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domenica 28 agosto 2016

Diario felino - 3

Caro diario,
Da qualche settimana, lei ha cambiato abitudini: esce un quarto d'ora prima del solito al mattino e rientra più tardi nel pomeriggio. Non pranza più nella mensa aziendale, ma a casa, quando torna, e non va più a lavorare di pomeriggio. Con questi nuovi orari riesce a fare la spesa più spesso: due o tre volte alla settimana scarica dalla macchina un sacco di borse piene di roba. C'è il latte fresco, che ogni tanto assaggio volentieri anch'io, un po' di carne o pesce, i cereali per la colazione (è contentissima: finalmente ha trovato i corn flakes senza zucchero), qualche volta un pezzo di formaggio oppure delle uova, ma soprattutto tantissima frutta e verdura, che non capisco proprio cosa ci trovi di buono in quella roba, che divora con lo stesso entusiasmo di mio fratello con i suoi topi. Io preferisco catturare lucertole, locuste e cavallette, giocarci un po' e poi lasciarle in giro per casa. Un paio di settimane fa ho messo una cavalletta nella doccia e lei è stata così contenta che quando ha visto la sagoma indistinta che si muoveva - era senza occhiali e non capiva bene cosa fosse - è uscita di corsa dalla doccia, chiamando a gran voce Renato perché venisse subito a vederla anche lui!

Va sempre in macchina da sola. Quasi tutte le mattine salgo con lei per accompagnarla, ma dopo essere uscita dal cancello, si ferma e mi fa scendere, anche se io le provo tutte per convincerla a portarmi con lei: scappo da una parte all'altra dell'abitacolo, costringendola ad aprire anche tre o quattro portiere per raggiungermi, mi spanciotto sulla cappelliera o dentro al bagagliaio facendo gli occhioni dolci, mi appendo con le unghie alla tappezzeria... Niente da fare. Alla fine riesce sempre a tirarmi fuori, mi fa un po' di coccole, promette di tornare presto e mi lascia triste, solo e abbandonato sull'aiola davanti a casa.

Alla sera, racconta gli eventi della giornata. Un aereo della base americana di Aviano che durante l'atterraggio è passato pochi metri sopra la sua auto, le telefonate degli amici durante gli spostamenti in auto, gli avvistamenti della nutria bianca sulla rotonda dell'autostrada, i tecnici di radioterapia che vanno o tornano dalle ferie, una bolla d'aria nel tubetto di crema che le aveva fatto credere di averne ancora per tre giorni e invece era praticamente finita.
Alla sera va a letto un po' prima del solito, perché ha bisogno di tutte le sue ore di sonno. Io, naturalmente, dormo con lei.

Qualche giorno fa sembrava particolarmente di buon umore. Rimirava con entusiasmo una scatola di latta nuova nuova, piena di bastoncini colorati, e un libro.


L'altro ieri si è seduta al tavolo della cucina, ha tolto gli occhiali perché ormai da vicino le danno fastidio e con il naso quasi sul foglio, come i bambini che fanno i compiti, ha cominciato a usare quei bastoncini colorati sul libro. L'ho lasciata fare e, poco per volta, il foglio si è riempito di colori.

È stata abbastanza soddisfatta di quel primo tentativo, che le serviva soprattutto per provare i nuovi colori e capire come si possono usare.
Oggi si è rimessa al lavoro, ma questa volta sono intervenuto anch'io. Avevo letto bene la copertina del libro, Cat therapy, quindi la mia presenza era indispensabile. Voglio dire: vi pare possibile fare cat therapy senza un gatto?

Dopo parecchi "No!", "Fermo!", "Lascia stare!" e "Non toccare!", finalmente è riuscita a finire il suo capolavoro. Secondo me, domani ne fa un altro.

          Gandalf

sabato 27 agosto 2016

Conversazioni domestiche - 12

Pulizie del sabato mattina in corso.
Renato spolvera il corrimano della scala, ascoltando musica in cuffia.
Io gli arrivo alle spalle,  mentre salgo per pulire il bagno, e gli do un pizzicotto sul sedere.
Lui, che non mi aveva sentito arrivare, sobbalza e si volta sorpreso.
"Ecco il mio amore!", esclama a voce altissima, evidentemente influenzata dal volume della musica nelle orecchie.
"Non serve che urli", osservo io.
"Ma devono saperlo tutti!", ribatte pronto lui.



martedì 23 agosto 2016

Il cancro nell'angolo

Questo cancro sta avendo un impatto abbastanza marginale sulla mia vita.
Certo, ogni giorno devo andare in ospedale per la radioterapia, spalmare la crema protettiva mattina e sera, prendere i fermenti lattici. Ma per la maggior parte del tempo faccio altro e, soprattutto, penso ad altro. Lavoro, famiglia, amici, libri, casa, teatro, cucina... Ordinaria quotidianità.
Qualche volta intraprendo interessanti conversazioni con me stessa.
  "Ehi, guarda che hai il cancro!"
  "Sì, e allora?"
  "È una malattia potenzialmente letale..."
  "E quindi?"
  "Non ti comporti da malata."
  "Ho di meglio da fare."

Nove anni fa era diverso.
Sono una persona straordinariamente egocentrica; dal mio punto di vista, al centro dell'universo ci sono sempre io. Solo che, nove anni fa, quel centro ero io in qualità di malata di cancro.
Sicuramente le terapie invasive e fortemente debilitanti di quel periodo favorivano la mia identificazione e autoidentificazione come paziente oncologica (argomento che approfondirò in un altro post), ma credo che non fosse soltanto quello.
Il cancro non era solo dentro di me, era anche tutto intorno a me: rubava il mio tempo, si insinuava nei miei pensieri, guidava le mie scelte. Per molti mesi, il cancro è diventato la barriera tra me e tutto il resto, un filtro attraverso cui guardavo e percepivo, in modo distorto, ciò che mi circondava.

Anche adesso, dal mio punto di vista, io sono il centro dell'universo. Ma sono io come persona, non come malata. Quindi vivo prima di tutto come persona e cerco di dedicare il mio tempo e i miei pensieri a ciò che mi piace, che mi interessa, che mi fa stare meglio.
Non fingo di ignorare la malattia e nemmeno evito l'argomento. Ne scrivo sul blog, ne parlo e qualche volta mi diverto a tirarlo fuori a bruciapelo, magari solo per il gusto di vedere un lampo di shock sulla faccia di chi mi sta di fronte. Abbiate pazienza: da qualche parte, nel mio DNA da ingegnere, ci sono i geni della Maria e ogni tanto anche in me fa capolino quella sua smania di essere a tutti i costi diversa, originale, di sorprendere, finanche di scandalizzare.
Ma lo faccio per scelta: do al cancro un po' di spazio, poi torno a cacciarlo nell'angolo e continuo a vivere.

venerdì 19 agosto 2016

Call me!

Le sedute di radioterapia proseguono in una tranquilla, gradevole routine in cui finora gli eventi più rilevanti sono stati un doppio riavvio dell'apparecchiatura della tomoterapia prima di un trattamento, una tortora che ha cercato di suicidarsi sotto le ruote della mia auto, ma all'ultimo momento ha cambiato idea ed è volata via e una femmina di fagiano che ha attraversato goffamente la strada.

Fino ad ora non si sono manifestati effetti collaterali. Qualche giorno fa sembrava che ci fosse un risveglio delle formiche del prosciutto, ma si è trattato di episodi isolati, che non hanno avuto seguito; ho comunque ritenuto opportuno segnalarlo alla visita settimanale. 
Il mio oncologo è in ferie, così mi ha vista un suo collega, lo stesso che in caso di assenza lo sostituiva con me nove anni fa. Quando è venuto a chiamarmi in sala d'attesa, mi ha guardata e ha detto "NO!". Poi mi ha presa per mano e mi ha guidato fino all'ambulatorio, ripetendo "NO!". Mi ha fatto sedere, sempre tenendomi per mano e, fissandomi negli occhi, ha detto ancora "No. Non volevo rivederti qui". 
"Si figuri io..."

Le sedute di radioterapia durano circa un quarto d'ora, per il viaggio di andata e ritorno invece serve poco meno di un'ora e mezza.
Ho pensato di utilizzare questo tempo per parlare con gli amici, soprattutto quelli che abitano lontano, con i quali ci sono poche occasioni di incontro. 
L'ho fatto qualche volta nell'ultimo anno, soprattutto con le amiche blogger, quando tornavo dal lavoro. Ieri ho chiamato ZiaCris, perché sapevo che era appena rientrata dalle ferie.
Ma gli altri magari sono al lavoro. O a pranzo. O a riposare. Non vorrei disturbare.
E allora vi giro la decisione: se avete il mio numero, e soprattutto se avete tempo e voglia, chiamatemi voi.
Per le prossime due settimane sarò in auto tutti i giorni, da lunedì a venerdì, indicativamente dalle 12:25 alle 13:05 e dalle 14 alle 14:40. Il martedì rientro più tardi perché dopo la terapia ho la visita con l'oncologo.

giovedì 11 agosto 2016

Precauzioni

Prime due sedute di radioterapia superate.


Ieri Renato ha voluto prendere un giorno di permesso per accompagnarmi. Gli avevo detto che non ce n'era bisogno, potevo andare da sola, ma capisco e apprezzo la sua volontà di starmi vicino, di esserci nei momenti importanti di questo percorso.

Era previsto prima di tutto il colloquio con l'infermiera che sarà il mio riferimento per questo ciclo di terapie: è stato un piacere ritrovare gli occhi azzurri e il sorriso di Luana, uno dei miei angeli custodi di nove anni fa.
Luana ha compilato la mia cartella infermieristica e mi ha consegnato la crema da applicare sulla zona irradiata e i fermenti lattici. Si tratta di precauzioni rispetto ai possibili effetti del trattamento radioterapico, che potrebbe provocare irritazione cutanea e indebolimento della flora batterica intestinale, ma i tecnici della radioterapia, dopo aver analizzato la pianificazione delle dosi e dei volumi da irradiare, ritengono che non mi comporterà particolari problemi.

Facce nuove in sala infusioni, ma stessa professionalità e cortesia di sempre.
Mi hanno prelevato parecchie provette di sangue: alcune servono per gli esami di inizio terapia, altre finiranno nella Biobanca, un bellissimo progetto del CRO di Aviano che raccoglie campioni biologici, in particolare da pazienti con patologie rare, che vengono conservati e tenuti a disposizione per futuri progetti di ricerca.

La Biobanca è uno strumento straordinario per la ricerca sui tumori rari come il mio. In generale, il risultato di una ricerca è tanto più affidabile quanto più è ricco il campione esaminato. Analizzando numerosi casi è possibile individuare con maggiore precisione gli elementi comuni e ottenere dati statistici più completi e attendibili. I tumori rari sono - appunto - rari, poco comuni; anche nelle strutture oncologiche specializzate possono arrivare poche decine di casi all'anno, a volte anche meno. Un ricercatore che vuole avviare uno studio su un tumore raro può avere bisogno di diversi anni per radunare un campione statisticamente significativo di pazienti e questa mancanza di dati è una delle maggiori difficoltà per la ricerca sulle malattie rare.
La Biobanca effettua una raccolta di campioni massiva, a prescindere dal fatto che ci siano o meno ricerche in corso su una determinata patologia. Questi campioni rimangono a disposizione dei ricercatori, in modo che all'avvio di uno studio sia possibile lavorare subito su una quantità di dati significativa. A ogni paziente viene proposto di partecipare a questo progetto, autorizzando la conservazione di campioni di sangue e di eventuali altri tessuti di cui sia previsto il prelievo nell'ambito del programma di trattamento. Il disagio è davvero minimo, solo qualche provetta di sangue prelevato in più, ma l'aiuto che si può dare alla ricerca è davvero importante.

Dopo il colloquio infermieristico e il prelievo, è arrivato il momento della terapia.
Il macchinario somiglia a quello per la TAC, ma con il tunnel più lungo. Nella parte superiore, qualcuno ha attaccato il disegno di un sole, lo stesso che aveva trovato Wolkerina quattro anni fa. Probabilmente è stato realizzato da uno dei piccoli pazienti che sono passati da quel reparto, dato che la precisione della tomoterapia la rende particolarmente adatta all'uso pediatrico. Spero che ora quel bambino sia un ragazzo, sano e felice, e vorrei che sapesse che il suo sole regala un sorriso a tanti pazienti che entrano in quella stanza.


Qualche minuto con i tecnici per riprodurre con la massima precisione possibile la posizione definita durante la seduta di centraggio e allineare correttamente i tatuaggi, in modo che le radiazioni arrivino esattamente dove serve, poi due giri nel tunnel: uno per la TAC preliminare di controllo della posizione, e il secondo, più lungo, per il trattamento vero e proprio.
La posizione si è confermata piuttosto scomoda da mantenere, con la gamba flessa di lato che "tira" sull'inguine, ma già in fase di pianificazione avevamo verificato che è l'unica possibile. Domani con i tecnici vediamo se è possibile renderla un po' più confortevole posizionando un piccolo rialzo per migliorare l'appoggio della coscia.

Ho ottenuto un orario di trattamento compatibile con il lavoro, anche se non potrò permettermi il minimo ritardo di uscita dall'ufficio per arrivare in tempo. Per prudenza, ho preferito anticipare la sveglia mattutina di dieci minuti, per avere la possibilità di uscire un po' prima delle 12:30 rispettando comunque le quattro ore di lavoro previste.
Ho anche impostato una sveglia alle 12:20, un'altra precauzione per ricordarmi che devo andare a fare la radioterapia. E se qualcuno si sta chiedendo come potrei dimenticare una cosa così importante, sappiate non più tardi di ieri ho detto a una persona che oggi sarei stata a casa tutto il giorno. Mi sono subito corretta, ma preferisco non ignorare questo campanello d'allarme.
A proposito di campanelli ignorati, questa volta non mi sono fatta fregare dalle delicate suonerie del cellulare e me ne sono scelta una ad hoc, che sicuramente non potrò ignorare.


martedì 9 agosto 2016

Sentirsi bene

Ci siamo quasi, domani si parte con la radioterapia.
Chissà se la routine quotidiana dei trattamenti riuscirà a farmi sentire malata. O forse gli effetti collaterali, se saranno rilevanti. Ma anche no, eh!
Per ora le uniche cose che ogni tanto mi ricordano che ho il cancro sono le fitte occasionali all'inguine e qualche fastidio al gluteo. Ci metterei la firma per sentirmi sempre così bene.

Già: in questo periodo mi sento bene.
Non sto bene, che sarebbe splendido ma impossibile, visto che ho una malattia potenzialmente letale. Ma mi sento bene, che forse è ancora meglio.
Ci ho messo un po' a individuare l'origine di questa sensazione di benessere, ma un po' alla volta il puzzle si sta componendo.

Innanzitutto c'è la tranquillità di aver definito la strada da seguire.
L'ho già scritto più volte: sono una pianificatrice compulsiva, la mancanza di un programma mi destabilizza. Il consulto a Milano mi ha rassicurata sull'iter terapeutico e la definizione del calendario di massima per radioterapia e intervento mi ha permesso di organizzarmi.
In ambito lavorativo ho confermato solo gli impegni che ragionevolmente ritengo di poter mantenere e anche questo mi tranquillizza, almeno dal punto di vista professionale. Sull'aspetto economico, stendiamo invece un velo pietoso.
La riduzione degli impegni di lavoro mi lascia più tempo per riposare e per dedicarmi a cose piacevoli come incontrare amici, leggere, giocare, ascoltare musica e seguire le Olimpiadi, nei limiti consentiti dagli orari e dalla vergognosa gestione televisiva della RAI, che mi fa rimpiangere ogni giorno la programmazione che Sky aveva dedicato all'edizione di Londra 2012.

Dal punto di vista fisico riesco a gestire la situazione senza grosse difficoltà semplicemente facendo attenzione a non restare in piedi troppo a lungo. I temporali di fine luglio hanno dato un grosso aiuto portandosi via, insieme all'afa, anche il gonfiore al piede destro, costante nelle giornate torride anche se tenevo la gamba sollevata.
Un enorme contributo positivo è arrivato poi da una novità inattesa.
Una decina di giorni fa ho realizzato che nonostante i fastidi all'inguine e al gluteo, mi sentivo particolarmente energica e sciolta nei movimenti e non capivo perché. Ho impiegato un po' a rendermi conto di cosa fosse cambiato, poi, quasi incredula, ho realizzato che i muscoli addominali non mi facevano più male.
L'intervento di gennaio aveva lasciato un lungo strascico, al punto che temevo che il danno ai tessuti sarebbe stato permanente. Non solo gli starnuti o i colpi di tosse, ma anche alzarsi dal letto o semplicemente sbadigliare erano azioni dolorose. E poi, nel giro di pochi giorni, basta. Le fibre muscolari hanno finalmente completato la ricostruzione e i normali movimenti quotidiani non mi provocano più dolore. Una sensazione che mi era mancata non solo da gennaio, ma anche prima, per tutti i nove anni di convivenza con la palla, quando ogni contrazione dei muscoli addominali si trasformava in dolore.
Con gli addominali finalmente liberi di lavorare, mi sono sentita rinascere. Ho realizzato quanto sia appropriato il nome che Joseph Pilates, inventore dell'omonimo metodo di allenamento, aveva attribuito all'insieme dei muscoli che avvolgono la parte del tronco al di sotto della gabbia toracica: Powerhouse, un termine difficile da tradurre perché significa centrale elettrica, ma anche persona energica e vigorosa oppure centro di potere.


La mia powerhouse è ancora a mezzo servizio, per via del nodulo nel gluteo destro e perché devo ricostruire completamente il tono muscolare perso in nove anni di inattività, però già il fatto di poterci lavorare, con tutte la cautele del caso, è una sensazione fantastica.

Mi godo queste buone giornate, assaporo ogni respiro di questo sentirmi bene, cercando di valorizzare le cose buone e di non dare troppo peso a quelle sgradevoli.
Ho sempre avuto la capacità di apprezzare i momenti positivi, fin da quando ero bambina. Non è qualcosa che ho imparato dal cancro.
Negli ultimi dieci anni mi sono sentita dire tante volte frasi del tipo: "Sicuramente ora, dopo il cancro, apprezzi di più la vita". Parole dette con tono di rimpianto, come se a chi le pronunciava questa capacità fosse negata, come se servisse l'esperienza di una malattia grave per amare la vita. 
Ma siete scemi?
Volete aspettare che vi capiti una disgrazia per iniziare a vivere?
Ognuno di noi ha una sola vita, con difficoltà da superare e momenti felici da assaporare. Una vita da vivere. Con o senza il cancro. Meglio senza.

martedì 2 agosto 2016

A ognuno il suo

Pomeriggio domestico.
Io faccio merenda con un bicchiere di spremuta d'arancia fresca.

Aki fa merenda con un topo fresco.
A ognuno il suo.