L'infermiera mi ha chiesto se avevo fatto il tampone Covid e alla mia conferma ha detto che potevo togliere la mascherina. Meno male: non sapevo quali fossero le regole per i pazienti, ma mi preoccupava l'ipotesi di dover dormire con la FFP2.
Il signor Carlo, oltre alla patologia polmonare per cui era ricoverato, aveva evidenti problemi cognitivi: era disorientato nel tempo e nello spazio e continuava a chiamare il personale per chiedere di andare a casa. Mi ha fatto pena.
È iniziata l'ennesima serie di esami, con misurazione della pressione e saturazione di ossigeno.
Dopo aver attentamente esplorato le vene, l'infermiera ha inserito l'agocannula nel mio braccio sinistro, ma ho capito subito che non era andata benissimo, la vena era sottile e la cannula grattava contro la parete. Ha tentato di prelevare il sangue da lì, ma è riuscita a riempire a malapena una provetta su quattro e ha dovuto bucare un'altra vena, più in alto sullo stesso braccio, per completare il prelievo. L'agocannula però è rimasta lì, fastidiosamente.
Subito dopo mi hanno fatto un elettrocardiogramma, poi è venuto il medico a visitarmi e sforacchiarmi ancora, questa volta il polso destro, per l'emogas analisi.
È arrivata poi un'altra infermiera a porgermi un barattolo per la raccolta delle urine. "
Non se ne parla proprio!", ho risposto "
In un bagno privo di maniglioni e con il WC così basso, per me è impossibile riempire quel barattolo." Imbarazzatissima, mi ha portato la padella (ve lo ricordate, vero, che con la mia
raccolta punti finisco sempre per vincere una padella?).
Giusto in tempo: nel frattempo era arrivato il barelliere dell'ambulanza per portarmi al day hospital pneumologico in cui sarebbe stata eseguita la broncoscopia, in un altro edificio dell'enorme complesso ospedaliero padovano.
Il trasporto è stato un film già visto: caricamento della barella in ambulanza, transito lungo le vie interne, scarico e parcheggio nella stanzetta di transito, in cui avevo passato più di qualche ora durante il ricovero del 2019. Questa volta l'attesa è stata abbastanza breve, una decina di minuti, prima che arrivasse una barelliera del servizio interno per portarmi alla destinazione finale. Ancora attesa in corridoio, circa mezz'ora, prima che arrivasse il mio turno.
Prima di iniziare, il medico mi ha spiegato che avrebbero esplorato ecograficamente la zona dell'addensamento, dall'interno dei bronchi (
broncoscopia EBUS), e avrebbero eseguito le biopsie solo se fossero stati certi di raggiungere l'area da esaminare, altrimenti avrebbero interrotto l'esame.
Quando mi hanno iniettato il primo farmaco, ho avuto la conferma che l'agocannula non era collocata bene: il bruciore è stato fortissimo, ed è andata anche peggio con il sedativo, di cui ho il sospetto che una parte sia finita fuori dalla vena, perché la sedazione è stata decisamente troppo leggera, per i miei gusti: nessun dolore, ma ho percepito distintamente la sensazione del corpo estraneo nelle vie aeree. Ho tossito per tutta la durata dell'esame, e questo mi hanno detto che è normale, ma pur non essendo del tutto cosciente, ho sentito ogni singolo colpo di tosse, è stato come un sogno in cui tossivo perché non riuscivo a respirare. Niente di tragico, ma decisamente sgradevole.
Il boccaglio che mi teneva la bocca aperta ha evitato che mordessi la sonda o mi spaccassi i denti, ma mi sono ritrovata comunque una piccola ferita all'interno del labbro inferiore, a testimonianza della reazione violenta e incontrollabile alla presenza di un tubo nei polmoni.
Quando ho ripreso pienamente conoscenza, il medico ha confermato di essere riuscito a eseguire tutti i prelievi necessari. Meno male: sottoporsi a un esame così fastidioso senza ottenere il risultato voluto sarebbe stato particolarmente spiacevole.
Mi hanno tenuto in osservazione per circa un'ora al day hospital, ma già dopo dieci minuti mi hanno tolto il tubicino dell'ossigeno, perché saturavo perfettamente. Ho tossito un po', inevitabile e necessario per liberare i bronchi, ma senza dolore né tracce di sangue.
Il rientro è stato veloce, nessuna attesa nella stanza di transito, l'ambulanza era già pronta per riportarmi in reparto.
Nel frattempo il mio letto era stato spostato in una stanza femminile, dove al di là del paravento c'era la signora Stella, amorevolmente assistita da un compagno straordinariamente premuroso e visibilmente sollevato quando gli ho confermato che non sarebbe venuto nessuno a trovarmi e lui poteva restare fino alla fine dell'orario di visita (c'è il limite di un visitatore per stanza).
Sono passati i medici a vedere come stavo: nessun problema, solo qualche colpo di tosse e un po' di raucedine.
Dovevo andare in bagno, ma volevo essere sicura di non correre rischi. Ho provato ad alzarmi, mi sentivo stabile e non c'era traccia di capogiri. Per prudenza, uno dei medici mi ha accompagnata. Sono riuscita a fare tutto da sola, utilizzando la mia stessa sedia a rotelle come maniglione di appoggio, ma solo perché sono in discreta forma fisica, un anno fa non ce l'avrei fatta. Diciamo comunque che queste 30 ore di ricovero con bagno inaccessibile mi hanno permesso di recuperare almeno in parte gli allenamenti persi in questi giorni. Non ci credete? Provate a fare squat con una gamba sola...
Intanto piovevano messaggi di amici e parenti che chiedevano notizie e mi invitavano a riposare. Ma scherzate? C'è Italia-Giappone, campionato mondiale di pallavolo femminile!
In camera non c'era la TV, quindi mi sono dovuta accontentare del telefonino e sono riuscita a seguirla lo stesso... più o meno, perché ci sono state numerose interruzioni, in particolare la sostituzione dell'agocannula malefica che continuava a tormentarmi. Ho chiesto di toglierla, ma l'infermiera nicchiava: tutti i pazienti ricoverati devono avere un accesso venoso pronto in caso di emergenza. "Non sono contraria all'agocannula in generale, ma a questa, perché è messa male e se torno a casa con una flebite, mi arrabbio..." Dopo questa velata minaccia, si è arresa.
Quarto sforacchiamento della giornata, questa volta sul braccio destro. Niente da fare, la vena si è nascosta. L'infermiera allora ha chiamato il "mago delle vene", un collega particolarmente abile in queste operazioni, che in effetti ha centrato perfettamente al primo colpo - ma per me era il quinto buco - una vena di diametro adeguato sul braccio sinistro. Vena centrata talmente bene, che poi è dovuta venire la OSS a cambiare il lenzuolo, copiosamente macchiato di sangue.
Sono riuscita a vedere quasi tutto l'ultimo set della partita, che le ragazze terribili hanno vinto con il punteggio di 3-1.
Sono quindi andata a presentarmi alla mia compagna di stanza, al di là del paravento. La prima impressione è stata di una persona terribilmente lamentosa, ma nelle ore successive ho capito che aveva effettivamente alle spalle una storia clinica impegnativa ed era alle prese con la difficile gestione del dolore neurologico. Quando ha scoperto che ho esperienza di questo problema, e potevo quindi capire il suo disagio, ho percepito distintamente il suo sollievo per sentirsi finalmente compresa. Nelle ore che abbiamo passato insieme, pur senza vederci quasi mai per la costante presenza del paravento tra i due letti, mi ha raccontato tantissime cose della sua vita, della famiglia, del compagno, del figlio, della malattia... Diceva che per la prima volta aveva trovato una persona con cui sentiva di potersi aprire completamente. Ha pianto, quando mi hanno dimessa.
Da parte mia, ho cercato di offrire comprensione e incoraggiamento; in particolare, quando sono venute le fisioterapiste per farla alzare per la prima volta dopo mesi, l'ho sollecitata a provarci. È riuscita a mettersi in piedi non una, ma tre volte, raccontandolo poi con grande orgoglio alla successiva visita del compagno.
Oltre alle chiacchiere di Stella, il pomeriggio è stato accompagnato dalle urla del signor Carlo, che continuava a chiamare aiuto a gran voce e a gridare che voleva andare a casa. Solo verso sera si è calmato, probabilmente grazie a qualche sedativo.
Ero completamente a digiuno dalla sera precedente e avevo sospeso anche l'assunzione di acqua dalla mezzanotte per prepararmi alla sedazione, iniziavo ad avere fame e sete. Verso metà pomeriggio ho potuto riprendere a bere, ma ho dovuto aspettare l'ora di cena, le 18, per mettere qualcosa di solido sotto i denti.
Nel menu da "nuovo ingresso" ci sarebbe stata sicuramente la minestrina, non certo entusiasmante ma passabile, e la mela cotta che non mangio ma non importa; rischiavo però di ritrovarmi la temibile combinazione di pollo lesso e carote lesse, due cose che proprio non riesco a mandare giù. È andata bene: stracchino e purè e un pane particolarmente morbido che ho gradito molto.
Poco dopo la cena uno dei medici mi ha avvertito che sarebbero passati a breve a farmi una radiografia di controllo al torace: le biopsie del polmone comportano il rischio di pneumotorace, quindi era opportuno verificare lo stato dei polmoni.
Quando il tecnico di radiologia è entrato, spingendo davanti a sé l'apparecchiatura portatile a raggi X, ho avuto un pensiero folgorante: "Dopo il licenziamento da primo ministro, Boris Johnson ha cambiato lavoro ed è venuto a farmi i raggi!"
Ovviamente non era così, ma la capigliatura biondo-rossiccia del tecnico era straordinariamente simile a quella del noto personaggio politico.
Il resto della serata è trascorso all'insegna della noia, ascoltando gli interminabili racconti della vita della signora Stella. Il paravento era sempre presente, quindi ho potuto giocare ai videogames senza sembrare troppo scortese, intervenendo di tanto in tanto con qualche esclamazione o domanda per farle capire che la stavo comunque ascoltando.
Verso le 23 sono andata in bagno a lavarmi, il lavandino era l'unica cosa buona, un normalissimo lavabo sospeso, molto più comodo degli assurdi lavabi per disabili di cui avevo
scritto tempo fa, poi ho dato la buonanotte alla signora Stella e mi sono messa a dormire.
Notte da ospedale, con diversi risvegli dovuti ai rumori del reparto, che era comunque molto più tranquillo dell'ortopedia o della cardiologia, in cui ogni notte c'era almeno un ricovero urgente; nel complesso ho dormito discretamente, anche se a un certo punto mi sono svegliata con la sensazione di qualcosa che non andava e ci ho messo qualche secondo a capire che mi mancava la sagoma calda e fusante di Ettore contro la gamba.
Mi sono svegliata presto, poco prima delle sei, probabilmente per i rumori del cambio turno.