La visita di controllo di ieri è andata oltre le aspettative.
Ero abbastanza ottimista, perché le misurazioni quotidiane della circonferenza della gamba in diversi punti non avevano mostrato nessun aumento. Ma è andata ancora meglio: l'ecografia ha evidenziato che il volume residuo del linfocele si è addirittura ridotto, a conferma del buon funzionamento di ciò che resta del sistema linfatico della mia gamba destra. Inoltre i medici hanno autorizzato l'inizio dei trattamenti di linfodrenaggio, che dovrebbero aiutare il ritorno a una dimensione normale.
Prossimo controllo tra un paio di mesi. Olè!
Naturalmente nel frattempo bisognerà anche riprendere in mano l'aspetto oncologico: c'è da verificare l'eventuale coinvolgimento delle ossa del bacino, oltre alla questione sempre aperta del nodulo del gluteo, però credo che non si possa fare granché fino a quando i tessuti rimangono infiammati, perché questa condizione falserebbe il risultato di esami come PET o scintigrafia. Ho mandato al mio oncologo e al chirurgo che mi ha operata una mail con gli ultimi aggiornamenti, attendo indicazioni da loro per il programma di controlli.
Dopo la visita ci siamo fermati a pranzo da Gabriella ed è stato come se ci conoscessimo da sempre, quasi fossimo parte della famiglia. L'incontro con Lella è stato uno splendido regalo, un raggio di sole che ha illuminato la mia degenza. È proprio vero che anche le situazioni più sgradevoli possono regalare opportunità meravigliose!
Il percorso di recupero, a casa, procede lentamente, ma con costanza.
La qualità del sonno è migliorata parecchio rispetto ai primi giorni, anche se mi manca ancora molto la possibilità di dormire a pancia in giù. Ci provo ogni notte, ma fino ad ora non ho trovato una posizione che riesca a mantenere per più di mezz'ora. Il problema è sempre l'inguine, ancora dolente e congestionato, credo principalmente a causa della radioterapia intraoperatoria, che ha sicuramente irritato molto i tessuti. Spero che con il tempo questa situazione si risolva, perché è piuttosto invalidante, non solo durante la notte, ma anche e soprattutto di giorno, perché mi rende difficile stare in piedi, camminare e rimanere seduta dritta per più di pochi minuti.
A proposito di invalidità, la settimana scorsa ho presentato la richiesta per il contrassegno per l'auto, che dovrebbe arrivare da un giorno all'altro e sarà valido per due anni.
Il prossimo obiettivo ora è tornare al lavoro, ma servirà ancora un po' di pazienza, sia per la difficoltà a stare seduta, sia perché le mie energie sono ancora piuttosto scarse e basta poco per stancarmi, come ho avuto modo di sperimentare in questi giorni. Inoltre, non sono del tutto sicura di riuscire a guidare la macchina. Il problema potrebbe essere lo spostamento rapido del piede destro dall'acceleratore al freno e viceversa, perché l'asportazione di un muscolo e mezzo dalla coscia limita alcuni movimenti, ma spero che sia solo questione di tempo per ottenere un adeguato controllo dei pedali, senza bisogno di acquistare un'auto specificamente adattata.
Intanto però l'azienda mi ha rinnovato il contratto per un altro anno, cosa che non era scontata, dato che in dodici mesi sono stata assente per malattia per quasi tre mesi e mezzo e dovrò assentarmi sicuramente anche in futuro. Mi piace pensare di aver lavorato bene per meritare la loro fiducia.
giovedì 29 dicembre 2016
giovedì 22 dicembre 2016
Chi ha paura della notte?
Mi avevano annunciato l'ecografia per oggi, invece ieri mattina, a sorpresa, si sono presentati nella mia camera quattro medici e un'apparecchiatura eco-doppler. L'esame è durato più di mezz'ora ed è stato molto approfondito: hanno verificato che ci sono ancora un paio di piccole sacche, i residui del linfocele, ma dopo la rimozione del drenaggio non sono aumentate di volume, quindi la dispersione rilevata con la linfoscintigrafia si è fermata e/o il sistema linfatico residuo riesce a riassorbirla. Ottima notizia.
L'eco-doppler ha rilevato anche una fistola artero-venosa, cioè un'arteria collegata direttamente a una vena, senza il tramite dei capillari, nella zona inguinale; presumibilmente si tratta di una complicazione legata all'intervento di ottobre. Questa è una notizia meno buona, perché le arterie lavorano con portate e pressioni maggiori rispetto alle vene e con il tempo questa sollecitazione può comportare l'alterazione delle pareti della vena o la formazione di una rete di varici e richiedere un nuovo intervento chirurgico. Come se non ne avessi già abbastanza...
La situazione attuale comunque non è tale da richiedere un'operazione, quindi hanno deciso di rimandarmi a casa. Il primario inizialmente aveva proposto di dimettermi oggi, poi mi ha chiesto se preferivo anticipare: certo che sì! Un paio d'ore dopo avevo già raccolto armi e bagagli ed ero pronta.
Dopo quaranta giorni consecutivi di ricovero, non vedevo l'ora di andarmene dall'ospedale, non vedevo l'ora di tornare a casa.
Casa. Una parola così piccola per un concetto così grande.
Casa non significa solo pareti, pavimenti e soffitti, ma affetti, familiarità, conforto, sicurezza...
Non ero mai stata lontana da casa per un tempo così lungo e avevo quasi paura di non ritrovarla come la ricordavo, di sentirla estranea, Invece è stato come se fossi uscita pochi minuti prima: ogni cosa come la ricordavo, i suoni, gli odori familiari. Casa mia.
Gandalf mi ha ignorato per qualche ora, probabilmente voleva farmi pagare la lunga assenza. Aki si è comportato come se non me ne fossi mai andata: non è venuto a cercarmi, ma quando mi sono avvicinata ha accettato di buon grado una dose di coccole. Quello che mi ha dato più soddisfazione immediata, tra i felini, è stato senza dubbio Shadow, che mi ha rivolto diversi miagolii di benvenuto e si è avvicinato a mangiare dalla mia mano, lasciando che gli sfiorassi la guancia con il pollice, il contatto più ravvicinato che sia disposto a concedere. Qualche ora dopo anche Gandalf ha deciso di perdonarmi ed è venuto ad acciambellarsi sul divano con me.
Il ritorno a casa però ha avuto anche un lato difficile, che non avevo previsto: l'uscita dall'ambiente protetto dell'ospedale mi ha messo brutalmente di fronte ai miei limiti fisici.
Stare male in ospedale è normale. I dolori, la debolezza, le difficoltà di movimento sono cose che ti aspetti durante un ricovero, in fondo sei lì per quello. A casa risultano molto più pesanti e difficili da accettare.
Ieri, appena arrivata, mi ero istintivamente accucciata per salutare Shadow: lo faccio sempre quando mi avvicino a lui, per rassicurarlo portandomi più vicino al suo livello. Solo che questa volta non sono stata in grado di rialzarmi, i muscoli non rispondevano; mi sono dovuta mettere in ginocchio e tirarmi su goffamente, appoggiandomi al muro. Più tardi, quando ho tentato di salire le scale, ho scoperto che non mi è possibile appoggiarmi sulla gamba destra: devo fare i gradini uno alla volta, caricando solo sulla gamba sinistra, oppure appoggiarmi pesantemente sul corrimano. Ho difficoltà a chinarmi e a sollevare da terra qualcosa che pesi più di un fazzoletto. Non riesco a stare in piedi né seduta su una sedia rigida per più di una decina di minuti. Non ho resistenza, mi stanco subito. A volte la gamba mi fa male e l'inguine è ancora terribilmente rigido.
E poi c'è la notte.
Amo la notte. Di notte posso dormire saporitamente oppure esprimere al meglio la mia creatività: che fosse per riposare o per lavorare, la notte per me è sempre stata un rifugio sicuro.
Nei lunghi giorni di ricovero, invece, la notte è diventata una nemica.
Nelle prime settimane al CRO ho avuto problemi di insonnia: lunghi risvegli notturni, ore passate a guardare il buio fuori dalla finestra. E quando finalmente mi appisolavo, l'oppiaceo disturbava il sonno con vertigini e sogni inquietanti, al confine con le allucinazioni. Dopo è arrivata la nausea. Poi i crampi addominali. Infine, a Mestre, il letto scomodo, la difficoltà di trovare una posizione che non fosse dolorosa, i rumori del reparto e delle compagne di stanza.
Le notti in ospedale non finivano mai. Quattro, cinque, sei, dieci risvegli, guardando l'orologio per scoprire che erano trascorse solo poche decine di minuti dal precedente, aspettando che il cielo iniziasse a impallidire nell'alba.
Ho paura della notte, adesso. Paura di non dormire, di dormire male, di svegliarmi mille volte, di non trovare una posizione comoda, di sentire dolore.
Ieri, paradossalmente, l'avvicinarsi della notte è stato ancora più difficile, perché ero a casa. Avevo il mio letto, il mio materasso comodo, Renato, i gatti... tutto il necessario per una buona notte. E se non fosse bastato? Forse avevo riposto troppe aspettative nel ritorno a casa?
Alla fine è andata sicuramente meglio che in ospedale, non mi sono svegliata con le anche indolenzite, ma non è stata certo quella che si più definire una buona notte di riposo. Mi sono svegliata spesso, a volte solo per pochi secondi, il tempo necessario per cambiare posizione, altre per qualche minuto, una per almeno un'ora.
Sono felicissima di essere tornata a casa, davvero. Però non credevo che sarebbe stato così difficile.
L'eco-doppler ha rilevato anche una fistola artero-venosa, cioè un'arteria collegata direttamente a una vena, senza il tramite dei capillari, nella zona inguinale; presumibilmente si tratta di una complicazione legata all'intervento di ottobre. Questa è una notizia meno buona, perché le arterie lavorano con portate e pressioni maggiori rispetto alle vene e con il tempo questa sollecitazione può comportare l'alterazione delle pareti della vena o la formazione di una rete di varici e richiedere un nuovo intervento chirurgico. Come se non ne avessi già abbastanza...
La situazione attuale comunque non è tale da richiedere un'operazione, quindi hanno deciso di rimandarmi a casa. Il primario inizialmente aveva proposto di dimettermi oggi, poi mi ha chiesto se preferivo anticipare: certo che sì! Un paio d'ore dopo avevo già raccolto armi e bagagli ed ero pronta.
Dopo quaranta giorni consecutivi di ricovero, non vedevo l'ora di andarmene dall'ospedale, non vedevo l'ora di tornare a casa.
Casa. Una parola così piccola per un concetto così grande.
Casa non significa solo pareti, pavimenti e soffitti, ma affetti, familiarità, conforto, sicurezza...
Non ero mai stata lontana da casa per un tempo così lungo e avevo quasi paura di non ritrovarla come la ricordavo, di sentirla estranea, Invece è stato come se fossi uscita pochi minuti prima: ogni cosa come la ricordavo, i suoni, gli odori familiari. Casa mia.
Gandalf mi ha ignorato per qualche ora, probabilmente voleva farmi pagare la lunga assenza. Aki si è comportato come se non me ne fossi mai andata: non è venuto a cercarmi, ma quando mi sono avvicinata ha accettato di buon grado una dose di coccole. Quello che mi ha dato più soddisfazione immediata, tra i felini, è stato senza dubbio Shadow, che mi ha rivolto diversi miagolii di benvenuto e si è avvicinato a mangiare dalla mia mano, lasciando che gli sfiorassi la guancia con il pollice, il contatto più ravvicinato che sia disposto a concedere. Qualche ora dopo anche Gandalf ha deciso di perdonarmi ed è venuto ad acciambellarsi sul divano con me.
Il ritorno a casa però ha avuto anche un lato difficile, che non avevo previsto: l'uscita dall'ambiente protetto dell'ospedale mi ha messo brutalmente di fronte ai miei limiti fisici.
Stare male in ospedale è normale. I dolori, la debolezza, le difficoltà di movimento sono cose che ti aspetti durante un ricovero, in fondo sei lì per quello. A casa risultano molto più pesanti e difficili da accettare.
Ieri, appena arrivata, mi ero istintivamente accucciata per salutare Shadow: lo faccio sempre quando mi avvicino a lui, per rassicurarlo portandomi più vicino al suo livello. Solo che questa volta non sono stata in grado di rialzarmi, i muscoli non rispondevano; mi sono dovuta mettere in ginocchio e tirarmi su goffamente, appoggiandomi al muro. Più tardi, quando ho tentato di salire le scale, ho scoperto che non mi è possibile appoggiarmi sulla gamba destra: devo fare i gradini uno alla volta, caricando solo sulla gamba sinistra, oppure appoggiarmi pesantemente sul corrimano. Ho difficoltà a chinarmi e a sollevare da terra qualcosa che pesi più di un fazzoletto. Non riesco a stare in piedi né seduta su una sedia rigida per più di una decina di minuti. Non ho resistenza, mi stanco subito. A volte la gamba mi fa male e l'inguine è ancora terribilmente rigido.
E poi c'è la notte.
Amo la notte. Di notte posso dormire saporitamente oppure esprimere al meglio la mia creatività: che fosse per riposare o per lavorare, la notte per me è sempre stata un rifugio sicuro.
Nei lunghi giorni di ricovero, invece, la notte è diventata una nemica.
Nelle prime settimane al CRO ho avuto problemi di insonnia: lunghi risvegli notturni, ore passate a guardare il buio fuori dalla finestra. E quando finalmente mi appisolavo, l'oppiaceo disturbava il sonno con vertigini e sogni inquietanti, al confine con le allucinazioni. Dopo è arrivata la nausea. Poi i crampi addominali. Infine, a Mestre, il letto scomodo, la difficoltà di trovare una posizione che non fosse dolorosa, i rumori del reparto e delle compagne di stanza.
Le notti in ospedale non finivano mai. Quattro, cinque, sei, dieci risvegli, guardando l'orologio per scoprire che erano trascorse solo poche decine di minuti dal precedente, aspettando che il cielo iniziasse a impallidire nell'alba.
Ho paura della notte, adesso. Paura di non dormire, di dormire male, di svegliarmi mille volte, di non trovare una posizione comoda, di sentire dolore.
Ieri, paradossalmente, l'avvicinarsi della notte è stato ancora più difficile, perché ero a casa. Avevo il mio letto, il mio materasso comodo, Renato, i gatti... tutto il necessario per una buona notte. E se non fosse bastato? Forse avevo riposto troppe aspettative nel ritorno a casa?
Alla fine è andata sicuramente meglio che in ospedale, non mi sono svegliata con le anche indolenzite, ma non è stata certo quella che si più definire una buona notte di riposo. Mi sono svegliata spesso, a volte solo per pochi secondi, il tempo necessario per cambiare posizione, altre per qualche minuto, una per almeno un'ora.
Sono felicissima di essere tornata a casa, davvero. Però non credevo che sarebbe stato così difficile.
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domenica 18 dicembre 2016
Cercasi fortuna.
Il foro del drenaggio si sta chiudendo bene, anche se resterà un avvallamento con un tratto di cicatrice più evidente, ma è solo una delle tante da aggiungere alla mia collezione, decisamente molto in basso nella lista dei miei problemi.
Ora sulla gamba c'è solo un piccolo cerotto, facile da proteggere, così ieri ho fatto la doccia e solo chi ci è passato può capire quanto un'attività così semplice possa rimetterti in pace con il mondo.
La linfoscintigrafia ha confermato che ci sono ancora canali linfatici funzionanti, ottima notizia e per nulla scontata, visto che la stazione linfatica dell'inguine è stata più volte danneggiata da chirurgia e radioterapia. C'è però anche una dispersione nella parte alta della coscia, dove si era formato il linfocele.
Il chirurgo mi ha chiesto di forzare un po' i movimenti per stimolare la circolazione linfatica, in modo da valutare se i vasi recisi si sono finalmente chiusi e se i canali ancora attivi sono sufficienti per evitare accumuli interni. L'idea è che se qualcosa deve succedere (leggi "linfocele che si riforma"), è meglio farlo succedere subito, per capire se si deve operare oppure no.
Sto quindi camminando molto più del solito e più velocemente, macinando giri di corridoio come una tartaruga zoppa.
Camminare non è particolarmente doloroso, ma l'inguine è ancora molto rigido e si sente la mancanza dei muscoli che non ci sono più, quindi la mia andatura è piuttosto sbilenca, anche se mi sforzo di mantenere una postura simmetrica ed eretta per evitare danni a schiena, anche e ginocchia. Chissà cosa pensano di me il personale ospedaliero e gli altri pazienti, che mi vedono arrancare in corridoio borbottando tra me e me cose come "Dritta con la schiena!" oppure "Occhio a quel ginocchio!".
Appena possibile, forse già domani, rifaremo l'ecografia, con lo stesso radiologo delle precedenti, per valutare la situazione: se non ci saranno accumuli, mi rimandano a casa, con un programma di controlli successivi, perché il problema potrebbe ripresentarsi anche dopo settimane o mesi. Come dice il chirurgo, i linfatici sono capricciosi!
Se il linfocele inizia a riformarsi, servirà un intervento, piuttosto complesso, per rimuoverlo e realizzare bypass linfatico.
Sì accettano dita incrociate, scongiuri, quadrifogli, amuleti, riti propiziatori e qualunque altro portafortuna vi venga in mente.
Ora sulla gamba c'è solo un piccolo cerotto, facile da proteggere, così ieri ho fatto la doccia e solo chi ci è passato può capire quanto un'attività così semplice possa rimetterti in pace con il mondo.
Il chirurgo mi ha chiesto di forzare un po' i movimenti per stimolare la circolazione linfatica, in modo da valutare se i vasi recisi si sono finalmente chiusi e se i canali ancora attivi sono sufficienti per evitare accumuli interni. L'idea è che se qualcosa deve succedere (leggi "linfocele che si riforma"), è meglio farlo succedere subito, per capire se si deve operare oppure no.
Sto quindi camminando molto più del solito e più velocemente, macinando giri di corridoio come una tartaruga zoppa.
Camminare non è particolarmente doloroso, ma l'inguine è ancora molto rigido e si sente la mancanza dei muscoli che non ci sono più, quindi la mia andatura è piuttosto sbilenca, anche se mi sforzo di mantenere una postura simmetrica ed eretta per evitare danni a schiena, anche e ginocchia. Chissà cosa pensano di me il personale ospedaliero e gli altri pazienti, che mi vedono arrancare in corridoio borbottando tra me e me cose come "Dritta con la schiena!" oppure "Occhio a quel ginocchio!".
Appena possibile, forse già domani, rifaremo l'ecografia, con lo stesso radiologo delle precedenti, per valutare la situazione: se non ci saranno accumuli, mi rimandano a casa, con un programma di controlli successivi, perché il problema potrebbe ripresentarsi anche dopo settimane o mesi. Come dice il chirurgo, i linfatici sono capricciosi!
Se il linfocele inizia a riformarsi, servirà un intervento, piuttosto complesso, per rimuoverlo e realizzare bypass linfatico.
Sì accettano dita incrociate, scongiuri, quadrifogli, amuleti, riti propiziatori e qualunque altro portafortuna vi venga in mente.
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venerdì 16 dicembre 2016
Pochi aggiornamenti, ma buoni
Il referto della linfoscintigrafia non è ancora disponibile. Il chirurgo ha definito tutte le possibili opzioni, ma senza questo esito non è possibile prendere decisioni.
E siamo al trentaseiesimo giorno di ricovero.
Intanto però qualcosa succede.
Innanzitutto la capra è stata dimessa martedì sera. Alleluja!
Il ritorno di Gabriella era previsto per mercoledì pomeriggio. Nei tre giorni precedenti ho assillato infermieri e medici al limite dello stalking perché ci rimettessero in camera insieme, ho piazzato una coppia di coccodrilli davanti alla porta per impedire nuovi ingressi nella notte tra martedì e mercoledì e finalmente ce l'abbiamo fatta: Gabriella è qui!
La degenza con una compagna di stanza simpatica è tutta un'altra cosa. Si chiacchiera, si ride, si passeggia insieme e le giornate scorrono via più lievi.
Le notti, purtroppo, un po' meno. Nonostante il materassino aggiuntivo, il letto rimane scomodo e il nodulo fantasma del gluteo sembra risentirne in modo particolare, con dolori davvero fastidiosi. Non vedo l'ora di tornare sul mio materasso ortopedico, con un paio di gatti a contorno.
Nel frattempo la situazione della mia gamba è migliorata: liquido dal drenaggio sempre più scarso, dolori in diminuzione, movimenti più agevoli.
Ieri hanno sospeso i lavaggi e stamattina, a sorpresa, mi hanno tolto l'ultimo drenaggio. Ora ho solo un cerotto sulla parte interna della coscia, niente più tubi, sacche né punti. Quasi non mi sembra vero.
E domani, se tutto va bene, potrei anche riuscire a fare una doccia, la prima dopo 66 giorni.
Da ieri ho anche sospeso l'antibiotico, dopo più di un mese, per la gioia del mio apparato digerente, che anche con il supporto quotidiano dei fermenti lattici non ne poteva proprio più. Non oso pensare ai livelli di resistenza agli antibiotici che posso aver sviluppato in questo periodo.
L'attesa continua, non so ancora se sarà necessario un nuovo intervento chirurgico ed eventualmente con quale estensione (bypass linfatico? rimozione della capsula del linfocele? entrambi?), ma così è un po' più facile da sopportare.
E siamo al trentaseiesimo giorno di ricovero.
Intanto però qualcosa succede.
Innanzitutto la capra è stata dimessa martedì sera. Alleluja!
Il ritorno di Gabriella era previsto per mercoledì pomeriggio. Nei tre giorni precedenti ho assillato infermieri e medici al limite dello stalking perché ci rimettessero in camera insieme, ho piazzato una coppia di coccodrilli davanti alla porta per impedire nuovi ingressi nella notte tra martedì e mercoledì e finalmente ce l'abbiamo fatta: Gabriella è qui!
La degenza con una compagna di stanza simpatica è tutta un'altra cosa. Si chiacchiera, si ride, si passeggia insieme e le giornate scorrono via più lievi.
Le notti, purtroppo, un po' meno. Nonostante il materassino aggiuntivo, il letto rimane scomodo e il nodulo fantasma del gluteo sembra risentirne in modo particolare, con dolori davvero fastidiosi. Non vedo l'ora di tornare sul mio materasso ortopedico, con un paio di gatti a contorno.
Nel frattempo la situazione della mia gamba è migliorata: liquido dal drenaggio sempre più scarso, dolori in diminuzione, movimenti più agevoli.
Ieri hanno sospeso i lavaggi e stamattina, a sorpresa, mi hanno tolto l'ultimo drenaggio. Ora ho solo un cerotto sulla parte interna della coscia, niente più tubi, sacche né punti. Quasi non mi sembra vero.
E domani, se tutto va bene, potrei anche riuscire a fare una doccia, la prima dopo 66 giorni.
Da ieri ho anche sospeso l'antibiotico, dopo più di un mese, per la gioia del mio apparato digerente, che anche con il supporto quotidiano dei fermenti lattici non ne poteva proprio più. Non oso pensare ai livelli di resistenza agli antibiotici che posso aver sviluppato in questo periodo.
L'attesa continua, non so ancora se sarà necessario un nuovo intervento chirurgico ed eventualmente con quale estensione (bypass linfatico? rimozione della capsula del linfocele? entrambi?), ma così è un po' più facile da sopportare.
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lunedì 12 dicembre 2016
Puzzapuzzapuzzapuzza!
Capitano tutte a me.
La sesta compagna di stanza in quindici giorni, classe 1938, puzza come una capra. Non scherzo e non esagero: stamattina mi è passata accanto per andare in bagno e ho avuto conati di vomito. Per fortuna ero a digiuno.
So di avere un olfatto particolarmente sensibile, oltre a una fastidiosa predisposizione verso la nausea, ma vogliamo parlare dell'assorbente usato lasciato nel bidet? O delle mutande appese ad asciugare sopra la carta igienica? E del bagno ridotto a un porcile? E, soprattutto, delle infermiere che si stringono nelle spalle come a dire "Cosa possiamo farci?". Lavatela, cazzo!
(scusate il francesismo, ma quando ci vuole...)
Per fortuna stamattina sono stata via per quattro ore: tre scansioni di linfoscintigrafia più un'ecografia e la rimozione del drenaggio superiore, quello dell'inguine, che negli ultimi giorni mi dava parecchio fastidio.
Avevo qualche timore per la linfoscintigrafia: sapevo che il tracciante radioattivo va iniettato dal piede e non mi pareva una prospettiva allettante. Inoltre non ero certa che si potesse inserire un rialzo sotto il ginocchio durante l'esame e non sono in grado di restare distesa con le gambe dritte per più di dieci secondi prima di iniziare a ululare per il dolore.
Un timore era fondato: le prime due iniezioni sottocutanee sulla parte superiore dei piedi sono state dolorose. Le altre due, profonde, tra il primo e il secondo dito di ogni piede, ancora di più. Però sono stati dolori di breve durata, un minuto dopo erano già passati.
Nessun problema per le ginocchia, invece: un rialzo ha reso perfettamente sopportabili i tre passaggi sotto la gamma-camera.
Gli intervalli tra una scansione e l'altra sono state piacevoli occasioni di conversazione con gli altri pazienti in attesa. È confortante sapere che fuori dalla mia camera il mondo è pieno di persone normali e pulite.
Il chirurgo dopo la prima scansione era piuttosto soddisfatto: pare che nella mia gamba e nel mio inguine martoriati ci siano ancora alcuni canali linfatici funzionanti. Per i risultati completi bisogna aspettare fino a domani: dita incrociate!
Poco fa un'infermiera ha dato una spruzzata di deodorante in camera, forse perché stavo per vomitarle sui piedi. Spero di sopravvivere fino a quando dimetteranno la capra, con un po' di fortuna già domani. Altrimenti prendo il letto e mi sposto in corridoio.
E mercoledì rivoglio in camera con me Gabriella, che torna per l'operazione rinviata dieci giorni fa. Oppure faccio un putiferio.
La sesta compagna di stanza in quindici giorni, classe 1938, puzza come una capra. Non scherzo e non esagero: stamattina mi è passata accanto per andare in bagno e ho avuto conati di vomito. Per fortuna ero a digiuno.
So di avere un olfatto particolarmente sensibile, oltre a una fastidiosa predisposizione verso la nausea, ma vogliamo parlare dell'assorbente usato lasciato nel bidet? O delle mutande appese ad asciugare sopra la carta igienica? E del bagno ridotto a un porcile? E, soprattutto, delle infermiere che si stringono nelle spalle come a dire "Cosa possiamo farci?". Lavatela, cazzo!
(scusate il francesismo, ma quando ci vuole...)
Per fortuna stamattina sono stata via per quattro ore: tre scansioni di linfoscintigrafia più un'ecografia e la rimozione del drenaggio superiore, quello dell'inguine, che negli ultimi giorni mi dava parecchio fastidio.
Avevo qualche timore per la linfoscintigrafia: sapevo che il tracciante radioattivo va iniettato dal piede e non mi pareva una prospettiva allettante. Inoltre non ero certa che si potesse inserire un rialzo sotto il ginocchio durante l'esame e non sono in grado di restare distesa con le gambe dritte per più di dieci secondi prima di iniziare a ululare per il dolore.
Un timore era fondato: le prime due iniezioni sottocutanee sulla parte superiore dei piedi sono state dolorose. Le altre due, profonde, tra il primo e il secondo dito di ogni piede, ancora di più. Però sono stati dolori di breve durata, un minuto dopo erano già passati.
Nessun problema per le ginocchia, invece: un rialzo ha reso perfettamente sopportabili i tre passaggi sotto la gamma-camera.
Gli intervalli tra una scansione e l'altra sono state piacevoli occasioni di conversazione con gli altri pazienti in attesa. È confortante sapere che fuori dalla mia camera il mondo è pieno di persone normali e pulite.
Il chirurgo dopo la prima scansione era piuttosto soddisfatto: pare che nella mia gamba e nel mio inguine martoriati ci siano ancora alcuni canali linfatici funzionanti. Per i risultati completi bisogna aspettare fino a domani: dita incrociate!
Poco fa un'infermiera ha dato una spruzzata di deodorante in camera, forse perché stavo per vomitarle sui piedi. Spero di sopravvivere fino a quando dimetteranno la capra, con un po' di fortuna già domani. Altrimenti prendo il letto e mi sposto in corridoio.
E mercoledì rivoglio in camera con me Gabriella, che torna per l'operazione rinviata dieci giorni fa. Oppure faccio un putiferio.
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venerdì 9 dicembre 2016
Se non riesci a uscire dal tunnel, arredalo!
Sono in ospedale da 29 giorni consecutivi, più di quattro settimane, quasi un mese: un'eternità.
I lavaggi quotidiani proseguono e sembrano efficaci, almeno a livello della coscia, e lunedì finalmente mi faranno la linfoscintigrafia, che servirà al chirurgo per valutare le possibilità di intervento.
Dato che le cose vanno per le lunghe e non si intravede all'orizzonte nemmeno l'ombra di dimissioni, conviene fare buon viso a cattivo gioco e organizzarsi in modo da rendere questo soggiorno meno sgradevole.
Comfort
Ho già avuto modo di dire che i letti qui sono scomodi: il materasso in lattice è troppo sottile e di qualità mediocre e con il mio dolce peso forma una fastidiosa buca al centro, attraverso la quale si sente la durezza della griglia metallica sottostante. Dopo troppi risvegli con le ossa del bacino doloranti, ho detto basta.
Ieri, con l'inestimabile aiuto di Laura mi sono procurata un materasso sottile da sovrapporre a quello dell'ospedale. Meglio, decisamente meglio! Non posso dire di dormire veramente bene, sarebbe impossibile senza Renato e qualche gatto, ma l'ultima notte è stata più accettabile delle precedenti.
Salvare la pelle
Dopo qualche tentativo, le medicazioni hanno raggiunto un livello di delicatezza ragionevole, con la riduzione delle zone incerottate (ho rivisto parti della mia coscia che non ricordavo più di avere!) e l'uso di cerotti di carta, meno aggressivi.
Purtroppo la doccia è ancora un miraggio lontano, devo accontentarmi dei lavaggi quotidiani con la spugna. Un buon sapone al burro di karitè e una crema idratante alla calendula mi aiutano a mantenere la pelle in condizioni accettabili.
Alimentazione
Il cibo dell'ospedale è buono e vario, ma necessita di qualche minima integrazione: nel comodino sono alloggiati i formaggini per la colazione, i grissini al mais con cui accompagno i formaggi teneri e le mandorle che sgranocchio durante la giornata.
Ci sono anche biscotti e cioccolatini che mi sono stati regalati, ma ancora non me la sento di affrontarli.
Forma fisica
Quando sono entrata in ospedale ero grassa e soda, ora sono un po' meno grassa e completamente flaccida. Non so esattamente quanti chili ho perso da quando sono stata ricoverata, ho il sospetto che si avvicinino alla doppia cifra, e sono tutti di muscoli. Sarà anche vero che il corpo umano è una macchina perfetta, ma questa faccenda che riducendo le calorie senza introdurre attività fisica, non si brucia nemmeno un grammo di ciccia, ma si demolisce il tessuto muscolare non mi pare una grande dimostrazione di efficienza.
Ogni giorno faccio qualche passeggiata in corridoio e cerco di inserire qualche piccolo esercizio per la gamba sana, le spalle e le braccia, per cercare di non perdere proprio tutto il tono muscolare.
Il tutto con la massima calma: piano con la gamba per non tirare i punti dei drenaggi (ieri abbiamo dovuto comunque sostituire quelli della coscia che stavano cedendo), niente sforzi con gli addominali per non stuzzicare il laparocele, attenzione a non affaticare troppo la schiena, che risente molto dell'andatura sbilenca e zoppicante... Alla fine riesco a fare davvero poco, ma mi fa sentire meno in colpa.
Tempo libero
Ne ho tanto, troppo. Lavaggio e medicazione richiedono una ventina di minuti, aggiungiamone altrettanti per le misurazioni di temperatura e pressione sanguigna e la distribuzione dei farmaci, un'ora, forse una e mezza per i pasti e tutto quello che resta è noia.
Libri, Settimana Enigmistica, WhatsApp, Facebook, qualche telegiornale in streaming su Sky.
Un paio di giorni fa, Renato è arrivato con un bel regalo: il tablet con alcune puntate di Outlander: almeno riesco a riempire le serate!
Ieri Renato mi ha portato anche il PC: si avvicinano le scadenze fiscali di metà mese e dovevo assolutamente aggiornare la contabilità, pagare l'IVA, emettere le ultime fatture dell'anno e gestire alcuni adempimenti per le zie di cui sono Amministratore di Sostegno. Ne ho approfittato anche per scaricare oltre settecento mail e per scrivere questo post molto più comodamente di quanto si possa fare da un dispositivo mobile.
Amici
Non ho parole per ringraziare tutti quelli che stanno facendo qualcosa per me: la rete di affetto e di sostegno che mi circonda è semplicemente straordinaria. Grazie, grazie di cuore a tutti!
I lavaggi quotidiani proseguono e sembrano efficaci, almeno a livello della coscia, e lunedì finalmente mi faranno la linfoscintigrafia, che servirà al chirurgo per valutare le possibilità di intervento.
Dato che le cose vanno per le lunghe e non si intravede all'orizzonte nemmeno l'ombra di dimissioni, conviene fare buon viso a cattivo gioco e organizzarsi in modo da rendere questo soggiorno meno sgradevole.
Comfort
Ho già avuto modo di dire che i letti qui sono scomodi: il materasso in lattice è troppo sottile e di qualità mediocre e con il mio dolce peso forma una fastidiosa buca al centro, attraverso la quale si sente la durezza della griglia metallica sottostante. Dopo troppi risvegli con le ossa del bacino doloranti, ho detto basta.
Ieri, con l'inestimabile aiuto di Laura mi sono procurata un materasso sottile da sovrapporre a quello dell'ospedale. Meglio, decisamente meglio! Non posso dire di dormire veramente bene, sarebbe impossibile senza Renato e qualche gatto, ma l'ultima notte è stata più accettabile delle precedenti.
Salvare la pelle
Dopo qualche tentativo, le medicazioni hanno raggiunto un livello di delicatezza ragionevole, con la riduzione delle zone incerottate (ho rivisto parti della mia coscia che non ricordavo più di avere!) e l'uso di cerotti di carta, meno aggressivi.
Purtroppo la doccia è ancora un miraggio lontano, devo accontentarmi dei lavaggi quotidiani con la spugna. Un buon sapone al burro di karitè e una crema idratante alla calendula mi aiutano a mantenere la pelle in condizioni accettabili.
Alimentazione
Il cibo dell'ospedale è buono e vario, ma necessita di qualche minima integrazione: nel comodino sono alloggiati i formaggini per la colazione, i grissini al mais con cui accompagno i formaggi teneri e le mandorle che sgranocchio durante la giornata.
Ci sono anche biscotti e cioccolatini che mi sono stati regalati, ma ancora non me la sento di affrontarli.
Forma fisica
Quando sono entrata in ospedale ero grassa e soda, ora sono un po' meno grassa e completamente flaccida. Non so esattamente quanti chili ho perso da quando sono stata ricoverata, ho il sospetto che si avvicinino alla doppia cifra, e sono tutti di muscoli. Sarà anche vero che il corpo umano è una macchina perfetta, ma questa faccenda che riducendo le calorie senza introdurre attività fisica, non si brucia nemmeno un grammo di ciccia, ma si demolisce il tessuto muscolare non mi pare una grande dimostrazione di efficienza.
Ogni giorno faccio qualche passeggiata in corridoio e cerco di inserire qualche piccolo esercizio per la gamba sana, le spalle e le braccia, per cercare di non perdere proprio tutto il tono muscolare.
Il tutto con la massima calma: piano con la gamba per non tirare i punti dei drenaggi (ieri abbiamo dovuto comunque sostituire quelli della coscia che stavano cedendo), niente sforzi con gli addominali per non stuzzicare il laparocele, attenzione a non affaticare troppo la schiena, che risente molto dell'andatura sbilenca e zoppicante... Alla fine riesco a fare davvero poco, ma mi fa sentire meno in colpa.
Tempo libero
Ne ho tanto, troppo. Lavaggio e medicazione richiedono una ventina di minuti, aggiungiamone altrettanti per le misurazioni di temperatura e pressione sanguigna e la distribuzione dei farmaci, un'ora, forse una e mezza per i pasti e tutto quello che resta è noia.
Libri, Settimana Enigmistica, WhatsApp, Facebook, qualche telegiornale in streaming su Sky.
Un paio di giorni fa, Renato è arrivato con un bel regalo: il tablet con alcune puntate di Outlander: almeno riesco a riempire le serate!
Ieri Renato mi ha portato anche il PC: si avvicinano le scadenze fiscali di metà mese e dovevo assolutamente aggiornare la contabilità, pagare l'IVA, emettere le ultime fatture dell'anno e gestire alcuni adempimenti per le zie di cui sono Amministratore di Sostegno. Ne ho approfittato anche per scaricare oltre settecento mail e per scrivere questo post molto più comodamente di quanto si possa fare da un dispositivo mobile.
Amici
Non ho parole per ringraziare tutti quelli che stanno facendo qualcosa per me: la rete di affetto e di sostegno che mi circonda è semplicemente straordinaria. Grazie, grazie di cuore a tutti!
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cancronache
martedì 6 dicembre 2016
Ma ci sono anche...
È dura.
Le giornate lunghe, i dolori, il materasso scomodo, la difficoltà di movimento, gli orari di visita limitati, la nostalgia di casa...
Ma non va tutto male. Non va MAI tutto male.
Ogni giorno ci sono anche cose positive, cose buone, piccole o grandi, che regalano un sorriso.
Le visite di Renato, la mia ricarica quotidiana di sorrisi, che mi ricopre di coccole e di attenzioni.
Ma anche tutti gli altri che sono venuti a trovarmi qui a Mestre: Martina, Andrea, Mario, Antonio, Paola, Chiara, Marta e Marco, Raffaela, Anna e Michelangelo.
E ZiaCris e Rita, che mi tengono compagnia ogni giorno su WhatsApp.
E i miei cugini, con la chat che hanno creato per me.
E tutti quelli che mi dedicano un pensiero, un messaggio, una telefonata, un commento sul blog o su Facebook.
E la mia sorellina che c'è sempre e fa il giro dei negozi per trovarmi un sapone con buoni ingredienti.
E la disponibilità di Chiara e Alessandra per aiutarci a casa con bucato e stiratura.
E il formaggino a colazione, idea geniale di ZiaCris che Renato ha reso possibile.
E il medico che mi segue, che mi fa il lavaggio e la medicazione con tutta la delicatezza possibile e si inventa tutti gli accorgimenti per fare in modo che i due tubi che mi escono dalla gamba mi creino il minore disagio possibile. Zero dolore e tanta gratitudine, altro che il dottor Mengele di domenica!
E la dottoressa sorridente che mi saluta in corridoio chiamandomi per nome.
E le infermiere e le OSS che si riferiscono a me come "la ragazza"... e questo dovrebbe darvi l'idea dell'età media dei pazienti in questo reparto!
Probabilmente non sarà una cosa breve.
Il medico vuole ridurre l'infiammazione prima di qualsiasi intervento, anche della linfoscintigrafia, che richiede di iniettare nel piede il tracciante radioattivo.
Il sistema di doppio drenaggio e lavaggi interni ha già migliorato un po' la situazione: il linfocele si è ammorbidito a livello della coscia e la pelle è meno tesa e arrossata rispetto a qualche giorno fa. L'inguine invece rimane ancora gonfio e dolente.
Ci vorrà tanta pazienza e il ritorno a casa è ancora un miraggio lontano.
Ma con il vostro aiuto ce la posso fare.
INFORMAZIONI PRATICHE
Sono ricoverata all'Ospedale dell'Angelo di Mestre, in Chirurgia vascolare, settore E, secondo piano, stanza 22.
Gli orari di visita nei giorni feriali sono 15-16 e 19-20, nei giorni festivi anche 10-11 e sono piuttosto rigidi: fuori orario non si può entrare.
Se volete venire a trovarmi, l'orario migliore è quello pomeridiano, in cui ci sono meno visite... e non portate via tempo a Renato, che di solito viene alla sera. A meno che non gli diate un passaggio in macchina, nel qual caso siete sempre due volte benvenuti.
Come sempre, virus e batteri NON sono invece i benvenuti. Evitate le visite se pensate di poter essere portatori, anche sani, di qualsiasi malanno contagioso.
Cercate di non telefonare durante gli orari di visita: sono molto limitati e preferisco dedicarli a chi viene di persona... soprattutto a Renato. Abbiate pazienza, siamo separati da 26 giorni, non è facile.
Le giornate lunghe, i dolori, il materasso scomodo, la difficoltà di movimento, gli orari di visita limitati, la nostalgia di casa...
Ma non va tutto male. Non va MAI tutto male.
Ogni giorno ci sono anche cose positive, cose buone, piccole o grandi, che regalano un sorriso.
Le visite di Renato, la mia ricarica quotidiana di sorrisi, che mi ricopre di coccole e di attenzioni.
Ma anche tutti gli altri che sono venuti a trovarmi qui a Mestre: Martina, Andrea, Mario, Antonio, Paola, Chiara, Marta e Marco, Raffaela, Anna e Michelangelo.
E ZiaCris e Rita, che mi tengono compagnia ogni giorno su WhatsApp.
E i miei cugini, con la chat che hanno creato per me.
E tutti quelli che mi dedicano un pensiero, un messaggio, una telefonata, un commento sul blog o su Facebook.
E la mia sorellina che c'è sempre e fa il giro dei negozi per trovarmi un sapone con buoni ingredienti.
E la disponibilità di Chiara e Alessandra per aiutarci a casa con bucato e stiratura.
E il formaggino a colazione, idea geniale di ZiaCris che Renato ha reso possibile.
E il medico che mi segue, che mi fa il lavaggio e la medicazione con tutta la delicatezza possibile e si inventa tutti gli accorgimenti per fare in modo che i due tubi che mi escono dalla gamba mi creino il minore disagio possibile. Zero dolore e tanta gratitudine, altro che il dottor Mengele di domenica!
E la dottoressa sorridente che mi saluta in corridoio chiamandomi per nome.
E le infermiere e le OSS che si riferiscono a me come "la ragazza"... e questo dovrebbe darvi l'idea dell'età media dei pazienti in questo reparto!
Probabilmente non sarà una cosa breve.
Il medico vuole ridurre l'infiammazione prima di qualsiasi intervento, anche della linfoscintigrafia, che richiede di iniettare nel piede il tracciante radioattivo.
Il sistema di doppio drenaggio e lavaggi interni ha già migliorato un po' la situazione: il linfocele si è ammorbidito a livello della coscia e la pelle è meno tesa e arrossata rispetto a qualche giorno fa. L'inguine invece rimane ancora gonfio e dolente.
Ci vorrà tanta pazienza e il ritorno a casa è ancora un miraggio lontano.
Ma con il vostro aiuto ce la posso fare.
INFORMAZIONI PRATICHE
Sono ricoverata all'Ospedale dell'Angelo di Mestre, in Chirurgia vascolare, settore E, secondo piano, stanza 22.
Gli orari di visita nei giorni feriali sono 15-16 e 19-20, nei giorni festivi anche 10-11 e sono piuttosto rigidi: fuori orario non si può entrare.
Se volete venire a trovarmi, l'orario migliore è quello pomeridiano, in cui ci sono meno visite... e non portate via tempo a Renato, che di solito viene alla sera. A meno che non gli diate un passaggio in macchina, nel qual caso siete sempre due volte benvenuti.
Come sempre, virus e batteri NON sono invece i benvenuti. Evitate le visite se pensate di poter essere portatori, anche sani, di qualsiasi malanno contagioso.
Cercate di non telefonare durante gli orari di visita: sono molto limitati e preferisco dedicarli a chi viene di persona... soprattutto a Renato. Abbiate pazienza, siamo separati da 26 giorni, non è facile.
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cose belle
domenica 4 dicembre 2016
17 minuti
Le giornate qui sono noiosissime, il tempo scorre lento e pesante. Conto le ore, i minuti. Non passano mai.
Non ho alberi e montagne da guardare fuori dalla finestra, solo una zona industriale e commerciale sullo sfondo, tra le righe orizzontali delle veneziane e i rettangoli dell'intelaiatura delle vetrate esterne, come sbarre di una prigione.
Non c'è aria vera da respirare, solo quella filtrata e riciclata del sistema di climatizzazione.
La luce esterna è grigia e spenta, troppo spesso oscurata dalla tenda che separa i due letti della stanza. Di nuovo occupati entrambi, dopo un giorno e mezzo di gradita solitudine: stanotte è arrivata una signora, ovviamente anziana, con il femore fratturato. L'infermiera è passata verso le due a verificare che il letto fosse pronto, lei l'hanno portata forse un'ora dopo. Almeno mezz'ora per sistemarla, mentre io aspettavo paziente l'occasione per riprendere sonno, cercando con fatica una posizione comoda. Purtroppo lei si è addormentata prima di me, russando come un trombone. Alle cinque ero ancora sveglia.
L'unico momento felice è la visita quotidiana di Renato, almeno quando non mi viene rubata.
Ieri ha scoperto solo all'ultimo momento che, essendo sabato, non c'erano i treni che aveva preso durante la settimana per venire qui e tornare a casa. È arrivato più tardi e ha dovuto ripartire più presto. È rimasto con me esattamente 17 minuti, e io ne ho passato almeno la metà a piangere per la frustrazione.
Oggi è arrivato presto, per sfruttare l'ora supplementare di visita mattutina concessa nei giorni festivi. Dopo pochi minuti sono arrivati medico e infermiera per farmi il lavaggio interno disinfettante e la medicazione, oggi particolarmente dolorosa, con il medico che sembrava divertirsi a premere forte sui punti più sensibili. E poi un'altra infermiera per fare l'elettrocardiogramma alla compagna di stanza, con i visitatori costretti ad attendere in corridoio per mezz'ora buona. Organizzarsi per fare queste cose fuori dall'orario di visita pareva brutto?
Disagi grandi e piccoli che si sommano, si accumulano, mi sommergono. E io cedo ogni giorno un po'. E piango, piango tanto. Perché sono stanca, mi sento sola, ho nostalgia di casa, voglio i miei gatti, ho paura di questa storia che non finisce mai.
Non ho alberi e montagne da guardare fuori dalla finestra, solo una zona industriale e commerciale sullo sfondo, tra le righe orizzontali delle veneziane e i rettangoli dell'intelaiatura delle vetrate esterne, come sbarre di una prigione.
Non c'è aria vera da respirare, solo quella filtrata e riciclata del sistema di climatizzazione.
La luce esterna è grigia e spenta, troppo spesso oscurata dalla tenda che separa i due letti della stanza. Di nuovo occupati entrambi, dopo un giorno e mezzo di gradita solitudine: stanotte è arrivata una signora, ovviamente anziana, con il femore fratturato. L'infermiera è passata verso le due a verificare che il letto fosse pronto, lei l'hanno portata forse un'ora dopo. Almeno mezz'ora per sistemarla, mentre io aspettavo paziente l'occasione per riprendere sonno, cercando con fatica una posizione comoda. Purtroppo lei si è addormentata prima di me, russando come un trombone. Alle cinque ero ancora sveglia.
L'unico momento felice è la visita quotidiana di Renato, almeno quando non mi viene rubata.
Ieri ha scoperto solo all'ultimo momento che, essendo sabato, non c'erano i treni che aveva preso durante la settimana per venire qui e tornare a casa. È arrivato più tardi e ha dovuto ripartire più presto. È rimasto con me esattamente 17 minuti, e io ne ho passato almeno la metà a piangere per la frustrazione.
Oggi è arrivato presto, per sfruttare l'ora supplementare di visita mattutina concessa nei giorni festivi. Dopo pochi minuti sono arrivati medico e infermiera per farmi il lavaggio interno disinfettante e la medicazione, oggi particolarmente dolorosa, con il medico che sembrava divertirsi a premere forte sui punti più sensibili. E poi un'altra infermiera per fare l'elettrocardiogramma alla compagna di stanza, con i visitatori costretti ad attendere in corridoio per mezz'ora buona. Organizzarsi per fare queste cose fuori dall'orario di visita pareva brutto?
Disagi grandi e piccoli che si sommano, si accumulano, mi sommergono. E io cedo ogni giorno un po'. E piango, piango tanto. Perché sono stanca, mi sento sola, ho nostalgia di casa, voglio i miei gatti, ho paura di questa storia che non finisce mai.
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eccheppalle
venerdì 2 dicembre 2016
Bucherellata
Verso mezzogiorno è venuto il chirurgo a spiegarmi come pensava di procedere. Un radiologo, sotto guida ecografica, avrebbe inserito due drenaggi nella zona del linfocele. In questo modo si dovrebbe favorire lo svuotamento, creando contemporaneamente un canale per i lavaggi antibiotici, che utilizza un drenaggio come entrata e l'altro come uscita.
Non ha nemmeno fatto in tempo a completare la spiegazione: sono venuti subito a prendermi per portarmi dal radiologo, nemmeno il tempo di infilare i pantaloni del pigiama!
Dopo un'ecografia preliminare, il radiologo si è armato di gilet antiradiazioni, camice sterile, cuffia, guanti e mascherina chirurgica.
Un po' di anestesia locale sull'inguine, una abbondante pennellata di disinfettante, poi ha iniziato a lavorare di bisturi, aghi e sonde, controllando spesso la situazione con l'apparecchiatura a raggi X o con l'ecografo e aiutandosi con un liquido di contrasto per evidenziare il percorso interno dei fluidi.
Nel frattempo, io lavoravo sulla respirazione per mantenere i muscoli rilassati e il battito cardiaco lento, un modo piuttosto efficace per gestire il dolore, e resistevo alla tentazione di spiare le attività in corso attraverso il riflesso sul vetro del proiettore di raggi X, che non si sa mai che effetto potrebbe fare vedersi tagliare, bucare, infilare tubi...
Dopo aver posizionato il primo drenaggio sull'inguine, il radiologo si è fatto aiutare dal chirurgo per sistemare il secondo più in basso, sulla coscia, in modo che si incontrassero proprio nella zona del linfocele. Niente anestesia qui, ma non serviva: ha lavorato sui fori già esistenti, in una zona in cui ho perso quasi completamente la sensibilità superficiale con la radioterapia del 2008.
Dopo qualche aggiustamento, finalmente i due medici si sono dichiarati soddisfatti e il chirurgo si è occupato di fissare i due drenaggi con un punto di sutura ciascuno. Purtroppo nel frattempo l'effetto dell'anestesia all'inguine era cessato, ma si è confermata la mia teoria: un singolo punto a vivo fa meno male dell'iniezione di anestetico.
Nessun problema per il punto sull'altro drenaggio, non ho sentito quasi niente. Il chirurgo ha tentato di chiudere con un punto anche il tratto di ferita chirurgica che si era riaperto nei giorni scorsi, ma la pelle era talmente macerata da non reggere la sutura. Pazienza, speriamo che la nuova linea di drenaggio consenta a quella zona di asciugarsi e cicatrizzare.
La procedura in totale ha richiesto circa un'ora e mezza.
Adesso sono previsti alcuni giorni di lavaggi e monitoraggio della situazione.
Esiste la remota possibilità che questo apparato sia sufficiente a risolvere il problema, più probabilmente sarà preparatorio all'intervento di microchirurgia dei vasi linfatici.
Intanto però abbiamo fatto qualcosa.
PS: Alla prima nonnetta era seguita un'altra ultranovantenne in parcheggio da geriatria, fortunatamente solo per una notte, peraltro piuttosto movimentata. Temevo quindi molto l'arrivo della successiva compagna di stanza. Ieri invece è arrivata la signora Gabriella, una persona piacevolissima con cui ho conversato davvero volentieri. Doveva essere operata stamattina, ma ha avuto una brutta sorpresa: un ascesso dentale l'ha costretta a rinviare di un paio di settimane l'intervento ed è stata dimessa. Ogni volta che trovo una compagna di stanza simpatica, me la portano via subito. Uffa.
Non ha nemmeno fatto in tempo a completare la spiegazione: sono venuti subito a prendermi per portarmi dal radiologo, nemmeno il tempo di infilare i pantaloni del pigiama!
Dopo un'ecografia preliminare, il radiologo si è armato di gilet antiradiazioni, camice sterile, cuffia, guanti e mascherina chirurgica.
Un po' di anestesia locale sull'inguine, una abbondante pennellata di disinfettante, poi ha iniziato a lavorare di bisturi, aghi e sonde, controllando spesso la situazione con l'apparecchiatura a raggi X o con l'ecografo e aiutandosi con un liquido di contrasto per evidenziare il percorso interno dei fluidi.
Nel frattempo, io lavoravo sulla respirazione per mantenere i muscoli rilassati e il battito cardiaco lento, un modo piuttosto efficace per gestire il dolore, e resistevo alla tentazione di spiare le attività in corso attraverso il riflesso sul vetro del proiettore di raggi X, che non si sa mai che effetto potrebbe fare vedersi tagliare, bucare, infilare tubi...
Dopo aver posizionato il primo drenaggio sull'inguine, il radiologo si è fatto aiutare dal chirurgo per sistemare il secondo più in basso, sulla coscia, in modo che si incontrassero proprio nella zona del linfocele. Niente anestesia qui, ma non serviva: ha lavorato sui fori già esistenti, in una zona in cui ho perso quasi completamente la sensibilità superficiale con la radioterapia del 2008.
Dopo qualche aggiustamento, finalmente i due medici si sono dichiarati soddisfatti e il chirurgo si è occupato di fissare i due drenaggi con un punto di sutura ciascuno. Purtroppo nel frattempo l'effetto dell'anestesia all'inguine era cessato, ma si è confermata la mia teoria: un singolo punto a vivo fa meno male dell'iniezione di anestetico.
Nessun problema per il punto sull'altro drenaggio, non ho sentito quasi niente. Il chirurgo ha tentato di chiudere con un punto anche il tratto di ferita chirurgica che si era riaperto nei giorni scorsi, ma la pelle era talmente macerata da non reggere la sutura. Pazienza, speriamo che la nuova linea di drenaggio consenta a quella zona di asciugarsi e cicatrizzare.
La procedura in totale ha richiesto circa un'ora e mezza.
Adesso sono previsti alcuni giorni di lavaggi e monitoraggio della situazione.
Esiste la remota possibilità che questo apparato sia sufficiente a risolvere il problema, più probabilmente sarà preparatorio all'intervento di microchirurgia dei vasi linfatici.
Intanto però abbiamo fatto qualcosa.
PS: Alla prima nonnetta era seguita un'altra ultranovantenne in parcheggio da geriatria, fortunatamente solo per una notte, peraltro piuttosto movimentata. Temevo quindi molto l'arrivo della successiva compagna di stanza. Ieri invece è arrivata la signora Gabriella, una persona piacevolissima con cui ho conversato davvero volentieri. Doveva essere operata stamattina, ma ha avuto una brutta sorpresa: un ascesso dentale l'ha costretta a rinviare di un paio di settimane l'intervento ed è stata dimessa. Ogni volta che trovo una compagna di stanza simpatica, me la portano via subito. Uffa.
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