Alla fine di giugno, in occasione di una cena con alcuni dei
miei numerosi zii e cugini, si parlava di vacanze estive.
Noi, niente. Renato sarebbe stato in ferie soltanto la
settimana di Ferragosto e io il 14 avevo la TAC. Se anche avessimo trovato un hotel
disposto a darci una camera solo per 3 o 4 notti nella settimana più gettonata dell’anno,
avremmo dovuto affrontare una spesa proibitiva per ritrovarci in mezzo a una
folla di turisti. No, grazie.
Ma a quel punto è arrivato un regalo del tutto inaspettato.
Uno dei miei cugini, Carlo, durante l’inverno fa l’istruttore
di snowboard a San Candido, in Alto Adige, mentre d’estate gestisce una scuola
di windsurf a Bibione. La sua compagna, Erika, ci ha offerto la possibilità di
utilizzare il loro appartamento di San Candido, che durante l’estate rimane
vuoto: un’occasione da non perdere!
La prospettiva di qualche giorno nel mio amatissimo Alto
Adige mi ha coinvolto al punto da oscurare quasi completamente il pensiero
della TAC imminente. Nei giorni scorsi sono stata concentrata esclusivamente
sul lavoro e sui preparativi per questa mini vacanza, con le mie solite liste:
cose da fare e da vedere, cose da portare, posti in cui mangiare.
La nostra gentilissima vicina di casa anche questa volta si
è resa disponibile per occuparsi dei gatti, che abbiamo cercato di tenere all’oscuro
dei nostri progetti di partenza più a lungo possibile. Gandalf, in particolare,
si agita sempre molto quando capisce che stiamo per uscire – e di solito lo
capisce prima che iniziamo a prepararci: lui sa! – quindi, per non farlo
preoccupare, abbiamo rinviato la preparazione delle valigie all’ultimo momento.
Alla fine, a preoccuparsi è stato Aki. Gandalf dormiva pacificamente sul
tettuccio della mia auto, in garage, e non si è accorto dei preparativi, mentre
Aki è arrivato in camera proprio mentre riempivo la valigia e ha iniziato ad
aggirarsi sul letto, agitatissimo. Povero piccolo!
Alla fine anche Gandalf ha capito cosa stava succedendo e sono
rimasti tutti e due sul vialetto di casa a guardarci partire, sconsolati.
Avevo messo a tal punto in secondo piano l’idea della TAC che
ieri mattina, impegnata a riempire la valigia, avevo dimenticato di prendere
uno dei farmaci necessari per la preparazione al mezzo di contrasto e me ne
sono resa conto soltanto quando sono arrivata all’accettazione della radiologia
e ho consegnato il modulo di consenso in cui era indicato che avevo fatto la
premedicazione. Mortificata, ho segnalato il problema all’infermiera che inserisce
le agocannule per l’infusione del mezzo di contrasto, una persona gentilissima,
che ormai mi conosce da anni e non manca mai di chiedermi come stanno i miei
gatti. Poco male: è un farmaco che va preso poco prima dell’esame, quindi me l’ha
dato lei e abbiamo ritardato di circa un’ora la TAC perché avesse il tempo di
fare effetto.
Dopo la TAC, erano ormai passate le 14, siamo scesi a
mangiare un panino al bar dell’ospedale, poi di nuovo in radiologia per
togliere l’ago, che mi fanno tenere sempre per almeno mezz’ora dopo l’esame per
via dell’allergia al mezzo di contrasto, che potrebbe provocare reazioni
ritardate, poi finalmente siamo partiti.
Non avevamo fretta, così abbiamo scelto di evitare l’autostrada
e attraversare la Valcellina: Montereale, Barcis, Cimolais, Erto e Casso e infine
la diga del Vajont, un monumento all’arroganza e all’avidità, che si affaccia
su Longarone, la nuova Longarone, perché la vecchia è stata spazzata via il 9
ottobre di 55 anni fa da quell’ondata d’acqua che in pochi minuti ha spento quasi
2000 vite.
Dopo Longarone il paesaggio cambia: le valli si fanno più
larghe e luminose, la roccia grigia e ripida delle Dolomiti friulane lascia
spazio a quella più chiara del Cadore, che il sole accende di riflessi rosa,
trasformando le cime frastagliate in delicati merletti.
Avevo pensato di attraversare Cortina e da lì il passo di
Carbonin-Schluderbach, il cui doppio nome già racconta il passaggio dal Veneto
all’Alto Adige, per arrivare a Dobbiaco, invece Google Maps suggeriva come
strada più veloce quella che attraversa Pieve di Cadore e poi il Comelico. Ci
siamo fidati… e non è stata una buona idea. Anziché un solo passo, ne abbiamo
dovuti superare due, Sant’Antonio e Monte Croce Comelico, con abbondanza di
tornanti e tratti ripidi che mi mettono a disagio (ne avevo parlato anni fa
qui). La valorosa Yaris di Renato ha superato brillantemente anche questa
prova, ma abbiamo deciso che la prossima volta che affronteremo la montagna,
sarà con un’auto ibrida e con il cambio automatico.
Arrivati a San Candido, Google Maps ha di nuovo dato i
numeri, facendoci girare in tondo fino a che ho preso in mano la situazione e
ho individuato da sola la strada più breve per la nostra destinazione, che
abbiamo finalmente raggiunto verso le 17:30.
L’appartamento di Erika e Carlo è delizioso, con un
meraviglioso solarium, da cui sto scrivendo in questo momento, che si affaccia
sui boschi e sulla cima del monte Elmo.
Dopo esserci sistemati e riposati un po’, abbiamo cenato in
un ristorante poco distante, una struttura in legno molto caratteristica, in
perfetto stile tirolese. Abbiamo scelto un antipasto - carpaccio di cervo con
burro ai mirtilli e rucola - un primo – tris di canederli - e un secondo –
rosticciata tirolese - oltre alle insalate dal buffet e siamo riusciti a
malapena a finire tutto, declinando la proposta di dolci, che pure sembravano
molto invitanti. Normale, direte voi: antipasto, primo e secondo sono più che
abbastanza per un pasto! Già, solo che noi abbiamo preso UN antipasto, UN primo
e UN secondo. In due. Le porzioni erano decisamente generose, oltre che buone.
Ci torneremo anche stasera per assaggiare qualche altra prelibatezza locale.
Volevo evitare di mettermi a letto con la cena ancora in
fondo alla gola, ma non ho resistito a lungo: alle 22:30 avevo già gli occhi a
mezz’asta e ho ceduto a un lungo sonno, favorito dalla temperatura finalmente fresca,
dopo settimane di afa di pianura.
Al risveglio, questa mattina, la cappa grigia di pioggia che
ci aveva accompagnato per tutto il pomeriggio di ieri era sparita e nel cielo
si inseguivano soffici nuvole bianche con cui il sole ha giocato a nascondino
per tutta la giornata, regalandoci una temperatura gradevolissima.
Ci siamo alzati tardi, con tutta la calma che si addice alle
vacanze, e siamo andati a fare colazione in centro, ammirando il curioso
affollamento di chiese nel centro di San Candido, dove a pochi metri di
distanza si trovano la chiesa barocca di San Michele e la splendida architettura
romanica della Collegiata.
Abbiamo incontrato per un aperitivo Claudia, una cara amica che
vive qui e che non vedevo da tempo, poi, in auto, ci siamo diretti verso il
lago di Braies. La strada è ad accesso limitato, ma grazie al mio contrassegno di
disabile abbiamo potuto arrivare fino ai parcheggi più vicini al lago. Lungo il
tragitto abbiamo raccolto una vulcanica signora francese che faceva l’autostop,
straordinariamente allegra e loquace: in pochi chilometri ci ha raccontato
mille cose, un po’ in inglese e un po’ in italiano, per poi salutarci con
tantissimi ringraziamenti e abbracci.
Il lago di Braies è un gioiello, uno smeraldo incastonato
fra le Dolomiti.
C’era moltissima gente, ma il giorno di Ferragosto non ci si
poteva aspettare niente di diverso. Un turismo comunque educato e rispettoso
dell’ambiente e delle altre persone. E tanti, tantissimi cani. Cani grandi e
piccoli, cuccioli giocherelloni e anziani dai movimenti lenti, vivaci terrier, husky
eleganti, allegri barboncini, pincher minuscoli… Tutti felici di essere insieme
ai loro padroni. Un beagle, forse, più felice di tutti e sicuramente molto
amato. L’abbiamo incrociato con la sua famiglia umana sul sentiero che gira
intorno al lago, trotterellava verso di noi, con le zampe anteriori allegramente
in movimento e le posteriori, inerti, assicurate a un carrellino con ruote che
gli permetteva di muoversi nonostante la sua menomazione. Uno spettacolo
bellissimo.
Mi sarebbe piaciuto fare il giro del lago, una passeggiata
semplicissima di circa 2 chilometri e mezzo, ma mi sono presto resa conto che sarebbe
andata oltre le mie attuali possibilità, sia per la distanza, sia per la
presenza di un paio di passaggi in pendenza, così ci siamo limitati a costeggiare
la riva per un breve tratto, prima in una direzione e poi nell’altra, molto
lentamente, con il supporto dei bastoncini da nordic walking.
Mi dispiace costringere Renato a questa andatura lentissima a
cui io stessa fatico ad adattarmi. Io che ho sempre camminato con falcate lunghe
e decise, ora sono costretta a muovermi poco e piano, a passettini piccoli piccoli,
per evitare i crampi alla coscia e le fitte all’inguine che partono subito se solo
mi distraggo un attimo e allungo appena appena l’andatura. Mi pesa, ma questo è
il meglio che sono in grado di fare ora. Alle prime avvisaglie di fastidio siamo
tornati alla macchina: non volevo rischiare di rovinarmi il resto della
giornata, o addirittura della vacanza, per aver esagerato. Forse domani
riuscirò a fare qualche passo in più, oppure no, non importa.
Sulla via del ritorno, ci siamo fermati in pasticceria per due
fette di torta, un tè per me e un caffè per Renato. Una merenda in anticipo o
un pranzo in ritardo, come preferite: i nostri pasti, in vacanza, raramente
seguono gli orari e le strutture canoniche, ma è proprio la libertà dagli
schemi consueti che rende tale una vacanza.
Ci godiamo questa occasione di relax, questo regalo inatteso
e tanto gradito, che dimostra come i doni più grandi non siano necessariamente
i più costosi.
PS: il post è lungo, sapete che amo raccontare i miei viaggi e in vacanza ho tutto il tempo di farlo.
il post à lungo, ma tu sei felice, e leggerlo fa felice anche me :-) e anche salivare pensando al trio di canederli e ai dolci (ma tu sai che mia mamma é di Bolzano e che io in Alto Adige ho passato meta delle mie estati fino ai 20 anni? hai risvegliato tanti bei ricordi)
RispondiEliminaBuona mini-vacanza inaspettata (intanto io incrocio quanto posso per la TAC)
Michela e il gattume svizzero