Oggi sono contenta.
Perché nella passeggiata di stamattina con il deambulatore sono riuscita a sollevare di qualche millimetro il piede destro, anziché strisciarlo a terra. Contento anche il fisioterapista.
Perché ho fatto cinque passi in più di ieri, ma senza che mi venissero i conati di vomito.
Perché la permanenza sulla sedia è durata il giusto per allenarmi senza arrivare a stare male.
Perché è venuto a trovarmi Costantino, che legge da anni il mio blog ma non ci eravamo mai visti.
Perché la zia mi ha portato la burrata fresca.
Perché domani conoscerò un'altra mia lettrice storica, Michela.
Perché un passo alla volta riconquisterò la mia autonomia. E potrò tornare a casa.
sabato 30 marzo 2019
giovedì 28 marzo 2019
Nuovi orizzonti
Martedì si torna verso casa.
Sarò trasferita nell'ospedale del mio paese, dove continuerò la riabilitazione.
E sperimenterò per la prima volta l'emozione di un viaggio in ambulanza, perché di restare seduta tre ore e passa in macchina non se ne parla proprio.
Oggi, sulla sedia, ho retto poco più di un'ora. Ieri di più, ma non per mia scelta, e ad un prezzo altissimo. Avevo avvertito un'infermiera che ero stanca, iniziavo a stare male con capogiri e conati di vomito. Lei ha risposto che avrebbe avvertito i fisioterapisti appena possibile. È passata un'ora e mezza, quella manco si è sognata di cercarli. Quando sono arrivati, tremavo come una foglia e invece di respirare, ragliavo.
Oggi ci siamo organizzati meglio. Una posizione più comoda per la gamba e un controllo ogni mezz'ora, in modo che quando sono iniziati i capogiri, mi hanno riaccompagnata a letto entro pochi minuti.
Credo che questa difficoltà sia dovuta alla perdita di tono di tutti i muscoli del busto, tanto a lungo racchiusi nel sarcofago. Per stare seduti servono un po' di addominali e dorsali e i miei ora hanno la consistenza di meduse.
Anche il quarto di manzo non aiuta.
Ogni giorno recupero una briciola di controllo su qualche muscolo, ma briciole davvero piccole, che mi consentono solo movimenti di pochi centimetri.
Ci vorrà tanto lavoro, più di quanto avevo immaginato, e sarà terribilmente faticoso, come ognuna delle passeggiate mattutine con il deambulatore.
Ma mi riprenderò la mia gamba.
Sarò trasferita nell'ospedale del mio paese, dove continuerò la riabilitazione.
E sperimenterò per la prima volta l'emozione di un viaggio in ambulanza, perché di restare seduta tre ore e passa in macchina non se ne parla proprio.
Oggi, sulla sedia, ho retto poco più di un'ora. Ieri di più, ma non per mia scelta, e ad un prezzo altissimo. Avevo avvertito un'infermiera che ero stanca, iniziavo a stare male con capogiri e conati di vomito. Lei ha risposto che avrebbe avvertito i fisioterapisti appena possibile. È passata un'ora e mezza, quella manco si è sognata di cercarli. Quando sono arrivati, tremavo come una foglia e invece di respirare, ragliavo.
Oggi ci siamo organizzati meglio. Una posizione più comoda per la gamba e un controllo ogni mezz'ora, in modo che quando sono iniziati i capogiri, mi hanno riaccompagnata a letto entro pochi minuti.
Credo che questa difficoltà sia dovuta alla perdita di tono di tutti i muscoli del busto, tanto a lungo racchiusi nel sarcofago. Per stare seduti servono un po' di addominali e dorsali e i miei ora hanno la consistenza di meduse.
Anche il quarto di manzo non aiuta.
Ogni giorno recupero una briciola di controllo su qualche muscolo, ma briciole davvero piccole, che mi consentono solo movimenti di pochi centimetri.
Ci vorrà tanto lavoro, più di quanto avevo immaginato, e sarà terribilmente faticoso, come ognuna delle passeggiate mattutine con il deambulatore.
Ma mi riprenderò la mia gamba.
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lunedì 25 marzo 2019
Un quarto di manzo
Stamattina il medico è arrivato presto, verso le nove, armato di quella sega circolare da gesso che mi aveva terrorizzata la prima volta che è stata usata su di me, quando avevo cinque anni e tuttora mi crea un certo disagio.
In realtà c'era ormai così tanto spazio tra il gesso e me, che ho sentito il movimento e il calore della lama solo sul polpaccio, dove il gesso era più aderente.
Tolta la parte superiore, ho dato un'occhiata alla ferita, almeno mezzo metro di graffe metalliche, alla coscia gonfia, con la pelle che sembra cuoio, alla caviglia con un accenno di zampazampogna.
Sfilare la parte inferiore del sarcofago è stato più impegnativo, mi sono dovuta sollevare e contorcere e ho rimediato un paio di graffi, ma alla fine se n'è andata anche quella. L'infermiera di turno mi ha "lavato" (= passato la spugna saponata e poi quella da risciacquo sulla parte superiore della gamba), poi il medico ha tolto i punti. Tranquilli, i primi, in una zona in cui non ho sensibilità. Su alcuni dei successivi invece ho urlato. La zona centrale del taglio sanguina ancora, l'hanno disinfettata (ahia!) e coperta con garza e cerotto.
Et voilà, libera.
Solo che non mi sento la gamba.
La parte anteriore è completamente insensibile fino a metà polpaccio, è come se tutta quella carne dalla consistenza strana non fosse mia. E non riesco muovere altro che il piede, tutto il resto non risponde ai comandi.
I fisioterapisti che erano venuti ad assistere alla liberazione sono tornati dopo la medicazione per farmi alzare.
Sedermi è stato più semplice del previsto, sono riuscita a tirarmi in piedi, ma ho dovuto chiedere quasi subito di stendermi di nuovo, in preda a nausea e capogiri.
Il letto era un disastro, pieno di polvere e frammenti di gesso e con le lenzuola bagnate, ma non ce la facevo proprio, ho dovuto rimanerci per quasi un'ora prima di riprovare ad alzarmi.
Nel frattempo con la zia abbiamo avviato il lavaggio vero, iniziando dalla pancia: un po' di scrub con la spugna insaponata per togliere la pelle morta, spugna umida per risciacquare, massaggio con crema nutriente.
Il secondo tentativo di verticalizzazione è andato meglio. Aggrappata al deambulatore ho fatto qualche passo, senza caricare peso sulla gamba destra, poi mi sono accomodata sulla solita sedia.
Camminare è stato faticoso, ma anche fastidioso: l'insensibilità di buona parte della gamba mi dava l'impressione di avere un quarto di manzo appeso al bacino da trascinare. Una sensazione sgradevole.
Sulla sedia ho verificato con grandissima soddisfazione che posso gia raggiungere un angolo di quasi 90° tra busto e coscia. Molto, molto bene. Il ginocchio invece piega ancora poco, ma dopo essere stato immobilizzato così a lungo, è normale, ci vorrà qualche giorno di esercizio per ripristinare la mobilità dell'articolazione, ci sto già lavorando.
Secondo round di pulizie: una lavata di schiena come non se ne vedevano da settimane.
Dopo pranzo lo stress e la stanchezza si sono fatti sentire: ho dovuto chiedere ai fisioterapisti di anticipare il ritorno sul letto, nel frattempo rifatto, perché avevo di nuovo nausea e capogiri.
Un po' di riposo per recuperare, poi la zia si è rimessa all'opera e ha lavato la gamba come si deve.
Ci vorranno altre sessioni di peeling e crema per riportare la pelle alla normalità, ma rispetto a stamattina è già un altro mondo.
Adesso si lavora di fisioterapia, anche a letto, da sola, sto facendo esercizi per piegare il ginocchio. E ci riuscirò.
In realtà c'era ormai così tanto spazio tra il gesso e me, che ho sentito il movimento e il calore della lama solo sul polpaccio, dove il gesso era più aderente.
Tolta la parte superiore, ho dato un'occhiata alla ferita, almeno mezzo metro di graffe metalliche, alla coscia gonfia, con la pelle che sembra cuoio, alla caviglia con un accenno di zampazampogna.
Sfilare la parte inferiore del sarcofago è stato più impegnativo, mi sono dovuta sollevare e contorcere e ho rimediato un paio di graffi, ma alla fine se n'è andata anche quella. L'infermiera di turno mi ha "lavato" (= passato la spugna saponata e poi quella da risciacquo sulla parte superiore della gamba), poi il medico ha tolto i punti. Tranquilli, i primi, in una zona in cui non ho sensibilità. Su alcuni dei successivi invece ho urlato. La zona centrale del taglio sanguina ancora, l'hanno disinfettata (ahia!) e coperta con garza e cerotto.
Et voilà, libera.
Solo che non mi sento la gamba.
La parte anteriore è completamente insensibile fino a metà polpaccio, è come se tutta quella carne dalla consistenza strana non fosse mia. E non riesco muovere altro che il piede, tutto il resto non risponde ai comandi.
I fisioterapisti che erano venuti ad assistere alla liberazione sono tornati dopo la medicazione per farmi alzare.
Sedermi è stato più semplice del previsto, sono riuscita a tirarmi in piedi, ma ho dovuto chiedere quasi subito di stendermi di nuovo, in preda a nausea e capogiri.
Il letto era un disastro, pieno di polvere e frammenti di gesso e con le lenzuola bagnate, ma non ce la facevo proprio, ho dovuto rimanerci per quasi un'ora prima di riprovare ad alzarmi.
Nel frattempo con la zia abbiamo avviato il lavaggio vero, iniziando dalla pancia: un po' di scrub con la spugna insaponata per togliere la pelle morta, spugna umida per risciacquare, massaggio con crema nutriente.
Il secondo tentativo di verticalizzazione è andato meglio. Aggrappata al deambulatore ho fatto qualche passo, senza caricare peso sulla gamba destra, poi mi sono accomodata sulla solita sedia.
Camminare è stato faticoso, ma anche fastidioso: l'insensibilità di buona parte della gamba mi dava l'impressione di avere un quarto di manzo appeso al bacino da trascinare. Una sensazione sgradevole.
Sulla sedia ho verificato con grandissima soddisfazione che posso gia raggiungere un angolo di quasi 90° tra busto e coscia. Molto, molto bene. Il ginocchio invece piega ancora poco, ma dopo essere stato immobilizzato così a lungo, è normale, ci vorrà qualche giorno di esercizio per ripristinare la mobilità dell'articolazione, ci sto già lavorando.
Secondo round di pulizie: una lavata di schiena come non se ne vedevano da settimane.
Dopo pranzo lo stress e la stanchezza si sono fatti sentire: ho dovuto chiedere ai fisioterapisti di anticipare il ritorno sul letto, nel frattempo rifatto, perché avevo di nuovo nausea e capogiri.
Un po' di riposo per recuperare, poi la zia si è rimessa all'opera e ha lavato la gamba come si deve.
Ci vorranno altre sessioni di peeling e crema per riportare la pelle alla normalità, ma rispetto a stamattina è già un altro mondo.
Adesso si lavora di fisioterapia, anche a letto, da sola, sto facendo esercizi per piegare il ginocchio. E ci riuscirò.
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sabato 23 marzo 2019
Cronache dal sarcofago - E dopo?
Ormai il tempo che manca alla rimozione del gesso si conta in ore.
Cerco di immaginare come sarà essere di nuovo libera... e non ci riesco. Troppe incognite, troppi dubbi.
Cosa troverò sotto il gesso? Come sarà la ferita? E quale sensibilità avrà la gamba? E il piede smetterà di farmi male?
Cosa troverò sotto il gesso? Come sarà la ferita? E quale sensibilità avrà la gamba? E il piede smetterà di farmi male?
Come riuscirò a muovermi? Quanto tempo ci vorrà per piegare di nuovo il ginocchio? E per l'anca, o meglio per ciò che ne resta?
Ho trovato in rete un'immagine che rende l'idea del tipo di intervento che è stato realizzato: sono state tolte tutte le ossa della parte inferiore del bacino (più una quantità industriale di muscoli) e il femore è stato "riattaccato" più in alto. Un capolavoro di ortopedia piuttosto impressionante.
(il mio intervento ha riguardato il lato destro, ma il concetto è questo)
Quale mobilità potrà avere questa nuova articolazione? Quando potrò di nuovo sedermi, andare in bagno, fare una doccia? Quanto sarà lunga, faticosa e dolorosa la riabilitazione? Quando mi trasferiranno? E come? Quanto dovrò restare in ospedale?
Così tante domande che non ho il coraggio di affrontarle, le posticipo, mi dico che ci penserò dopo, le gestirò una alla volta, man mano che diventeranno indifferibili.
È un esercizio di disciplina mentale impegnativo, non sempre mi riesce, ma ci provo.
Intanto ci sono ancora un po' di ore da far passare, alcune più lievi di altre perché anche domani, come oggi, ci sarà Renato a riempirle di luce.
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mercoledì 20 marzo 2019
Cronache dal sarcofago - Cinque settimane
Sono passate cinque settimane dall'intervento.
Trentacinque giorni difficili, interminabili, troppo spesso e troppo a lungo dolorosi. Ho perso il conto di quante volte sembrava che il problema intestinale fosse in via di risoluzione per poi ritrovarmi di nuovo a piangere in preda a spasmi e contrazioni insopportabili, a implorare l'antidolorifico che qualche volta ha tardato davvero troppo ad arrivare, a rassegnarmi con mani tremanti a mandare giù quelle gocce di cui odio sentirmi schiava, ma di cui non ho potuto fare a meno.
Ci stavo pensando ieri sera: sono quasi tre settimane che non leggo nemmeno una riga sul mio e-Reader. Questo mi dà la misura del disagio che ha pervaso questo periodo.
Forse adesso ci siamo, la combinazione di diversi farmaci ieri ha dato i primi risultati, spero che il peggio sia passato.
Cerco di guardare avanti, ai pochi giorni che mancano ormai alla scadenza. Mi hanno detto che la TAC andava bene, ma il chirurgo non ha voluto sbilanciarsi sulla data di rimozione del gesso.
Avanti, un'ora per volta, apprezzando quelle in cui sto bene, piangendo nelle altre, aspettando che passino, tutte.
Trentacinque giorni difficili, interminabili, troppo spesso e troppo a lungo dolorosi. Ho perso il conto di quante volte sembrava che il problema intestinale fosse in via di risoluzione per poi ritrovarmi di nuovo a piangere in preda a spasmi e contrazioni insopportabili, a implorare l'antidolorifico che qualche volta ha tardato davvero troppo ad arrivare, a rassegnarmi con mani tremanti a mandare giù quelle gocce di cui odio sentirmi schiava, ma di cui non ho potuto fare a meno.
Ci stavo pensando ieri sera: sono quasi tre settimane che non leggo nemmeno una riga sul mio e-Reader. Questo mi dà la misura del disagio che ha pervaso questo periodo.
Forse adesso ci siamo, la combinazione di diversi farmaci ieri ha dato i primi risultati, spero che il peggio sia passato.
Cerco di guardare avanti, ai pochi giorni che mancano ormai alla scadenza. Mi hanno detto che la TAC andava bene, ma il chirurgo non ha voluto sbilanciarsi sulla data di rimozione del gesso.
Avanti, un'ora per volta, apprezzando quelle in cui sto bene, piangendo nelle altre, aspettando che passino, tutte.
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venerdì 15 marzo 2019
Cronache dal sarcofago - La mia nuvola blu
Si chiama Nimbus
Ah, no, non è questa, ma questo:
Il famoso materasso ad aria antidecubito che nei primi giorni di degenza in reparto aveva creato tanti problemi.
Non era colpa sua.
Lui in realtà funziona benissimo, davvero, e sono convinta che se riuscirò ad arrivare alla fine di questa esperienza nel sarcofago senza piaghe da decubito, sarà merito suo.
Il problema è lo scarso addestramento del personale. Inizialmente avevano invertito il cavo di alimentazione dell'aria. Poi non avevano inserito correttamente un connettore. Non sapevano dell'esistenza della modalità trasporto, per questo quando mi hanno portato a fare la TAC la prima volta si era sgonfiato.
Un po' alla volta ho capito come gestirlo, ho dato qualche dritta al personale e ha funzionato a meraviglia.
Oggi, in modalità trasporto, sono scesa per una nuova TAC di controllo: un altro mondo rispetto alla precedente.
Materasso gonfio, spostamenti più semplici e meno dolorosi, anche perché ora riesco a dare un valido contributo appendendomi al triangolo di sollevamento e spingendo con la gamba sinistra.
Grazie a qualche accorgimento basato sulla precedente esperienza, la permanenza sul lettino della TAC è stata scomoda, ma non drammatica come l'altra volta.
Ora attendiamo i risultati, da cui dipende prima di tutto la funzionalità futura della mia gamba, ma anche la possibilità di un bonus per la rimozione del gesso, che in caso di esito positivo potrebbe essere anticipato di qualche giorno.
Nel frattempo mi barcameno con i problemi intestinali, ora molto più sopportabili, ma a tratti ancora fastidiosi.
La maggior parte del tempo però sto abbastanza bene e le mie giornate scorrono per lo più nel morbido abbraccio della mia nuvola blu, a parte qualche ora, generalmente tre al giorno, sulla sedia reclinabile.
Il tempo si distribuisce tra le attività ospedaliere (controllo parametri distribuzione farmaci, igiene... ), il lavoro con i fisioterapisti (oggi ho "camminato" per circa tre metri!), un po' di TV, qualche pisolino, scambio di messaggi con le amiche, vagabondaggi su Facebook, giochi e tante coccole della zia.
E un po' per volta, passa.
Ah, no, non è questa, ma questo:
Il famoso materasso ad aria antidecubito che nei primi giorni di degenza in reparto aveva creato tanti problemi.
Non era colpa sua.
Lui in realtà funziona benissimo, davvero, e sono convinta che se riuscirò ad arrivare alla fine di questa esperienza nel sarcofago senza piaghe da decubito, sarà merito suo.
Il problema è lo scarso addestramento del personale. Inizialmente avevano invertito il cavo di alimentazione dell'aria. Poi non avevano inserito correttamente un connettore. Non sapevano dell'esistenza della modalità trasporto, per questo quando mi hanno portato a fare la TAC la prima volta si era sgonfiato.
Un po' alla volta ho capito come gestirlo, ho dato qualche dritta al personale e ha funzionato a meraviglia.
Oggi, in modalità trasporto, sono scesa per una nuova TAC di controllo: un altro mondo rispetto alla precedente.
Materasso gonfio, spostamenti più semplici e meno dolorosi, anche perché ora riesco a dare un valido contributo appendendomi al triangolo di sollevamento e spingendo con la gamba sinistra.
Grazie a qualche accorgimento basato sulla precedente esperienza, la permanenza sul lettino della TAC è stata scomoda, ma non drammatica come l'altra volta.
Ora attendiamo i risultati, da cui dipende prima di tutto la funzionalità futura della mia gamba, ma anche la possibilità di un bonus per la rimozione del gesso, che in caso di esito positivo potrebbe essere anticipato di qualche giorno.
Nel frattempo mi barcameno con i problemi intestinali, ora molto più sopportabili, ma a tratti ancora fastidiosi.
La maggior parte del tempo però sto abbastanza bene e le mie giornate scorrono per lo più nel morbido abbraccio della mia nuvola blu, a parte qualche ora, generalmente tre al giorno, sulla sedia reclinabile.
Il tempo si distribuisce tra le attività ospedaliere (controllo parametri distribuzione farmaci, igiene... ), il lavoro con i fisioterapisti (oggi ho "camminato" per circa tre metri!), un po' di TV, qualche pisolino, scambio di messaggi con le amiche, vagabondaggi su Facebook, giochi e tante coccole della zia.
E un po' per volta, passa.
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mercoledì 13 marzo 2019
Cronache dal sarcofago - Countdown
Due settimane alla rimozione del gesso.
Fino ad ora mi sono sempre limitata a quantificare in modo approssimativo il tempo residuo nel sarcofago, perché misurato in giorni era troppo per riuscire ad affrontarlo. Adesso posso cominciare a contare e a lanciare qualche pensiero sul "dopo", che consisterà in un'altra settimana di degenza qui e poi il trasferimento in un ospedale riabilitativo più vicino a casa, per cui sono già state avviate le pratiche di richiesta.
Prima però ci sono ancora questi quattordici giorni da affrontare uno alla volta, un'ora alla volta.
Non sono stati gratis, quelli già passati. Li ho pagati uno per uno senza sconti, con dolori a volte atroci, resi più sopportabili solo da massicce dosi di analgesico a cui mi sono dovuta rassegnare, anzi, che ho dovuto richiedere e spesso sollecito un paio d'ore prima della distribuzione prevista, perché la copertura non mi basta per dodici ore. Ma non c'è alternativa.
La parte ortopedica va bene, benissimo. In piedi ogni mattina, da un paio di giorni riesco anche a fare qualche passo (= strisciare penosamente i piedi di pochi centimetri appesa al deambulatore) per il trasferimento dal letto alla sedia e viceversa.
Quello che mi massacra è l'intestino, devastato da spasmi dolorosissimi a intervalli talvolta solo di pochi minuti.
Quando il dolore è tanto e per tanto tempo, tutte le fragilità vengono a galla. Lacrime di puro dolore, ma anche di stanchezza, frustrazione, umiliazione. Lacrime da accettare, da lasciare scorrere e poi asciugare e andare avanti un'altra ora, un altro giorno.
Sollievo per i momenti senza dolore, in cui il tempo scorre più lieve.
Nostalgia di casa.
Gratitudine infinita per chi si prende cura di me con amore.
Incertezza per il futuro.
Speranza per un domani più luminoso.
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venerdì 8 marzo 2019
Cronache dal sarcofago - Bene
Nel sarcofago, "bene" ha un significato diverso e non è mai scontato.
Bene è mezz'ora senza dolori di nessun tipo. A volte mi accontenterei anche di un quarto d'ora.
Bene è una posizione "comoda" che rimane sopportabile per più di mezz'ora.
Bene è una movimentazione senza tanto dolore.
Bene sono i capelli puliti e la pelle lavata e cremata.
Bene è riuscire a stare in piedi almeno qualche secondo senza sostegno. Oggi ci sono riuscita.
Bene è l'infermiera che alla sera si ricorda di chiudere la porta, così i rumori del corridoio non mi disturbano.
Bene sarebbe l'intestino che funziona con una certa regolarità e senza dolori massacranti. Mai successo, ancora.
Bene sarebbe avere almeno un minimo di appetito. Zero assoluto.
Bene è una gita nei corridoi con la sedia a rotelle reclinabile, per ricordare che fuori da quella porta c'è un mondo. E che prima o poi ci tornerò.
Bene è mezz'ora senza dolori di nessun tipo. A volte mi accontenterei anche di un quarto d'ora.
Bene è una posizione "comoda" che rimane sopportabile per più di mezz'ora.
Bene è una movimentazione senza tanto dolore.
Bene sono i capelli puliti e la pelle lavata e cremata.
Bene è riuscire a stare in piedi almeno qualche secondo senza sostegno. Oggi ci sono riuscita.
Bene è l'infermiera che alla sera si ricorda di chiudere la porta, così i rumori del corridoio non mi disturbano.
Bene sarebbe l'intestino che funziona con una certa regolarità e senza dolori massacranti. Mai successo, ancora.
Bene sarebbe avere almeno un minimo di appetito. Zero assoluto.
Bene è una gita nei corridoi con la sedia a rotelle reclinabile, per ricordare che fuori da quella porta c'è un mondo. E che prima o poi ci tornerò.
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martedì 5 marzo 2019
Cronache dal sarcofago - Fate una cosa per me
Non mi dilungo sugli ultimi quattro giorni. Vi basti sapere che sono stati difficili e dolorosi. Spero che i prossimi vadano meglio.
Vorrei però invitare tutti voi a fare una cosa per me.
Durante l'intervento e nei due giorni successivi mi sono stati trasfusi più di otto litri di sangue e un paio di sacche di plasma.
Quindi, se non avete controindicazioni mediche, andate a fare una donazione per ricostituire queste scorte.
È come se fosse per me.
Grazie.
Vorrei però invitare tutti voi a fare una cosa per me.
Durante l'intervento e nei due giorni successivi mi sono stati trasfusi più di otto litri di sangue e un paio di sacche di plasma.
Quindi, se non avete controindicazioni mediche, andate a fare una donazione per ricostituire queste scorte.
È come se fosse per me.
Grazie.
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sabato 2 marzo 2019
Cronache dal sarcofago - Basta, però!
Che io sarei anche stufa di stare male.
Che dodici ore di nausea mi schiantano.
Che non pretendo giornate fantastiche, ma almeno non di merda come questa.
Facciamo basta?
Che dodici ore di nausea mi schiantano.
Che non pretendo giornate fantastiche, ma almeno non di merda come questa.
Facciamo basta?
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