Pagine

domenica 27 maggio 2018

Da grande (non) volevo fare...

Come la maggior parte dei bambini, anch'io da piccola ho cambiato più volte idea in merito a cosa volessi fare da grande.

All'asilo volevo fare la cantante, ma le mie aspirazioni si sono presto scontrate con un registro vocale che mi ha sempre reso difficile raggiungere le note acute. Ho anche scoperto che mia madre aveva avuto l'opportunità di farmi partecipare alle selezioni per lo Zecchino d'Oro, ma era contraria all'esposizione mediatica dei bambini, quindi aveva rifiutato. Peccato, credo che sarebbe stata una bella esperienza.

In terza elementare volevo fare l'infermiera, come la mamma e ricordo un golfino blu indossato sopra al grembiule bianco di scuola, proprio come lei e le sue colleghe lo portavano sopra al camice nelle giornate più fresche.

Sempre alle elementari, ho attraversato una fase in cui sognavo di fare la pittrice e girare il mondo in camper. Come mi fosse venuto in mente, proprio non lo so, dato che non ho mai avuto una particolare abilità nel disegno né ho mai amato il campeggio.

Per un breve periodo ho anche pensato che sarei diventata maestra. Sicuramente influenzata dall'esempio della mia eccellente maestra elementare, mi attirava l'idea di trasmettere conoscenze.

Dalla prima media fino alla quarta liceo, la mia aspirazione è stata diventare veterinaria, come il nonno. Ho sempre amato gli animali e probabilmente sarei riuscita bene in questo campo, ma sono stata ingannata dalla previsione di un veterinario, che mi aveva preannunciato grandi difficoltà di impiego per una donna in quel settore. Sbagliava completamente, o forse lo fece apposta per prevenire una futura concorrenza, ma l'ho capito solo diversi anni dopo ed è un rimpianto che porterò sempre nel cuore.

Per lo stesso motivo scartai anche medicina, di cui all'epoca si diceva che ci fosse un surplus di laureati che il mercato non sarebbe mai riuscito ad assorbire. Non era del tutto vero, in realtà il lavoro c'era, ma bisognava mettere in conto, oltre al corso di studi, periodi spesso lunghi di incarichi provvisori e sottopagati, prima di raggiungere una vera indipendenza economica. Una scelta rischiosa, per le condizioni economiche della mia famiglia in quel periodo. Durante gli ultimi tre anni di liceo avevo lavorato due o tre pomeriggi a settimana per pagarmi tutto ciò che non fosse vitto e alloggio, dagli abiti ai quaderni di scuola. Nel periodo universitario gli orari delle lezioni e l'impegno dello studio non mi permettevano di lavorare, quindi ho dovuto tirare la cinghia su tutto, perché spesso in banca c'era solo quanto bastava per pagare la rata del mutuo. Di quel periodo ricordo maglioni e camicie comprati per tremila lire ciascuno al mercato dell'usato e la spesa al supermercato con i soldi contati, senza nemmeno guardare le cose da ricchi come la carne di manzo, le ciliegie o il prosciutto crudo.

Alla fine ho scelto il corso di laurea che sembrava offrire le migliori possibilità occupazionali: ingegneria elettronica. E in effetti, da questo punto di vista, è stata una scelta corretta, anche se mi è costata tanta fatica, e poi ho sempre svolto attività professionali che avevano ben poco a che fare con l'elettronica.

Insomma, nel corso della vita ho avuto aspirazioni professionali molto variegate, però mai, in nessun momento, ho sentito una qualsivoglia inclinazione verso la meteorologia.
Ascolto le previsioni del tempo solo occasionalmente, perché mi capita raramente di avere in programma attività che siano influenzate dalle condizioni atmosferiche. Se per qualche motivo ho bisogno di sapere che tempo farà, ci sono in rete ottimi servizi che offrono previsioni ragionevolmente attendibili fino a 5 giorni.
Non mi è quindi di particolare utilità che i nervi della gamba mi avvertano con qualche ora di anticipo di un imminente peggioramento del tempo; anzi, per la verità farei volentieri a meno di quel dolore bruciante che si irradia per ore dall'inguine al ginocchio. Durante la visita per la terapia del dolore, l'anestesista mi aveva spiegato che i nervi sono particolarmente sensibili alle variazioni di pressione atmosferica, per questo chi soffre di neuropatia sente il tempo.
Fra tutte le idee che ho avuto nell'infanzia e adolescenza, questa proprio non c'era. Da grande, non ho mai voluto fare il barometro.

Nessun commento:

Posta un commento