tratti ripidi che mi mettono a disagio (ne avevo parlato anni fa
qui). La valorosa Yaris di Renato ha superato brillantemente anche questa
prova, ma abbiamo deciso che la prossima volta che affronteremo la montagna,
sarà con un’auto ibrida e con il cambio automatico.
Arrivati a San Candido, Google Maps ha di nuovo dato i
numeri, facendoci girare in tondo fino a che ho preso in mano la situazione e
ho individuato da sola la strada più breve per la nostra destinazione, che
abbiamo finalmente raggiunto verso le 17:30.
L’appartamento di Erika e Carlo è delizioso, con un
meraviglioso solarium, da cui sto scrivendo in questo momento, che si affaccia
sui boschi e sulla cima del monte Elmo.
Dopo esserci sistemati e riposati un po’, abbiamo cenato in
un ristorante poco distante, una struttura in legno molto caratteristica, in
perfetto stile tirolese. Abbiamo scelto un antipasto - carpaccio di cervo con
burro ai mirtilli e rucola - un primo – tris di canederli - e un secondo –
rosticciata tirolese - oltre alle insalate dal buffet e siamo riusciti a
malapena a finire tutto, declinando la proposta di dolci, che pure sembravano
molto invitanti. Normale, direte voi: antipasto, primo e secondo sono più che
abbastanza per un pasto! Già, solo che noi abbiamo preso UN antipasto, UN primo
e UN secondo. In due. Le porzioni erano decisamente generose, oltre che buone.
Ci torneremo anche stasera per assaggiare qualche altra prelibatezza locale.
Volevo evitare di mettermi a letto con la cena ancora in
fondo alla gola, ma non ho resistito a lungo: alle 22:30 avevo già gli occhi a
mezz’asta e ho ceduto a un lungo sonno, favorito dalla temperatura finalmente fresca,
dopo settimane di afa di pianura.
Al risveglio, questa mattina, la cappa grigia di pioggia che
ci aveva accompagnato per tutto il pomeriggio di ieri era sparita e nel cielo
si inseguivano soffici nuvole bianche con cui il sole ha giocato a nascondino
per tutta la giornata, regalandoci una temperatura gradevolissima.
Ci siamo alzati tardi, con tutta la calma che si addice alle
vacanze, e siamo andati a fare colazione in centro, ammirando il curioso
affollamento di chiese nel centro di San Candido, dove a pochi metri di
distanza si trovano la chiesa barocca di San Michele e la splendida architettura
romanica della Collegiata.
Abbiamo incontrato per un aperitivo Claudia, una cara amica che
vive qui e che non vedevo da tempo, poi, in auto, ci siamo diretti verso il
lago di Braies. La strada è ad accesso limitato, ma grazie al mio contrassegno di
disabile abbiamo potuto arrivare fino ai parcheggi più vicini al lago. Lungo il
tragitto abbiamo raccolto una vulcanica signora francese che faceva l’autostop,
straordinariamente allegra e loquace: in pochi chilometri ci ha raccontato
mille cose, un po’ in inglese e un po’ in italiano, per poi salutarci con
tantissimi ringraziamenti e abbracci.
Il lago di Braies è un gioiello, uno smeraldo incastonato
fra le Dolomiti.
C’era moltissima gente, ma il giorno di Ferragosto non ci si
poteva aspettare niente di diverso. Un turismo comunque educato e rispettoso
dell’ambiente e delle altre persone. E tanti, tantissimi cani. Cani grandi e
piccoli, cuccioli giocherelloni e anziani dai movimenti lenti, vivaci terrier, husky
eleganti, allegri barboncini, pincher minuscoli… Tutti felici di essere insieme
ai loro padroni. Un beagle, forse, più felice di tutti e sicuramente molto
amato. L’abbiamo incrociato con la sua famiglia umana sul sentiero che gira
intorno al lago, trotterellava verso di noi, con le zampe anteriori allegramente
in movimento e le posteriori, inerti, assicurate a un carrellino con ruote che
gli permetteva di muoversi nonostante la sua menomazione. Uno spettacolo
bellissimo.
Mi sarebbe piaciuto fare il giro del lago, una passeggiata
semplicissima di circa 2 chilometri e mezzo, ma mi sono presto resa conto che sarebbe
andata oltre le mie attuali possibilità, sia per la distanza, sia per la
presenza di un paio di passaggi in pendenza, così ci siamo limitati a costeggiare
la riva per un breve tratto, prima in una direzione e poi nell’altra, molto
lentamente, con il supporto dei bastoncini da nordic walking.
Mi dispiace costringere Renato a questa andatura lentissima a
cui io stessa fatico ad adattarmi. Io che ho sempre camminato con falcate lunghe
e decise, ora sono costretta a muovermi poco e piano, a passettini piccoli piccoli,
per evitare i crampi alla coscia e le fitte all’inguine che partono subito se solo
mi distraggo un attimo e allungo appena appena l’andatura. Mi pesa, ma questo è
il meglio che sono in grado di fare ora. Alle prime avvisaglie di fastidio siamo
tornati alla macchina: non volevo rischiare di rovinarmi il resto della
giornata, o addirittura della vacanza, per aver esagerato. Forse domani
riuscirò a fare qualche passo in più, oppure no, non importa.
Sulla via del ritorno, ci siamo fermati in pasticceria per due
fette di torta, un tè per me e un caffè per Renato. Una merenda in anticipo o
un pranzo in ritardo, come preferite: i nostri pasti, in vacanza, raramente
seguono gli orari e le strutture canoniche, ma è proprio la libertà dagli
schemi consueti che rende tale una vacanza.
Ci godiamo questa occasione di relax, questo regalo inatteso
e tanto gradito, che dimostra come i doni più grandi non siano necessariamente
i più costosi.
PS: il post è lungo, sapete che amo raccontare i miei viaggi e in vacanza ho tutto il tempo di farlo.
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