Il 2019 è stato senz'altro l'anno più difficile della mia vita. Durante i lunghissimi mesi di degenza ospedaliera sono stata sottoposta a un carico terribile di sofferenza fisica e psicologica, una massa immane di dolore, solitudine, paura e sconforto che ha lasciato un segno molto profondo.
La scorsa settimana avevo abbozzato un pensiero: "Due anni fa a quest'ora ero a Milan...". L'ho fermato prima di completarlo, perché il cuore aveva preso a battere furiosamente e il respiro si era fatto affannoso, ho capito che proseguendo in quella direzione avrei rischiato un vero e proprio attacco di panico, una reazione da shock post traumatico. Dietro quella porta c'è un mostro e in quel momento non ero pronta ad affrontarlo, ho richiuso lo spiraglio e ho girato con forza la chiave.
È stata una reazione di difesa istintiva, in quel momento giusta, credo, ma non è certo una soluzione a lungo termine. Prima o poi dovrò aprire quella porta e guardare in faccia il mostro, affrontare il terrore di trovarmi di nuovo in ospedale, separata da Renato e dai gatti, lontana da tutto ciò che amo.
Credo sia questo il motivo per cui le restrizioni anti Covid mi danno poco fastidio: ho sofferto così tanto lontano da casa, che ora non mi pesa affatto non potermene allontanare. Mi sono mancati così tanto i miei amori, umano e felini, che adesso non ne ho mai abbastanza della loro compagnia. Ogni volta che prendo la mano di Renato o tuffo il naso nel pelo di un gatto, il mio pensiero è: "Voglio restare qui". La sola idea di dovermi allontanare da questa bolla di affetto, calda e confortevole, mi terrorizza.
È anche per questo che il Covid mi fa tanta paura, che provo rabbia verso chi aggirando le regole contribuisce a prolungare questa pandemia, che spero di rientrare nei primi gruppi di destinatari del vaccino, ma non è ancora chiaro, perché le nuove linee guida nazionali mi classificano come soggetto "estremamente vulnerabile", quindi a massima priorità, ma la mia Regione non ha ancora recepito questa modifica.
Per molti anni non ho avuto paura di niente, non c'era davvero nulla in grado di spaventarmi. L'esperienza di due anni fa mi ha cambiata, ha logorato la mia resistenza, ha incrinato la corazza.
Devo lavorare molto su me stessa per affrontare e superare questa fragilità, per costruire nuovi punti di appoggio per la mia serenità, per trovare un equilibrio più stabile. E per imparare ad accettare almeno una parte di questa mia nuova debolezza.
Devo imparare a riempire d'oro le crepe della mia corazza, a rendere preziosa ogni cicatrice. Devo riuscire ad aprire quella porta e invitare il mostro a prendere il tè.
O avvalerti dell EMDR
RispondiEliminaQuanto è arricchente leggerti. Alessia
RispondiEliminaCiao Mia, leggendoti ho ricordato il tuo vissuto che tu, a ragione, chiami mostro ed è più che comprensibile che tu non sia ancora pronta ad affrontarlo, ma sono sicura, per quel che ti conosco, che arriverà il momento in cui lo inviterai per un te e condividerli con lui anche i biscotti di Toffolo che sono i tuoi preferiti.
RispondiEliminaSempre con ammirazione e affetto, Mila
Questo commento è stato eliminato dall'autore.
RispondiEliminaCara Mia, dopo quello che hai passato, è il minimo. Un abbraccio
RispondiElimina