Domani sera, vale a dire mercoledì 22 alle ore 21, avete due opzioni:
1. Se abitate dalle mie parti e avete voglia di uscire, venite a sentirmi cantare ai saggi di fine anno della scuola di musica in Villa Comunale. Però non aspettatevi troppo!
2. Se non abitate dalle mie parti e/o non avete voglia di uscire, accendete la TV e guardate Invincibili, il programma di Italia 1 che domani avrà tre ospiti di assoluta eccezione: Rosie, Romina e Giorgia, tre delle mie amiche-colleghe di oltreilcancro.it.
martedì 21 giugno 2011
sabato 18 giugno 2011
Appunti di viaggio 3 - Puglia, Campania e Lazio
Questa volta si vola.
L'aereo decolla da Venezia e ho previsto di partire da casa con molto anticipo, perché non si sa mai: il traffico, il parcheggio nuovo, perché in quello in cui avevo lasciato l'auto l'ultima volta cercano di fare i furbetti e non rilasciare la ricevuta, i controlli di sicurezza, il rischio di overbooking... Meglio essere prudenti.
Ma non ho fatto i conti con la tecnologia.
Non posso viaggiare con il mio gigantesco notebook da 17" che sarebbe già da solo un bagaglio a mano, mi sono appena comprata un trolley nuovo nuovo, leggerissimo e maneggevole, e dentro ci deve stare tutto quello che mi serve per questi tre giorni, quindi mi porto "il piccoletto", il netbook che mi ha regalato Renato in occasione della vacanza in Islanda, perfetto come computer da viaggio. Solo che ci devo caricare tutti i files che mi servono per il lavoro e la cosa si rivela molto più lunga del previsto: l'archivio è grande e la velocità di copia limitata. Finisce che parto da casa con mezz'ora di ritardo rispetto a quanto avevo programmato, ma niente paura: mi ero lasciata davvero un buon margine, mentre trasferivo i files sul netbook ho fatto il check-in online e per fortuna non si verifica nessuno dei "non si sa mai"; in aeroporto ho addirittura il tempo di accendere il piccoletto e lavorare per una ventina di minuti prima dell'imbarco.
Il volo fino a Bari è tranquillo, l'atterraggio un po' meno: probabilmente c'è vento forte, perché balliamo un po' appena prima di toccare terra. Per un momento rimpiango di non aver preso la Xamamina, ma fortunatamente finisce in fretta.
Trovo ad aspettarmi il mio referente locale e partiamo subito per Lecce.
È il mio primo viaggio in Puglia e mi guardo attorno cercando di assorbire le immagini di questa terra: fichi d'india, fiori e ulivi, tantissimi ulivi, enormi, antichi, monumentali. Questo è il loro posto, non i nostri giardini del nord, dove ogni inverno è una scommessa contro il gelo e dove mai potranno raggiungere la maestosità delle loro terre.
Ma le olive qui non sono l'unico frutto prezioso: si vedono ovunque foreste di tronchi altissimi, bianchi e lisci, e campi con foglie rettangolari, lucide come specchi: sono le pale eoliche e i pannelli fotovoltaici che trasformano il vento e il sole in energia pulita. E sono tanti, tantissimi: le colline dell'entroterra sono disseminate di turbine eoliche, i nuovi campi fotovoltaici si alternano ai tradizionali uliveti, ai frutteti e ai campi coltivati e tutte le tettoie delle stazioni di servizio sono coperte di pannelli solari. La Puglia ha scommesso sulle energie rinnovabili e può soltanto vincere.
A sinistra si vede il mare, una tavola di zaffiro che sussurra di acque limpide e fondali da esplorare, e la costa con i villaggi turistici sparsi a pizzichi, ancora lontani dall'organizzatissimo turistificio dell'alto Adriatico, con le sue schiere ordinate e ininterrotte di alberghi e ombrelloni, dal Friuli alle Marche.
A Lecce ci accolgono una serata grigia e piovigginosa e uno splendido hotel, modernissimo, con una doccia grande più o meno come l'intero bagno di casa mia.
Dopo la riunione di lavoro, prima di cena abbiamo giusto il tempo per una breve passeggiata in centro, dove scopro ben due teatri romani, e una collezione di gioielli di architettura barocca che culmina nella piazza del Duomo, uno splendore che mi lascia a bocca aperta.
Tra i garriti dei rondoni che sfrecciano tra i palazzi raggiungiamo il ristorante giusto in tempo per evitare la pioggia. Gli "assaggi" dell'antipasto sono già da soli una cena: un susseguirsi di delizie, un tripudio di gusto, con tante verdure saporitissime. E poi le sagne 'ncannulate al pomodoro e cacioricotta, che segnano definitivamente l'inizio del mio idillio con la cucina pugliese.
La mattina seguente è dedicata al lavoro, poi si parte per Napoli. Ripercorriamo la strada verso Bari, tra gli uliveti e il mare, poi svoltiamo verso l'entroterra; una sosta in autogrill per uno spuntino e poi scavalchiamo l'Appennino, scivolando tra le valli dell'Irpinia fino ad avvistare il Vesuvio.
Alla periferia di Napoli aggiriamo cumuli di rifiuti per raggiungere l'ufficio di zona, dove ci attende il responsabile locale.
Questo mio primo incontro con Napoli scalfisce un bel po' di pregiudizi: mi rendo conto che l'apparente caos di questa città ha in realtà una sua logica e una sua coerenza: è vero che non sarei capace di districarmi in questo traffico, ma ho la sensazione che ci sia una sorta di codice cavalleresco tra gli automobilisti, per cui si cerca di passare avanti, ma mai con cattiveria, è una specie di gioco in cui vince il più svelto, ma chi perde non se la prende e ci ride su. Bisogna venirci di persona per respirare la grande carica di umanità dei napoletani, perché da lontano si vedono solo i problemi, che ci sono e sono tanti e gravi, ma Napoli è molto di più ed è difficile capirlo guardandola alla televisione.
Il responsabile di zona ha particolarmente a cuore la buona riuscita del mio soggiorno e ha deciso di viziarmi. Ci tiene a farmi dare almeno un'occhiata veloce alla città, un giretto in macchina per vedere i posti più caratteristici: il Maschio Angioino, piazza Plebiscito, la Villa Comunale, Castel dell'Ovo, la via Marina. E lo stadio San Paolo, che per un napoletano rientra senz'altro tra i gioielli della città.
Il nostro hotel è a Bacoli, una villa in stile inglese, praticamente una bomboniera sulla riva del lago, da cui si scorge in lontananza l'isola di Procida. Un ristorante tipico aspetta proprio noi: sarebbe il giorno di chiusura, ma hanno aperto per farci un favore e ci deliziano con una cena a base di pesce, coronata dai dolci tipici della tradizione napoletana, di cui assaggio solo la pastiera, respingendo cortesemente il babà intriso di liquore e il gelato all'amaretto che non mi piace (sì, lo so, con i dolci sono una vera piaga, ce ne sono un sacco che non mangio, ma abbiate pazienza, vuol dire che ne restano di più per voi).
Il mattino seguente ci spostiamo a Frosinone per una lunga e intensa mattinata di lavoro, che termina dopo le 14, davanti ad una mozzarella di bufala e una pizza napoletana, quella vera, con i bordi alti e la pasta morbida, completamente diversa da quella che si fa dalle mie parti. Un errore: la rimpiangerò per sempre. Dopo questa esperienza, per me la pizza non sarà più la stessa.
Nel tardo pomeriggio riprendo l'aereo per tornare a Venezia; l'addetto al parcheggio che viene a prendermi con la navetta ha già pronte le ricevute fiscali per tutti i clienti, confermando che questa volta ho scelto bene: sulla mia c'è anche l'appunto "segue fattura", mi spiegano che la invieranno a fine mese, in modo da raccogliere in un unico documento eventuali altre soste. E già che ci sono, prenoto il posto per la settimana successiva, perché mi aspetta la Sicilia!
L'aereo decolla da Venezia e ho previsto di partire da casa con molto anticipo, perché non si sa mai: il traffico, il parcheggio nuovo, perché in quello in cui avevo lasciato l'auto l'ultima volta cercano di fare i furbetti e non rilasciare la ricevuta, i controlli di sicurezza, il rischio di overbooking... Meglio essere prudenti.
Ma non ho fatto i conti con la tecnologia.
Non posso viaggiare con il mio gigantesco notebook da 17" che sarebbe già da solo un bagaglio a mano, mi sono appena comprata un trolley nuovo nuovo, leggerissimo e maneggevole, e dentro ci deve stare tutto quello che mi serve per questi tre giorni, quindi mi porto "il piccoletto", il netbook che mi ha regalato Renato in occasione della vacanza in Islanda, perfetto come computer da viaggio. Solo che ci devo caricare tutti i files che mi servono per il lavoro e la cosa si rivela molto più lunga del previsto: l'archivio è grande e la velocità di copia limitata. Finisce che parto da casa con mezz'ora di ritardo rispetto a quanto avevo programmato, ma niente paura: mi ero lasciata davvero un buon margine, mentre trasferivo i files sul netbook ho fatto il check-in online e per fortuna non si verifica nessuno dei "non si sa mai"; in aeroporto ho addirittura il tempo di accendere il piccoletto e lavorare per una ventina di minuti prima dell'imbarco.
Il volo fino a Bari è tranquillo, l'atterraggio un po' meno: probabilmente c'è vento forte, perché balliamo un po' appena prima di toccare terra. Per un momento rimpiango di non aver preso la Xamamina, ma fortunatamente finisce in fretta.
Trovo ad aspettarmi il mio referente locale e partiamo subito per Lecce.
È il mio primo viaggio in Puglia e mi guardo attorno cercando di assorbire le immagini di questa terra: fichi d'india, fiori e ulivi, tantissimi ulivi, enormi, antichi, monumentali. Questo è il loro posto, non i nostri giardini del nord, dove ogni inverno è una scommessa contro il gelo e dove mai potranno raggiungere la maestosità delle loro terre.
Ma le olive qui non sono l'unico frutto prezioso: si vedono ovunque foreste di tronchi altissimi, bianchi e lisci, e campi con foglie rettangolari, lucide come specchi: sono le pale eoliche e i pannelli fotovoltaici che trasformano il vento e il sole in energia pulita. E sono tanti, tantissimi: le colline dell'entroterra sono disseminate di turbine eoliche, i nuovi campi fotovoltaici si alternano ai tradizionali uliveti, ai frutteti e ai campi coltivati e tutte le tettoie delle stazioni di servizio sono coperte di pannelli solari. La Puglia ha scommesso sulle energie rinnovabili e può soltanto vincere.
A sinistra si vede il mare, una tavola di zaffiro che sussurra di acque limpide e fondali da esplorare, e la costa con i villaggi turistici sparsi a pizzichi, ancora lontani dall'organizzatissimo turistificio dell'alto Adriatico, con le sue schiere ordinate e ininterrotte di alberghi e ombrelloni, dal Friuli alle Marche.
A Lecce ci accolgono una serata grigia e piovigginosa e uno splendido hotel, modernissimo, con una doccia grande più o meno come l'intero bagno di casa mia.
Dopo la riunione di lavoro, prima di cena abbiamo giusto il tempo per una breve passeggiata in centro, dove scopro ben due teatri romani, e una collezione di gioielli di architettura barocca che culmina nella piazza del Duomo, uno splendore che mi lascia a bocca aperta.
Tra i garriti dei rondoni che sfrecciano tra i palazzi raggiungiamo il ristorante giusto in tempo per evitare la pioggia. Gli "assaggi" dell'antipasto sono già da soli una cena: un susseguirsi di delizie, un tripudio di gusto, con tante verdure saporitissime. E poi le sagne 'ncannulate al pomodoro e cacioricotta, che segnano definitivamente l'inizio del mio idillio con la cucina pugliese.
La mattina seguente è dedicata al lavoro, poi si parte per Napoli. Ripercorriamo la strada verso Bari, tra gli uliveti e il mare, poi svoltiamo verso l'entroterra; una sosta in autogrill per uno spuntino e poi scavalchiamo l'Appennino, scivolando tra le valli dell'Irpinia fino ad avvistare il Vesuvio.
Alla periferia di Napoli aggiriamo cumuli di rifiuti per raggiungere l'ufficio di zona, dove ci attende il responsabile locale.
Questo mio primo incontro con Napoli scalfisce un bel po' di pregiudizi: mi rendo conto che l'apparente caos di questa città ha in realtà una sua logica e una sua coerenza: è vero che non sarei capace di districarmi in questo traffico, ma ho la sensazione che ci sia una sorta di codice cavalleresco tra gli automobilisti, per cui si cerca di passare avanti, ma mai con cattiveria, è una specie di gioco in cui vince il più svelto, ma chi perde non se la prende e ci ride su. Bisogna venirci di persona per respirare la grande carica di umanità dei napoletani, perché da lontano si vedono solo i problemi, che ci sono e sono tanti e gravi, ma Napoli è molto di più ed è difficile capirlo guardandola alla televisione.
Il responsabile di zona ha particolarmente a cuore la buona riuscita del mio soggiorno e ha deciso di viziarmi. Ci tiene a farmi dare almeno un'occhiata veloce alla città, un giretto in macchina per vedere i posti più caratteristici: il Maschio Angioino, piazza Plebiscito, la Villa Comunale, Castel dell'Ovo, la via Marina. E lo stadio San Paolo, che per un napoletano rientra senz'altro tra i gioielli della città.
Il nostro hotel è a Bacoli, una villa in stile inglese, praticamente una bomboniera sulla riva del lago, da cui si scorge in lontananza l'isola di Procida. Un ristorante tipico aspetta proprio noi: sarebbe il giorno di chiusura, ma hanno aperto per farci un favore e ci deliziano con una cena a base di pesce, coronata dai dolci tipici della tradizione napoletana, di cui assaggio solo la pastiera, respingendo cortesemente il babà intriso di liquore e il gelato all'amaretto che non mi piace (sì, lo so, con i dolci sono una vera piaga, ce ne sono un sacco che non mangio, ma abbiate pazienza, vuol dire che ne restano di più per voi).
Il mattino seguente ci spostiamo a Frosinone per una lunga e intensa mattinata di lavoro, che termina dopo le 14, davanti ad una mozzarella di bufala e una pizza napoletana, quella vera, con i bordi alti e la pasta morbida, completamente diversa da quella che si fa dalle mie parti. Un errore: la rimpiangerò per sempre. Dopo questa esperienza, per me la pizza non sarà più la stessa.
Nel tardo pomeriggio riprendo l'aereo per tornare a Venezia; l'addetto al parcheggio che viene a prendermi con la navetta ha già pronte le ricevute fiscali per tutti i clienti, confermando che questa volta ho scelto bene: sulla mia c'è anche l'appunto "segue fattura", mi spiegano che la invieranno a fine mese, in modo da raccogliere in un unico documento eventuali altre soste. E già che ci sono, prenoto il posto per la settimana successiva, perché mi aspetta la Sicilia!
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domenica 5 giugno 2011
Appunti di viaggio 2 - Tra Lombardia, Piemonte ed Emilia
A Milano e dintorni imperversano SUV e mega-jeep e la domanda sorge spontanea: perché mai un milanese dovrebbe aver bisogno del fuoristrada? Che io sappia, a Milano di sterrati non ce ne sono mica tanti...
Ma il fuoristrada milanese ha il suo perché.
Innanzitutto serve a far vedere che hai i danée e che puoi guardare il mondo dall'alto in basso. E che te ne freghi altamente dell'inquinamento, ma questa è un'altra storia.
Poi è indispensabile per parcheggiare più comodamente sui marciapiedi.
E in questa trasferta, ho scoperto che è utilissimo anche per superare i rallentatori stradali, quei dossi artificiali che dalle mie parti sono per lo più strutture in gomma alte una trentina di centimetri, ma nel milanese sono vere e proprie colline di asfalto, alte e ripide, che dopo averne scalate un paio inizio a rimpiangere di non avere anch'io le marce ridotte.
Che io venga dalla campagna, per strada si nota subito: mi mancano completamente la disinvoltura e la malizia dei guidatori abituati al traffico delle città, al punto che, dovendo seguire il mio referente locale per raggiungere la sede di lavoro a Sesto San Giovanni, l'ho pregato di avere pazienza ed evitare manovre azzardate che probabilmente non sarei riuscita ad imitare, con il rischio di perderlo di vista. E lui, gentilissimo, mi ha preso in parola e si è fatto un bel pezzo di tangenziale inchiodato dietro ad un camion che non superava i sessanta all'ora. Santo subito!
Non meno gentile la responsabile di area con cui lavoro il giorno dopo a Bergamo, anche lei attentissima a non perdermi per strada e che mi fa scoprire una di quelle perle che si trovano incastonate qua e là per l'Italia, una trattoria con azienda agricola biologica, un raggio di sole nel cuore industriale del Paese.
Da Bergamo devo spostarmi verso Alessandria e ne approfitto per fermarmi nel famoso Punto Blu che il giorno di Pasquetta era chiuso e che oggi finalmente mi rilascia le fatture per le Viacard, poi imbocco la tangenziale in direzione Genova.
Ora strada è tutta nuova, è la prima volta che passo di qua.
Giro intorno a Milano, riconoscendo nelle indicazioni delle uscite nomi noti ai pazienti oncologici: Istituto Europeo di Oncologia, Clinica Humanitas. E confronto la tangenziale con la strada che percorro per andare al CRO di Aviano, praticamente priva di traffico e che passa in mezzo alle campagne, dove spesso si avvistano grandi volatili: corvi e cornacchie, poiane, gheppi, aerei della base americana di Aviano, gazze, ghiandaie... Mi ricordo di quanto la vista di campi, alberi e montagne ha rasserenato i miei spostamenti nel periodo delle terapie, quando la vista di una poiana appoianata sulla rete dell'autostrada mi strappava sempre un sorriso (no, non ho sbagliato a scrivere, è che dire "appollaiata" pare brutto, in fondo sto parlando di un maestoso rapace, non di una gallina qualunque!).
Chissà quali pensieri attraversano la mente dei pazienti di queste strutture lombarde, probabilmente costretti a code interminabili sulla tangenziale, come se non bastassero la tensione e lo stress della malattia.
Ma anche qui si possono fare incontri curiosi, come il tizio che attraversa l'autostrada a piedi, poche centinaia di metri avanti a me nei dintorni del ponte sul Ticino. Sono talmente allibita che non arrivo nemmeno a suonare il clacson.
Supero Pavia e passo il Po, che qui non è ancora largo come a Occhiobello, tra Veneto ed Emilia, ma a noi pare sempre un signor fiume, forse perché non abbiamo mai visto il Mississippi.
Dopo essermi sistemata in camera, ho nuovamente modo di constatare che le critiche relativamente alla posizione dell'hotel sono infondate: è vero che dalla finestra si intravede l'autostrada, ma prima c'è un boschetto di tigli fioriti. Ed è anche vero che sullo sfondo si vede il carcere, ma più in là ci sono le dolci colline del Monferrato e a me la vista pare bellissima.
L'ultimo giorno di questa trasferta, il lavoro mi porta ad Asti e prima di pranzo il mio referente piemontese ritaglia il tempo per una breve passeggiata in centro. Piazza Alfieri, è spettacolare, un enorme trapezio delimitato su tre lati dai portici dei palazzi antichi... e deturpato sul quarto lato dal Municipio, un'orribile costruzione moderna che fa a pugni con tutta l'architettura circostante.
Un tortino al formaggio e un bel piatto di agnolotti al sugo di carne mi confermano senza ombra di dubbio che la conoscenza di questa regione merita di essere approfondita.
È ora di tornare a casa e riprendo l'autostrada, con i nomi di località che parlano di storia, di feudi e di castelli: Alessandria, Tortona, Voghera, Piacenza.
E poi Caorso, che parla di cose che non voglio sentire, dell'illusione nucleare, il sogno di un'energia inesauribile che si è infranto contro rischi inaccettabili e costi di gestione elevatissimi. Mi chiedo come abbiano reagito gli abitanti di queste zone ai disastri di Chernobyl e soprattutto di Fukushima, perché il primo forse si poteva attribuire ad una cattiva gestione dell'impianto, ma il secondo ha mostrato chiaramente che non è possibile garantire la sicurezza di una centrale nucleare.
I pensieri scivolano sulla strada, che scorre veloce sotto le ruote.
Un altro ponte sul Po mi riporta in Lombardia e poi su, verso Brescia e il paesaggio diventa di nuovo familiare e racconta, al contrario, le stesse storie di tre giorni fa.
Ma io non sono più la stessa, perché in questi tre giorni ho visto posti nuovi, ho ritrovato persone conosciute e ne ho incontrate di nuove, ho guardato, annusato, assaggiato tutto quello che potevo. Anche questo viaggio mi ha regalato qualcosa.
Ma il fuoristrada milanese ha il suo perché.
Innanzitutto serve a far vedere che hai i danée e che puoi guardare il mondo dall'alto in basso. E che te ne freghi altamente dell'inquinamento, ma questa è un'altra storia.
Poi è indispensabile per parcheggiare più comodamente sui marciapiedi.
E in questa trasferta, ho scoperto che è utilissimo anche per superare i rallentatori stradali, quei dossi artificiali che dalle mie parti sono per lo più strutture in gomma alte una trentina di centimetri, ma nel milanese sono vere e proprie colline di asfalto, alte e ripide, che dopo averne scalate un paio inizio a rimpiangere di non avere anch'io le marce ridotte.
Che io venga dalla campagna, per strada si nota subito: mi mancano completamente la disinvoltura e la malizia dei guidatori abituati al traffico delle città, al punto che, dovendo seguire il mio referente locale per raggiungere la sede di lavoro a Sesto San Giovanni, l'ho pregato di avere pazienza ed evitare manovre azzardate che probabilmente non sarei riuscita ad imitare, con il rischio di perderlo di vista. E lui, gentilissimo, mi ha preso in parola e si è fatto un bel pezzo di tangenziale inchiodato dietro ad un camion che non superava i sessanta all'ora. Santo subito!
Non meno gentile la responsabile di area con cui lavoro il giorno dopo a Bergamo, anche lei attentissima a non perdermi per strada e che mi fa scoprire una di quelle perle che si trovano incastonate qua e là per l'Italia, una trattoria con azienda agricola biologica, un raggio di sole nel cuore industriale del Paese.
Da Bergamo devo spostarmi verso Alessandria e ne approfitto per fermarmi nel famoso Punto Blu che il giorno di Pasquetta era chiuso e che oggi finalmente mi rilascia le fatture per le Viacard, poi imbocco la tangenziale in direzione Genova.
Ora strada è tutta nuova, è la prima volta che passo di qua.
Giro intorno a Milano, riconoscendo nelle indicazioni delle uscite nomi noti ai pazienti oncologici: Istituto Europeo di Oncologia, Clinica Humanitas. E confronto la tangenziale con la strada che percorro per andare al CRO di Aviano, praticamente priva di traffico e che passa in mezzo alle campagne, dove spesso si avvistano grandi volatili: corvi e cornacchie, poiane, gheppi, aerei della base americana di Aviano, gazze, ghiandaie... Mi ricordo di quanto la vista di campi, alberi e montagne ha rasserenato i miei spostamenti nel periodo delle terapie, quando la vista di una poiana appoianata sulla rete dell'autostrada mi strappava sempre un sorriso (no, non ho sbagliato a scrivere, è che dire "appollaiata" pare brutto, in fondo sto parlando di un maestoso rapace, non di una gallina qualunque!).
Chissà quali pensieri attraversano la mente dei pazienti di queste strutture lombarde, probabilmente costretti a code interminabili sulla tangenziale, come se non bastassero la tensione e lo stress della malattia.
Ma anche qui si possono fare incontri curiosi, come il tizio che attraversa l'autostrada a piedi, poche centinaia di metri avanti a me nei dintorni del ponte sul Ticino. Sono talmente allibita che non arrivo nemmeno a suonare il clacson.
Supero Pavia e passo il Po, che qui non è ancora largo come a Occhiobello, tra Veneto ed Emilia, ma a noi pare sempre un signor fiume, forse perché non abbiamo mai visto il Mississippi.
L'hotel in cui mi hanno riservato una camera ad Alessandria è proprio vicino all'uscita dell'autostrada. Prima di partire, ho controllato in rete le recensioni dei clienti, complessivamente ottime, ma qualcuno si lamentava proprio di questa vicinanza, che a me invece non pare affatto una cattiva cosa: la campagnola di cui sopra avrebbe avuto non poche difficoltà a barcamenarsi per le vie del centro.
Arrivo, parcheggio nel cortile interno, spengo il motore, alzo gli occhi. E mi incanto. Perché nel prato davanti al muso della mia auto trovo il più bel comitato d'accoglienza che potessi immaginare.
Arrivo, parcheggio nel cortile interno, spengo il motore, alzo gli occhi. E mi incanto. Perché nel prato davanti al muso della mia auto trovo il più bel comitato d'accoglienza che potessi immaginare.
Dopo essermi sistemata in camera, ho nuovamente modo di constatare che le critiche relativamente alla posizione dell'hotel sono infondate: è vero che dalla finestra si intravede l'autostrada, ma prima c'è un boschetto di tigli fioriti. Ed è anche vero che sullo sfondo si vede il carcere, ma più in là ci sono le dolci colline del Monferrato e a me la vista pare bellissima.
L'ultimo giorno di questa trasferta, il lavoro mi porta ad Asti e prima di pranzo il mio referente piemontese ritaglia il tempo per una breve passeggiata in centro. Piazza Alfieri, è spettacolare, un enorme trapezio delimitato su tre lati dai portici dei palazzi antichi... e deturpato sul quarto lato dal Municipio, un'orribile costruzione moderna che fa a pugni con tutta l'architettura circostante.
Un tortino al formaggio e un bel piatto di agnolotti al sugo di carne mi confermano senza ombra di dubbio che la conoscenza di questa regione merita di essere approfondita.
È ora di tornare a casa e riprendo l'autostrada, con i nomi di località che parlano di storia, di feudi e di castelli: Alessandria, Tortona, Voghera, Piacenza.
E poi Caorso, che parla di cose che non voglio sentire, dell'illusione nucleare, il sogno di un'energia inesauribile che si è infranto contro rischi inaccettabili e costi di gestione elevatissimi. Mi chiedo come abbiano reagito gli abitanti di queste zone ai disastri di Chernobyl e soprattutto di Fukushima, perché il primo forse si poteva attribuire ad una cattiva gestione dell'impianto, ma il secondo ha mostrato chiaramente che non è possibile garantire la sicurezza di una centrale nucleare.
I pensieri scivolano sulla strada, che scorre veloce sotto le ruote.
Un altro ponte sul Po mi riporta in Lombardia e poi su, verso Brescia e il paesaggio diventa di nuovo familiare e racconta, al contrario, le stesse storie di tre giorni fa.
Ma io non sono più la stessa, perché in questi tre giorni ho visto posti nuovi, ho ritrovato persone conosciute e ne ho incontrate di nuove, ho guardato, annusato, assaggiato tutto quello che potevo. Anche questo viaggio mi ha regalato qualcosa.
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