Il chirurgo che mi ha visitata giovedì ha rimosso più o meno una dozzina di graffe, tra cui quella che mi faceva male, regalandomi un sollievo immediato. Lunedì ho un nuovo appuntamento, spero che si possano togliere tutti gli altri punti.
Nel tardo pomeriggio di giovedì ho iniziato ad avvertire un fastidio crescente, che dall'inguine si è esteso alla coscia, trasformandosi rapidamente in dolore. Non riuscivo più a stare distesa né seduta, così mi sono alzata dal divano per fare qualche passo, sperando di trovare un po' di sollievo. Appena ho raggiunto il bagno, è iniziata l'alluvione: liquido che colava a fiotti lungo la gamba, raccogliendosi in una pozza sul pavimento. Una cascata da far impallidire il Niagara!
Ho individuato subito la causa del disastro nel tubicino del drenaggio bloccato. Ripristinata la normale circolazione, lo sversamento è cessato. Ho tolto il pigiama e la biancheria inzuppati e mi sono lavata per bene, mentre Renato asciugava e ripuliva il bagno, poi abbiamo sostituito la medicazione bagnata.
La giornata di venerdì è andata meglio: nessun particolare fastidio, medicazione pulita e asciutta, produzione di liquido abbondante, ma regolare, che mi ha permesso una breve uscita nel pomeriggio e l'esperimento di stirare stando seduta: è un po' più lento rispetto alla tradizionale posizione eretta, ma funziona.
All'ora di cena, potevamo festeggiare le prime 24 ore senza cambio di medicazione.
Al momento di andare a letto, però, la sacca era piena e il drenaggio si è bloccato di nuovo: zampilli che, a confronto, la fontana di Trevi è roba da dilettanti!
Ancora un pigiama da lavare e una medicazione da rifare. E un macigno di parecchie tonnellate sull'ipotesi di rimuovere il drenaggio che aveva ventilato il chirurgo giovedì: la mia gamba non può assolutamente smaltire da sola un simile volume di liquido. A 14 ore dall'ultima manutenzione, siamo già a 550 ml. E io inizio a pensare che forse avrei fatto meglio a scegliere ingegneria idraulica.
PS: grazie a Rita per le metafore idrauliche!
Pagine
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sabato 29 ottobre 2016
mercoledì 26 ottobre 2016
Cronache dal divano 2 - Flussi e riflussi
Sono ancora alle prese con il drenaggio. O forse è più corretto dire che sto ancora litigando con il drenaggio.
Per lo più fa il bravo, aspirando e raccogliendo ogni giorno almeno 300 ml di siero, anche se oggi siamo già a 350 ml e manca ancora tutta la notte. Però non passa giorno senza un atto di ribellione.
Controllo spesso che il flusso nel tubicino sia regolare e la medicazione pulita, ma riesce sempre ad approfittare della minima distrazione per fregarmi all'improvviso.
L'altroieri l'ho controllato a mezzanotte e alle 3 e andava tutto bene. Alle 7 sembrava otturato e la medicazione era completamente inzuppata, ho dovuto "mungere" più volte il tubicino, come mi hanno insegnato in ospedale, per ripristinarne la funzionalità.
Ieri mattina, al risveglio, ero contenta, perché per la prima volta era tutto a posto: flusso regolare e garze ancora immacolate. Mi sono alzata, sono andata in bagno, mi sono lavata per bene con la spugna e spalmata di crema idratante, attività che hanno richiesto poco più di mezz'ora. Quando ho finito, la medicazione era di nuovo inzuppata.
Stanotte ho controllato la situazione a intervalli di 2-3 ore: tutto ok. Tutto bene anche quando mi sono alzata, lavata e ho fatto colazione. Nessun problema mentre lavoravo seduta sul divano e nemmeno quando sono rimasta un po' in piedi per mescolare il risotto. Una botta di ottimismo che non vi dico. Ingiustificato: subito dopo pranzo, le garze erano di nuovo bagnate, porca zozza! E io che speravo di evitare la medicazione almeno per un giorno...
Perché fa male, tanto. Non la pulizia della ferita, fastidiosa ma sopportabile, ma la rimozione dei cerotti, perché tutto questo attacca-stacca ha stressato la pelle oltre il limite di sopportazione e ora, quando è il momento di togliere il cerotto trasparente che protegge le compresse di garza sopra al foro di drenaggio, ululo.
Immaginate quindi con quanto entusiasmo io e Renato ci siamo preparati all'ennesima sessione di tortura, lui ancor più preoccupato di me, perché l'idea di farmi male per lui è un vero strazio .
Solo che oggi avevamo un jolly da giocare. Non sapevamo se avrebbe funzionato oppure no, ma potevamo almeno sperare. Una vicina di casa, infermiera, ieri mi ha procurato alcune salviette da passare sopra il cerotto per rimuoverlo più facilmente. Non era sicura che sarebbero state utili nel mio caso, perché sono a base alcolica e in alcuni punti la pelle si è ormai lacerata, c'era il rischio che il bruciore dell'alcol superasse il vantaggio. Invece è andata benissimo, quasi da non crederci. Un sollievo.
Almeno per un po', perché più tardi ha iniziato a dolermi parecchio la ferita, in un punto sull'inguine. Poco fa ho chiesto a Renato di sostituire il cerotto solo in quella zona, che è lontana dal drenaggio e abbiamo visto che alcuni punti sembrano tirati e infiammati.
Pazienza fino a domattina, quando ho appuntamento per la medicazione. Il medico aveva parlato anche di possibile rimozione dei punti, ma temo sia troppo presto, almeno per la parte di ferita che interessa l'inguine, mentre il tratto sulla coscia forse è sufficientemente cicatrizzato.
Sarà l'occasione per rimpinguare le scorte di materiale da medicazione, dato che le sostituzioni quotidiane hanno esaurito tutte le garze e i cerotti che mi avevano dato al momento della dimissione e nelle farmacie si trovano solo quelli piccoli, insufficienti per la dimensione delle mie ferite.
A proposito: le medicazioni domestiche ci hanno consentito di contare i punti, che sono quasi tutti metallici, intervallati da poche cuciture in filo: è più o meno come avere l'elastico delle mutande fatto di graffette.
Per lo più fa il bravo, aspirando e raccogliendo ogni giorno almeno 300 ml di siero, anche se oggi siamo già a 350 ml e manca ancora tutta la notte. Però non passa giorno senza un atto di ribellione.
Controllo spesso che il flusso nel tubicino sia regolare e la medicazione pulita, ma riesce sempre ad approfittare della minima distrazione per fregarmi all'improvviso.
L'altroieri l'ho controllato a mezzanotte e alle 3 e andava tutto bene. Alle 7 sembrava otturato e la medicazione era completamente inzuppata, ho dovuto "mungere" più volte il tubicino, come mi hanno insegnato in ospedale, per ripristinarne la funzionalità.
Ieri mattina, al risveglio, ero contenta, perché per la prima volta era tutto a posto: flusso regolare e garze ancora immacolate. Mi sono alzata, sono andata in bagno, mi sono lavata per bene con la spugna e spalmata di crema idratante, attività che hanno richiesto poco più di mezz'ora. Quando ho finito, la medicazione era di nuovo inzuppata.
Stanotte ho controllato la situazione a intervalli di 2-3 ore: tutto ok. Tutto bene anche quando mi sono alzata, lavata e ho fatto colazione. Nessun problema mentre lavoravo seduta sul divano e nemmeno quando sono rimasta un po' in piedi per mescolare il risotto. Una botta di ottimismo che non vi dico. Ingiustificato: subito dopo pranzo, le garze erano di nuovo bagnate, porca zozza! E io che speravo di evitare la medicazione almeno per un giorno...
Perché fa male, tanto. Non la pulizia della ferita, fastidiosa ma sopportabile, ma la rimozione dei cerotti, perché tutto questo attacca-stacca ha stressato la pelle oltre il limite di sopportazione e ora, quando è il momento di togliere il cerotto trasparente che protegge le compresse di garza sopra al foro di drenaggio, ululo.
Immaginate quindi con quanto entusiasmo io e Renato ci siamo preparati all'ennesima sessione di tortura, lui ancor più preoccupato di me, perché l'idea di farmi male per lui è un vero strazio .
Solo che oggi avevamo un jolly da giocare. Non sapevamo se avrebbe funzionato oppure no, ma potevamo almeno sperare. Una vicina di casa, infermiera, ieri mi ha procurato alcune salviette da passare sopra il cerotto per rimuoverlo più facilmente. Non era sicura che sarebbero state utili nel mio caso, perché sono a base alcolica e in alcuni punti la pelle si è ormai lacerata, c'era il rischio che il bruciore dell'alcol superasse il vantaggio. Invece è andata benissimo, quasi da non crederci. Un sollievo.
Almeno per un po', perché più tardi ha iniziato a dolermi parecchio la ferita, in un punto sull'inguine. Poco fa ho chiesto a Renato di sostituire il cerotto solo in quella zona, che è lontana dal drenaggio e abbiamo visto che alcuni punti sembrano tirati e infiammati.
Pazienza fino a domattina, quando ho appuntamento per la medicazione. Il medico aveva parlato anche di possibile rimozione dei punti, ma temo sia troppo presto, almeno per la parte di ferita che interessa l'inguine, mentre il tratto sulla coscia forse è sufficientemente cicatrizzato.
Sarà l'occasione per rimpinguare le scorte di materiale da medicazione, dato che le sostituzioni quotidiane hanno esaurito tutte le garze e i cerotti che mi avevano dato al momento della dimissione e nelle farmacie si trovano solo quelli piccoli, insufficienti per la dimensione delle mie ferite.
A proposito: le medicazioni domestiche ci hanno consentito di contare i punti, che sono quasi tutti metallici, intervallati da poche cuciture in filo: è più o meno come avere l'elastico delle mutande fatto di graffette.
domenica 23 ottobre 2016
Cronache dal divano 1 - Perdono
Il conto alla rovescia è sembrato eterno, ma finalmente ieri nel primo pomeriggio sono uscita dall'ospedale, con il supporto delle stampelle per camminare e - ben più importante - l'aiuto di Renato per tutto il resto.
Poco prima di arrivare a casa, siamo passati davanti a una concessionaria di auto. La stavo osservando con un certo interesse - sto meditando di cambiare macchina - quando Renato ha chiesto: "Iniziamo subito con il pellegrinaggio?"
Io (convinta che si riferisse al giro delle concessionarie per scegliere la nuova auto) - "Noooo, aspettiamo almeno che mi tolgano i punti, meglio anche senza drenaggio."
Lui - "Va bene, allora non c'è bisogno di mettere i cartelli all'inizio della via."
Io - "???"
Lui - "Per indicare dove abiti..."
Io - "Ah! Ti riferivi alle visite di parenti e amici! Sì, quelle cominciano già domani. Pensavo parlassi del pellegrinaggio in giro per le concessionarie."
Lui - "Te lo immagini? Entri e chiedi se l'auto ha il gancio per appendere il drenaggio!"
Abbiamo riso fino a casa.
Come avevo previsto, il rientro non è stato esaltante, dal punto di vista felino. Aki e Shadow erano a spasso e Gandalf, spaparanzato sul divano, mi ha praticamente ignorato, come l'altra volta. Probabilmente è il suo modo di rimproverarmi per l'assenza.
Un po' avvilita, mi sono sistemata sul divano, nella comoda tana che mi ha preparato Renato, con lenzuolo, piumino leggero e cuscini.
Ero piuttosto stanca: l'uscita dall'ospedale e il viaggio sono stati impegnativi per il mio fisico ancora debole, ma felice di essere di nuovo nel mio ambiente, con la mia famiglia, le mie cose, i suoni e gli odori di casa.
Circa cinque ore dopo, Gandalf è venuto ad acciambellarsi tra le mie gambe e nel frattempo sono rientrati anche Aki e Shadow: mi hanno perdonato.
Cose belle di casa
Poco prima di arrivare a casa, siamo passati davanti a una concessionaria di auto. La stavo osservando con un certo interesse - sto meditando di cambiare macchina - quando Renato ha chiesto: "Iniziamo subito con il pellegrinaggio?"
Io (convinta che si riferisse al giro delle concessionarie per scegliere la nuova auto) - "Noooo, aspettiamo almeno che mi tolgano i punti, meglio anche senza drenaggio."
Lui - "Va bene, allora non c'è bisogno di mettere i cartelli all'inizio della via."
Io - "???"
Lui - "Per indicare dove abiti..."
Io - "Ah! Ti riferivi alle visite di parenti e amici! Sì, quelle cominciano già domani. Pensavo parlassi del pellegrinaggio in giro per le concessionarie."
Lui - "Te lo immagini? Entri e chiedi se l'auto ha il gancio per appendere il drenaggio!"
Abbiamo riso fino a casa.
Come avevo previsto, il rientro non è stato esaltante, dal punto di vista felino. Aki e Shadow erano a spasso e Gandalf, spaparanzato sul divano, mi ha praticamente ignorato, come l'altra volta. Probabilmente è il suo modo di rimproverarmi per l'assenza.
Un po' avvilita, mi sono sistemata sul divano, nella comoda tana che mi ha preparato Renato, con lenzuolo, piumino leggero e cuscini.
Ero piuttosto stanca: l'uscita dall'ospedale e il viaggio sono stati impegnativi per il mio fisico ancora debole, ma felice di essere di nuovo nel mio ambiente, con la mia famiglia, le mie cose, i suoni e gli odori di casa.
Circa cinque ore dopo, Gandalf è venuto ad acciambellarsi tra le mie gambe e nel frattempo sono rientrati anche Aki e Shadow: mi hanno perdonato.
Cose belle di casa
- la possibilità di chiedere un abbraccio in qualsiasi momento... e ottenerlo
- la felineria al completo
- il mio divano grande e comodo
- il letto ad un'altezza ragionevole da terra (quelli dell'ospedale sono troppo alti!)
- tante coccole
- il mio bagno
- le lenzuola con gli angoli, che rimangono ben tese, senza tutte le fastidiosissime pieghe di quelle dell'ospedale
- la TV con i programmi Sky, che un cartone Disney per celebrare il ritorno a casa ci sta sempre bene
- il mio PC... con 396 mail da evadere
- la pizza sul divano
- la camera da letto fresca e il piumone
- dormire con il mio amore da una parte, Gandalf dall'altra e Aki acciambellato dietro alle ginocchia
- nessuno che arriva alle sei del mattino a misurare la febbre o misurare la pressione
- il bagno a 60cm di distanza dal letto
- dormire fino alle 10
- la medicazione di Renato, fatta meglio di quelle dell'ospedale
- una vaschetta di frittura di pesce
- sentirsi pulita, riposata e coccolata
venerdì 21 ottobre 2016
Cronache dal CRO 9 - Do Re Mi Fa Sol La Si Do
Do-do-do domani vado a casa
Re-re-re respiro l’aria pura
Mi-mi-mi mi sento più sicura
Fa-fa-fa farò quel che mi pare,
Sol-sol-sol soltanto mi dispiace
La-la-la lasciare le infermiere
Si-si-si sì, sì, le lascerò
Do-do-do domani me ne andrò!
(con il drenaggio al seguito)
Re-re-re respiro l’aria pura
Mi-mi-mi mi sento più sicura
Fa-fa-fa farò quel che mi pare,
Sol-sol-sol soltanto mi dispiace
La-la-la lasciare le infermiere
Si-si-si sì, sì, le lascerò
Do-do-do domani me ne andrò!
(con il drenaggio al seguito)
giovedì 20 ottobre 2016
Cronache dal CRO 8 - Dalla finestra
In queste giornate pigre ho molto tempo per osservare. La mia camera ha un'intera parete vetrata, con la porta che dà sul terrazzo e una grande finestra fissa, protetta da veneziane che io, amante della luce, lascio sempre aperte.
Purtroppo la porta è inutilizzabile a causa dell'invasione di cimici, che si intrufolano moleste sfruttando ogni minima fessura, e mi manca la possibilità di arieggiare la stanza, di respirare aria vera, non trattata dai sistemi di climatizzazione.
Oltre il terrazzo si vedono i boschi che rivestono il fianco della montagna. La "mia" montagna, quella che si vede anche dal mio paese, nelle giornate limpide, che mi fa da sfondo quando percorro l'autostrada per andare dai clienti in Friuli.
Quando sono arrivata, il bosco mostrava ancora tutte le gradazioni del verde, ora domina il tono ruggine. Un cambiamento che dà la misura del tempo trascorso.
Sì distinguono le linee dei crinali, che creano sei fondali, via via più sfumati verso il fondo, in questo clima umido.
Le montagne qui si innalzano improvvise e aspre dalla pianura, senza il digradare intermedio delle colline, e formano una barriera contro cui le nuvole si fermano e si raccolgono, avvolgendosi spesso intorno alle cime, talvolta anche più in basso, fino a confondersi con gli sbuffi di vapore che si innalzano dai locali di servizio dell'ospedale, a ridosso del bosco, in volute pigre che il vento subito disperde.
Sanno di autunno, queste giornate, ed è strano guardarle dalla finestra indossando una T-shirt, perché la temperatura in ospedale è sempre estiva, anche se meno soffocante rispetto al ricovero di gennaio. Forse hanno regolato un po' meglio i termostati.
Il drenaggio continua imperterrito a produrre, senza nemmeno accennare a una riduzione, anzi, nelle ultime 24 ore il volume raccolto è stato addirittura superiore a quello del giorno precedente.
Il chirurgo poco fa mi ha detto che è una cosa molto soggettiva, per alcuni dura pochi giorni, per altri può arrivare a qualche... MESE!
La ferita invece sta cicatrizzando bene, nonostante la posizione delicata, che potrebbe favorire infiammazioni e altre complicanze.
La combinazione di queste due situazioni, drenaggio attivo e ferita pulita, potrebbe aprire la strada a una soluzione nuova: dimissioni con autogestione del drenaggio a casa e controlli periodici in ospedale. Ipotesi ventilata dal chirurgo senza ulteriori precisazioni su quando si potrebbe eventualmente attuare.
La manutenzione del drenaggio non mi spaventa. In questi giorni ho osservato bene come si fa e stanotte ho già eseguito da sola alcune operazioni per rimuovere un piccolo coagulo che ostruiva il tubicino. Anche per le medicazioni in questi anni abbiamo maturato una certa esperienza, soprattutto Renato. L'unico problema sarebbero i materiali, perché in farmacia vendono solo cerotti della marca che mi provoca allergia e non si trovano guanti abbastanza grandi per le mani di Renato, ma se l'ospedale mi fornisce queste dotazioni, potremo cavarcela anche a casa.
L'unico dubbio è la reazione di Aki e Gandalf al drenaggio: non vorrei mai che decidessero di usare il tubo come giocattolo e la sacca come tiragraffi!
Purtroppo la porta è inutilizzabile a causa dell'invasione di cimici, che si intrufolano moleste sfruttando ogni minima fessura, e mi manca la possibilità di arieggiare la stanza, di respirare aria vera, non trattata dai sistemi di climatizzazione.
Oltre il terrazzo si vedono i boschi che rivestono il fianco della montagna. La "mia" montagna, quella che si vede anche dal mio paese, nelle giornate limpide, che mi fa da sfondo quando percorro l'autostrada per andare dai clienti in Friuli.
Quando sono arrivata, il bosco mostrava ancora tutte le gradazioni del verde, ora domina il tono ruggine. Un cambiamento che dà la misura del tempo trascorso.
Sì distinguono le linee dei crinali, che creano sei fondali, via via più sfumati verso il fondo, in questo clima umido.
Le montagne qui si innalzano improvvise e aspre dalla pianura, senza il digradare intermedio delle colline, e formano una barriera contro cui le nuvole si fermano e si raccolgono, avvolgendosi spesso intorno alle cime, talvolta anche più in basso, fino a confondersi con gli sbuffi di vapore che si innalzano dai locali di servizio dell'ospedale, a ridosso del bosco, in volute pigre che il vento subito disperde.
Sanno di autunno, queste giornate, ed è strano guardarle dalla finestra indossando una T-shirt, perché la temperatura in ospedale è sempre estiva, anche se meno soffocante rispetto al ricovero di gennaio. Forse hanno regolato un po' meglio i termostati.
Il drenaggio continua imperterrito a produrre, senza nemmeno accennare a una riduzione, anzi, nelle ultime 24 ore il volume raccolto è stato addirittura superiore a quello del giorno precedente.
Il chirurgo poco fa mi ha detto che è una cosa molto soggettiva, per alcuni dura pochi giorni, per altri può arrivare a qualche... MESE!
La ferita invece sta cicatrizzando bene, nonostante la posizione delicata, che potrebbe favorire infiammazioni e altre complicanze.
La combinazione di queste due situazioni, drenaggio attivo e ferita pulita, potrebbe aprire la strada a una soluzione nuova: dimissioni con autogestione del drenaggio a casa e controlli periodici in ospedale. Ipotesi ventilata dal chirurgo senza ulteriori precisazioni su quando si potrebbe eventualmente attuare.
La manutenzione del drenaggio non mi spaventa. In questi giorni ho osservato bene come si fa e stanotte ho già eseguito da sola alcune operazioni per rimuovere un piccolo coagulo che ostruiva il tubicino. Anche per le medicazioni in questi anni abbiamo maturato una certa esperienza, soprattutto Renato. L'unico problema sarebbero i materiali, perché in farmacia vendono solo cerotti della marca che mi provoca allergia e non si trovano guanti abbastanza grandi per le mani di Renato, ma se l'ospedale mi fornisce queste dotazioni, potremo cavarcela anche a casa.
L'unico dubbio è la reazione di Aki e Gandalf al drenaggio: non vorrei mai che decidessero di usare il tubo come giocattolo e la sacca come tiragraffi!
martedì 18 ottobre 2016
Cronache dal CRO 7 - Rigocciolo
Gocciolo di nuovo.
Meno di prima, non più come uno scolapasta, direi piuttosto un rubinetto che perde, ma la medicazione si bagna ancora.
La buona notizia, a quanto mi dicono, è che non si tratta di linfa, ma di siero, che dovrebbe essere meno problematico in termini di rischio di infezione.
Anche la sacca del drenaggio collegata al foro che perde continua a riempirsi: evidentemente là sotto c'è un sacco di roba.
L'altro drenaggio invece, che era stato fin dall'inizio poco produttivo, è stato rimosso pochi minuti fa e la ferita chirurgica è asciutta e pulita.
Ma non sia mai che io vinca un post-operatorio completamente esente da fastidi.
La pelle intorno ai fori di drenaggio è ridotta a un campo di battaglia, a causa delle numerose sostituzioni della medicazione, con relativa rimozione dei cerotti. È come fare la ceretta quattro volte al giorno. Arrossamento, irritazione e le prime bolle che iniziano a trasformarsi in piaghe. Olè!
Oggi è arrivata una nuova compagna di stanza che si tratterrà sicuramente più a lungo della precedente, perché ha un intervento importante.
Classe 1939 e decisamente meno discreta della nonnina della settimana scorsa: è stata in camera per circa un'ora prima che la portassero in sala operatoria e mi ha già raccontato un sacco di cose, di cui ho capito circa la metà per una combinazione di dentiera mancante e forte accento calabrese, con il contributo non trascurabile del mio acufene, che anche questa volta è stato amplificato dell'anestesia, riducendo ulteriormente il mio udito già poco brillante.
Possibile che a me tocchino sempre signore anziane, mentre quelle giovani e simpatiche sono tutte nell'altro corridoio, quello della chirurgia senologica o ginecologica?
Speriamo bene per i prossimi giorni, che all'orizzonte non si vede ancora alba di dimissioni.
Meno di prima, non più come uno scolapasta, direi piuttosto un rubinetto che perde, ma la medicazione si bagna ancora.
La buona notizia, a quanto mi dicono, è che non si tratta di linfa, ma di siero, che dovrebbe essere meno problematico in termini di rischio di infezione.
Anche la sacca del drenaggio collegata al foro che perde continua a riempirsi: evidentemente là sotto c'è un sacco di roba.
L'altro drenaggio invece, che era stato fin dall'inizio poco produttivo, è stato rimosso pochi minuti fa e la ferita chirurgica è asciutta e pulita.
Ma non sia mai che io vinca un post-operatorio completamente esente da fastidi.
La pelle intorno ai fori di drenaggio è ridotta a un campo di battaglia, a causa delle numerose sostituzioni della medicazione, con relativa rimozione dei cerotti. È come fare la ceretta quattro volte al giorno. Arrossamento, irritazione e le prime bolle che iniziano a trasformarsi in piaghe. Olè!
Oggi è arrivata una nuova compagna di stanza che si tratterrà sicuramente più a lungo della precedente, perché ha un intervento importante.
Classe 1939 e decisamente meno discreta della nonnina della settimana scorsa: è stata in camera per circa un'ora prima che la portassero in sala operatoria e mi ha già raccontato un sacco di cose, di cui ho capito circa la metà per una combinazione di dentiera mancante e forte accento calabrese, con il contributo non trascurabile del mio acufene, che anche questa volta è stato amplificato dell'anestesia, riducendo ulteriormente il mio udito già poco brillante.
Possibile che a me tocchino sempre signore anziane, mentre quelle giovani e simpatiche sono tutte nell'altro corridoio, quello della chirurgia senologica o ginecologica?
Speriamo bene per i prossimi giorni, che all'orizzonte non si vede ancora alba di dimissioni.
lunedì 17 ottobre 2016
Cronache dal CRO 6 - Tempo libero
La degenza procede senza eventi di particolare rilievo.
Ho smesso di gocciolare, probabilmente uno dei drenaggi era intasato e quando l'hanno aspirato ha ripreso a funzionare e la linfa si è correttamente instradata, lasciando la medicazione finalmente asciutta.
Le giornate scorrono scandite dai ritmi ospedalieri: misurazioni della temperatura, pressione, frequenza cardiaca e saturazione dell'ossigeno, medicazioni, giri dei medici, svuotamento drenaggi, cambio lenzuola, pulizie... Raramente passa un'ora senza che qualcuno del personale entri in camera. Camera ancora tutta per me, fortunatamente, così le numerose visite di parenti e amici che ho ricevuto non hanno disturbato nessuno.
Nel tempo libero tra le attività sanitarie leggo, gioco con il tablet e guardo un po' di televisione.
A proposito, ora vado, che inizia Masha e Orso!
Ho smesso di gocciolare, probabilmente uno dei drenaggi era intasato e quando l'hanno aspirato ha ripreso a funzionare e la linfa si è correttamente instradata, lasciando la medicazione finalmente asciutta.
Le giornate scorrono scandite dai ritmi ospedalieri: misurazioni della temperatura, pressione, frequenza cardiaca e saturazione dell'ossigeno, medicazioni, giri dei medici, svuotamento drenaggi, cambio lenzuola, pulizie... Raramente passa un'ora senza che qualcuno del personale entri in camera. Camera ancora tutta per me, fortunatamente, così le numerose visite di parenti e amici che ho ricevuto non hanno disturbato nessuno.
Nel tempo libero tra le attività sanitarie leggo, gioco con il tablet e guardo un po' di televisione.
A proposito, ora vado, che inizia Masha e Orso!
PS: ma quanto è bello questo cartone?
sabato 15 ottobre 2016
Cronache dal CRO 5 - Gocciolante
Gocciolo.
Come un secchio bucato. Come uno scolapasta.
Per motivi suoi, che non ha ritenuto di condividere nemmeno con me che sono la padrona di casa, la linfa che vaga sperduta nella mia coscia, disperata per la distruzione della sua viabilità ordinaria, ha deciso di non seguire il percorso alternativo appositamente predisposto, ma di uscire attraverso i fori del drenaggio
Bene, direte voi.
No.
Avete presente quegli automobilisti che quando incappano in un cantiere che blocca la strada, invece di seguire i segnali di deviazione, scelgono una "scorciatoia", perché loro le cose le sanno, mica si fanno fregare!, e finiscono per fare dieci chilometri in più?
Anche la mia linfa è uno spirito libero di questo tipo e anziché seguire le comode vie offerte dai tubicini di drenaggio e sistemarsi comodamente nelle sacche, esce proprio dai fori, direttamente, inzuppando rapidamente anche le medicazioni più abbondanti.
Pacchetti di garze spessi fino a cinque centimetri completamente imbevuti in poche ore.
Metri quadri di cerotto trasparente per sigillare la zona, ma basta la minima fessura perché le gocce fuoriescano.
Poco male, basta sostituire la medicazione tre, quattro, cinque, sei volte al giorno. Mi spiace per le infermiere che ci perdono un sacco di tempo. Anch'io lo perdo, ma al momento la mia agenda non è poi così piena e posso permettermelo.
Spero solo che il Servizio Sanitario Nazionale non mi metta in conto il consumo di garze e cerotti, altrimenti sono rovinata.
Come un secchio bucato. Come uno scolapasta.
Per motivi suoi, che non ha ritenuto di condividere nemmeno con me che sono la padrona di casa, la linfa che vaga sperduta nella mia coscia, disperata per la distruzione della sua viabilità ordinaria, ha deciso di non seguire il percorso alternativo appositamente predisposto, ma di uscire attraverso i fori del drenaggio
Bene, direte voi.
No.
Avete presente quegli automobilisti che quando incappano in un cantiere che blocca la strada, invece di seguire i segnali di deviazione, scelgono una "scorciatoia", perché loro le cose le sanno, mica si fanno fregare!, e finiscono per fare dieci chilometri in più?
Anche la mia linfa è uno spirito libero di questo tipo e anziché seguire le comode vie offerte dai tubicini di drenaggio e sistemarsi comodamente nelle sacche, esce proprio dai fori, direttamente, inzuppando rapidamente anche le medicazioni più abbondanti.
Pacchetti di garze spessi fino a cinque centimetri completamente imbevuti in poche ore.
Metri quadri di cerotto trasparente per sigillare la zona, ma basta la minima fessura perché le gocce fuoriescano.
Poco male, basta sostituire la medicazione tre, quattro, cinque, sei volte al giorno. Mi spiace per le infermiere che ci perdono un sacco di tempo. Anch'io lo perdo, ma al momento la mia agenda non è poi così piena e posso permettermelo.
Spero solo che il Servizio Sanitario Nazionale non mi metta in conto il consumo di garze e cerotti, altrimenti sono rovinata.
venerdì 14 ottobre 2016
Cronache dal CRO 4 - Via
Via tre flebo su quattro.
Via l'agocannula fastidiosa.
Via il catetere vescicale.
Via io dal letto, almeno per qualche minuto, e con un po' di aiuto.
E tra qualche ora se ne va pure la signora che ha un day hospital e, cara lei, non fa altro che dormire nel più assoluto silenzio.
Domani è sabato e non entra nessuno: festa!
Via l'agocannula fastidiosa.
Via il catetere vescicale.
Via io dal letto, almeno per qualche minuto, e con un po' di aiuto.
E tra qualche ora se ne va pure la signora che ha un day hospital e, cara lei, non fa altro che dormire nel più assoluto silenzio.
Domani è sabato e non entra nessuno: festa!
Cronache dal CRO 3 - Il naufragio della speranza
Sono le 7:10. Sono sveglia da quattro ore.
A casa, di notte mi sveglio una o due volte, per andare in bagno. Qui per ora non ho bisogno del bagno perché ho ancora il catetere, ma mi sveglio almeno ogni due ore per cambiare posizione. Mi giro, sistemo la calza che si arrotola sulla coscia, districo i tubicini delle flebo, controllo l'ora e poi mi riaddormento. Quasi sempre.
Stanotte, dopo il terzo risveglio, non c'è stato verso di riprendere sonno. Ci ho provato per un po', ma verso le 4 ho rinunciato. D'altra parte qui i passatempi non mancano.
Guardare il soffitto.
Sistemare la calza che si arrotola.
Annoiarsi.
Guardare la TV spenta.
Chissà come sarà la compagna di stanza.
Partitina a Farm Heroes Saga.
Guardare fuori dalla finestra.
Guardare le flebo.
Annoiarsi.
Chissà se oggi mi fanno camminare.
Controllare le sacche dei drenaggi e del catetere.
Cercare una posizione più comoda. Inutilmente.
Partitina a Candy Crush Saga.
Chissà se la compagna di stanza mi lascerà tenere le veneziane aperte: speriamo che non le dia fastidio la luce.
Guardare le flebo.
Chissà se riesco a camminare.
Chiedermi quando mi toglieranno l'agocannula dal braccio, perché ogni volta che lo piego mi rimangono i segni del tappino.
Guardare il soffitto.
Chissà se la compagna di stanza guarda la TV. E cosa guarda.
Annoiarsi.
Guardare l'ora.
E poi, finalmente, arriva la compagna di stanza.
È del 1933.
A casa, di notte mi sveglio una o due volte, per andare in bagno. Qui per ora non ho bisogno del bagno perché ho ancora il catetere, ma mi sveglio almeno ogni due ore per cambiare posizione. Mi giro, sistemo la calza che si arrotola sulla coscia, districo i tubicini delle flebo, controllo l'ora e poi mi riaddormento. Quasi sempre.
Stanotte, dopo il terzo risveglio, non c'è stato verso di riprendere sonno. Ci ho provato per un po', ma verso le 4 ho rinunciato. D'altra parte qui i passatempi non mancano.
Guardare il soffitto.
Sistemare la calza che si arrotola.
Annoiarsi.
Guardare la TV spenta.
Chissà come sarà la compagna di stanza.
Partitina a Farm Heroes Saga.
Guardare fuori dalla finestra.
Guardare le flebo.
Annoiarsi.
Chissà se oggi mi fanno camminare.
Controllare le sacche dei drenaggi e del catetere.
Cercare una posizione più comoda. Inutilmente.
Partitina a Candy Crush Saga.
Chissà se la compagna di stanza mi lascerà tenere le veneziane aperte: speriamo che non le dia fastidio la luce.
Guardare le flebo.
Chissà se riesco a camminare.
Chiedermi quando mi toglieranno l'agocannula dal braccio, perché ogni volta che lo piego mi rimangono i segni del tappino.
Guardare il soffitto.
Chissà se la compagna di stanza guarda la TV. E cosa guarda.
Annoiarsi.
Guardare l'ora.
E poi, finalmente, arriva la compagna di stanza.
È del 1933.
giovedì 13 ottobre 2016
Cronache dal CRO 2 - È un casino
È passato il chirurgo a parlare dell'intervento.
Per usare un eufemismo, è un casino.
Il nodulo era fermamente attaccato all'osso e l'ha infiltrato. Hanno rimosso il periostio, la membrana che ricopre l'osso, ed è risultato positivo all'esame istologico.
Ora posso solo sperare che la radioterapia intraoperatoria sia stata efficace e abbia ripulito le cellule tumorali dell'osso. Altrimenti, ci sono buone probabilità che sia questo cancro a uccidermi, non il prossimo.
Mi hanno dovuto staccare anche uno dei muscoli adduttori, ecco spiegata la ferita lunga, ma la funzionalità della gamba non sembra troppo compromessa.
Ho il sospetto che dopo i danni ai nervi dovuti alla radioterapia di nove anni fa, che inizialmente mi avevano ridotto le capacità di movimento proprio degli adduttori, la muscolatura circostante abbia imparato a compensare le carenze di quei muscoli e forse non sentirò troppo la mancanza di quello rimosso. Però potrei anche vincere il tagliando per gli invalidi e un parcheggio riservato vicino all'ufficio.
Non ho chiesto notizie del gluteo.
So che eravate curiosi, ma in quel momento avevo già abbastanza cattive notizie da mandare giù.
Suppongo però che dopo aver visto la situazione dell'inguine, non abbiano nemmeno preso in considerazione di intervenire anche altrove.
Intanto continua l'idillio post-operatorio. Davvero, se non ci siete passati non potete capire quale sollievo sia non avere tubi nel naso né nel collo e potersi già girare sul fianco, bere (acqua e quella cosa che qui chiamano tè), mangiare (ben due fette biscottate!), parlare, tossire...
Probabilmente oggi non mi lasceranno ancora alzare, per evitare carichi sulla zona tagliata-spolpata-irradiata-massacrata, ma io sto già di lusso così.
E sono ancora felicemente sola in camera.
Per usare un eufemismo, è un casino.
Il nodulo era fermamente attaccato all'osso e l'ha infiltrato. Hanno rimosso il periostio, la membrana che ricopre l'osso, ed è risultato positivo all'esame istologico.
Ora posso solo sperare che la radioterapia intraoperatoria sia stata efficace e abbia ripulito le cellule tumorali dell'osso. Altrimenti, ci sono buone probabilità che sia questo cancro a uccidermi, non il prossimo.
Mi hanno dovuto staccare anche uno dei muscoli adduttori, ecco spiegata la ferita lunga, ma la funzionalità della gamba non sembra troppo compromessa.
Ho il sospetto che dopo i danni ai nervi dovuti alla radioterapia di nove anni fa, che inizialmente mi avevano ridotto le capacità di movimento proprio degli adduttori, la muscolatura circostante abbia imparato a compensare le carenze di quei muscoli e forse non sentirò troppo la mancanza di quello rimosso. Però potrei anche vincere il tagliando per gli invalidi e un parcheggio riservato vicino all'ufficio.
Non ho chiesto notizie del gluteo.
So che eravate curiosi, ma in quel momento avevo già abbastanza cattive notizie da mandare giù.
Suppongo però che dopo aver visto la situazione dell'inguine, non abbiano nemmeno preso in considerazione di intervenire anche altrove.
Intanto continua l'idillio post-operatorio. Davvero, se non ci siete passati non potete capire quale sollievo sia non avere tubi nel naso né nel collo e potersi già girare sul fianco, bere (acqua e quella cosa che qui chiamano tè), mangiare (ben due fette biscottate!), parlare, tossire...
Probabilmente oggi non mi lasceranno ancora alzare, per evitare carichi sulla zona tagliata-spolpata-irradiata-massacrata, ma io sto già di lusso così.
E sono ancora felicemente sola in camera.
Cronache dal CRO 1 - Intervento
Sveglia poco dopo le cinque del mattino, doccia, verifica di avere tutto e partenza, sotto un cielo ancora stellato, che a poco a poco inizia a scolorare nell'aurora.
Arriviamo con un po' di anticipo, ma l'attesa sulle poltroncine dell'atrio di chirurgia è breve, perché mi chiamano per prima, non per nome, ma con le sole iniziali e l'anno di nascita, una forma di rispetto della privacy che sconfina nel ridicolo, ma non è colpa loro.
Stanza con vista sui monti, dove il bosco non ha ancora la livrea autunnale, ci sono appena le prime sfumature di marrone. Ma soprattutto, stanza dispari, con letto vicino alla finestra da cui si scende sul lato sinistro, quello opposto all'intervento, proprio come speravo.
E, altrettanto importante, l'altro letto è vuoto e lo resterà almeno per oggi.
Inizio subito a litigare con le calze anti trombo, che non ne vogliono sapere di restare al loro posto e si arrotolano sulle cosce, nonostante i ripetuti tentativi di rimetterle a posto: una battaglia persa.
Sono la prima della lista di sala operatoria, vengono a prendermi prima delle 8. Nel trasferimento dal letto alla lettiga di sala sorprendo le infermiere, mostrando un'agilità che probabilmente non si aspettavano in una persona della mia stazza.
Trasmetto al personale le solite indicazioni: allergie, reazioni ai cerotti, richiesta di inserire qualcosa di morbido sotto i talloni, rifiuto assoluto del catetere peridurale, caso mai a qualcuno venisse in mente di usarlo.
Il dolore pizzicante degli aghi che forano le vene sul dorso delle mani è un piccolissimo prezzo che pago più che volentieri, perché questa volta mi viene risparmiato il fastidioso accesso venoso centrale sul collo e non ci saranno piaghe da cerotti.
Rimango cosciente fino alla sistemazione sul tavolo operatorio, con il braccio sinistro steso di lato e pieno di aghi e cannule e il destro legato sul fianco per non intralciare il chirurgo.
Inizia l'infusione dell'anestetico: pochi respiri e la mia coscienza va in stand by, lasciando il personale di sala al proprio lavoro.
Al risveglio, chiedo l'ora: mi dicono che sono passate da poco le 13. È stato un intervento piuttosto lungo.
Un rapido controllo mi conferma quello che avevo già sospettato: non c'è stato intervento sul gluteo. In compenso, la medicazione sulla coscia è molto più lunga di quanto mi aspettassi, ma dovrò aspettare il colloquio con il chirurgo per scoprirne il motivo.
Inizio ad apprezzare la differenza tra un intervento addominale e uno agli arti.
Sento un dolore profondo nella zona operata: non è il taglio, ma i tessuti interni. Ma è niente in confronto alle precedenti operazioni.
E riesco a muovermi, ancora con sufficiente agilità per aiutare nel passaggio di ritorno dalla lettiga al letto.
Niente terapia intensiva, questa volta si torna in camera, dove mi raggiungono Renato e Chiara.
Onde.
Onde di dolore, che si attenuano progressivamente, via via che l'analgesico fa il suo dovere.
Onde di calore, casomai avessi dimenticato la menopausa.
Onde di sonno, a cui mi abbandono volentieri.
Onde di nausea, decisamente meno gradevoli.
Pensieri ondeggianti, tra i residui dell'anestesia e gli antidolorifici.
Ma tutto infinitamente più facile rispetto ai precedenti interventi, anche quando verso metà pomeriggio mi vomito addosso una quantità di succhi gastrici che non sapevo di poter contenere. Un altro prezzo che pago più che volentieri in cambio del sondino naso gastrico, tanto questa volta non fa male, anche se mi dispiace per gli infermieri che hanno dovuto cambiare tutta la biancheria del letto, fino al salva materasso.
Continuo a litigare con la calza sinistra che si arrotola sulla coscia. La destra invece è stata sostituita con un gambaletto, per non coprire la ferita. Un altro piccolo vantaggio.
Il pomeriggio scorre così, ondeggiante tra la gratitudine per questo post-operatorio così poco difficile e l'inquietudine per la mancanza di informazioni sull'intervento e per quel taglio stranamente lungo sulla coscia.
Arriviamo con un po' di anticipo, ma l'attesa sulle poltroncine dell'atrio di chirurgia è breve, perché mi chiamano per prima, non per nome, ma con le sole iniziali e l'anno di nascita, una forma di rispetto della privacy che sconfina nel ridicolo, ma non è colpa loro.
Stanza con vista sui monti, dove il bosco non ha ancora la livrea autunnale, ci sono appena le prime sfumature di marrone. Ma soprattutto, stanza dispari, con letto vicino alla finestra da cui si scende sul lato sinistro, quello opposto all'intervento, proprio come speravo.
E, altrettanto importante, l'altro letto è vuoto e lo resterà almeno per oggi.
Inizio subito a litigare con le calze anti trombo, che non ne vogliono sapere di restare al loro posto e si arrotolano sulle cosce, nonostante i ripetuti tentativi di rimetterle a posto: una battaglia persa.
Sono la prima della lista di sala operatoria, vengono a prendermi prima delle 8. Nel trasferimento dal letto alla lettiga di sala sorprendo le infermiere, mostrando un'agilità che probabilmente non si aspettavano in una persona della mia stazza.
Trasmetto al personale le solite indicazioni: allergie, reazioni ai cerotti, richiesta di inserire qualcosa di morbido sotto i talloni, rifiuto assoluto del catetere peridurale, caso mai a qualcuno venisse in mente di usarlo.
Il dolore pizzicante degli aghi che forano le vene sul dorso delle mani è un piccolissimo prezzo che pago più che volentieri, perché questa volta mi viene risparmiato il fastidioso accesso venoso centrale sul collo e non ci saranno piaghe da cerotti.
Rimango cosciente fino alla sistemazione sul tavolo operatorio, con il braccio sinistro steso di lato e pieno di aghi e cannule e il destro legato sul fianco per non intralciare il chirurgo.
Inizia l'infusione dell'anestetico: pochi respiri e la mia coscienza va in stand by, lasciando il personale di sala al proprio lavoro.
Al risveglio, chiedo l'ora: mi dicono che sono passate da poco le 13. È stato un intervento piuttosto lungo.
Un rapido controllo mi conferma quello che avevo già sospettato: non c'è stato intervento sul gluteo. In compenso, la medicazione sulla coscia è molto più lunga di quanto mi aspettassi, ma dovrò aspettare il colloquio con il chirurgo per scoprirne il motivo.
Inizio ad apprezzare la differenza tra un intervento addominale e uno agli arti.
Sento un dolore profondo nella zona operata: non è il taglio, ma i tessuti interni. Ma è niente in confronto alle precedenti operazioni.
E riesco a muovermi, ancora con sufficiente agilità per aiutare nel passaggio di ritorno dalla lettiga al letto.
Niente terapia intensiva, questa volta si torna in camera, dove mi raggiungono Renato e Chiara.
Onde.
Onde di dolore, che si attenuano progressivamente, via via che l'analgesico fa il suo dovere.
Onde di calore, casomai avessi dimenticato la menopausa.
Onde di sonno, a cui mi abbandono volentieri.
Onde di nausea, decisamente meno gradevoli.
Pensieri ondeggianti, tra i residui dell'anestesia e gli antidolorifici.
Ma tutto infinitamente più facile rispetto ai precedenti interventi, anche quando verso metà pomeriggio mi vomito addosso una quantità di succhi gastrici che non sapevo di poter contenere. Un altro prezzo che pago più che volentieri in cambio del sondino naso gastrico, tanto questa volta non fa male, anche se mi dispiace per gli infermieri che hanno dovuto cambiare tutta la biancheria del letto, fino al salva materasso.
Continuo a litigare con la calza sinistra che si arrotola sulla coscia. La destra invece è stata sostituita con un gambaletto, per non coprire la ferita. Un altro piccolo vantaggio.
Il pomeriggio scorre così, ondeggiante tra la gratitudine per questo post-operatorio così poco difficile e l'inquietudine per la mancanza di informazioni sull'intervento e per quel taglio stranamente lungo sulla coscia.
lunedì 10 ottobre 2016
Pre-ricovero
La
sveglia era puntata alle 6:30, ma mi sono alzata un paio di minuti prima, con Gandalf, ai piedi del letto che reclamava coccole.
La fedele Brontofelpa era pronta nell'armadio, lavata e stirata. Pantaloni
della tuta, t-shirt, calzini morbidi e sneaker senza lacci, tutte cose comode e
veloci da togliere e rimettere, per completare la mia tenuta da ospedale
Niente colazione, era richiesto il digiuno per le analisi del sangue. Ho caricato in macchina armi, bagagli e Gandalf e sono uscita. Vedendolo comodamente acciambellato in salotto, mi ero illusa per un attimo che se ne sarebbe rimasto lì tranquillo, invece appena ho aperto il garage, si è materializzato davanti alla portiera dell'auto. Come ogni mattina. Il messaggio è chiaro: tu-non-te-ne-vai-senza-di-me. Se non lo lascio salire, si piazza dietro la macchina, impedendomi di spostarla.
Niente colazione, era richiesto il digiuno per le analisi del sangue. Ho caricato in macchina armi, bagagli e Gandalf e sono uscita. Vedendolo comodamente acciambellato in salotto, mi ero illusa per un attimo che se ne sarebbe rimasto lì tranquillo, invece appena ho aperto il garage, si è materializzato davanti alla portiera dell'auto. Come ogni mattina. Il messaggio è chiaro: tu-non-te-ne-vai-senza-di-me. Se non lo lascio salire, si piazza dietro la macchina, impedendomi di spostarla.
Appena fuori dal cancello, è andato in scena il consueto teatrino, con me che
cerco di far scendere Gandalf dalla macchina, mentre lui cerca di restare a
bordo, spostandosi da un lato all'altro mentre io lo inseguo aprendo una
portiera dopo l'altra. Come accade la maggior parte delle volte, l'inseguimento
si è concluso nel baule, da cui, dopo aver staccato le unghie con cui cercava
di ancorarsi alla tappezzeria, ho finalmente estratto una palla di pelo grigia
e recalcitrante, che si è istantaneamente trasformata in palla di pelo grigia e
coccolosa, dotata di occhioni imploranti
ti-prego-non-lasciarmi-qui-da-solo-tiprego-tiprego-tiprego! Dopo qualche grattatina consolatoria, ho scaricato la palla di pelo sull'aiola
davanti a casa, dove è rimasta, sconsolata, a guardarmi partire.
Come farò a stare una settimana senza di lui?
Come farò a stare una settimana senza di lui?
Uno sguardo al panorama durante il viaggio: sulla cima della montagna, la prima spruzzata di neve sembrava zucchero a velo, a ricordare che è arrivato l'autunno.
All'arrivo mi sono subito fiondata in zona prelievi, dove è iniziato il gioco di valutare quante persone c'erano prima di me, analisi non banale, perché bisogna capire chi è solo e chi accompagnato da una o talvolta più persone. La stima iniziale di sei è scesa a cinque quando ho capito che le tre donne alla mia destra erano tutte insieme. Nel frattempo è arrivata una coppia giovanissima, meno di trent'anni, che mi ha offerto una delle scene da sala d'attesa più simpatiche a cui abbia assistito in tanti anni. Si sono sistemati sulle ginocchia il raccoglitore rigido che probabilmente conteneva la documentazione sanitaria, hanno tirato fuori un mazzo di carte e iniziato a giocare a scala quaranta. Fantastici.
Prelievo rapido e indolore.
e avanti e indietro...
Mi sono spostata in cardiologia; qualche minuto di attesa per l'accettazione, ma poi mi hanno chiamato subito per l'elettrocardiogramma.
e su e giù...
Trasferimento al piano superiore per la
radiografia del torace. Erano ormai le 9:20 e alle 9:30 avevo l'appuntamento per
l'ecografia del gluteo. Ho informato la tecnica di radiologia, che mi ha suggerito di
andare a fare l'ecografia e tornare dopo.
e su e giù...
Giù di un piano: medicina nucleare. Mi hanno chiamato con quasi un'ora di ritardo e l'esame è stato molto lungo, un po' per la
presenza di uno specializzando, a cui il medico spiegava passo passo tutto ciò
che faceva e il funzionamento della macchina, un po' perché questo nodulo è sfuggente e non vuole saperne di farsi
esaminare. Alla fine il medico ha rinunciato: senza mezzo di contrasto non è
possibile avere una immagine precisa.
e su e giù...
Di nuovo al primo piano per la radiografia, sperando che nel frattempo non mi
avessero dato per dispersa. Pochi minuti di attesa, poi l'esame è stato eseguito.
e avanti e indietro...
Mi sono spostata all'ufficio pre-ricovero, dove un'infermiera che si ricordava di me dal
precedente intervento ha raccolto le informazioni per la scheda chirurgica e mi ha fornito tutte le istruzioni per il ricovero.
Il passaggio successivo era il colloquio con il chirurgo per la raccolta del consenso informato. C'era un medico pronto, ma il primario, che mi ha già operato le due volte precedenti ed eseguirà anche questo intervento, ha voluto parlarmi direttamente.
Non ha fatto sconti. La sede dell'intervento è difficile, la chirurgia radicale impossibile, per la prossimità con organi e tessuti non asportabili. La radioterapia intraoperatoria dovrebbe migliorare l'efficacia della chirurgia, ma da una situazione di plurirecidive come la mia, e con un tumore iniziale ad alto grado di malignità, non ci si possono attendere miracoli: sono molto probabili ulteriori recidive.
Come dire che se non mi uccide questo, lo farà il prossimo. O quello dopo.
Niente
di nuovo, tutti ragionamenti che avevo già fatto per conto mio, ma fa un certo effetto sentirselo dire da un medico.
Il mio primo pensiero è stato che avrei voluto che Renato fosse lì con me. Non per consolarmi o sostenermi, ma perché se l'avesse sentito di persona, mi sarebbe stato risparmiato il peso terribile di doverglielo riferire.
Ho chiesto informazioni anche sull'asportazione del nodulo al gluteo. Il chirurgo mi è sembrato poco propenso al doppio intervento, sia per la complessità della situazione all'inguine, sia per le scarse informazioni disponibili sul gluteo. Ne discuterà domani nella riunione collegiale del gruppo Sarcomi e decideranno insieme come procedere.
e su e giù...
Di nuovo al piano terra, ufficio ricoveri, per le ultime formalità burocratiche.
e avanti e indietro...
Ormai erano le 12:30 e con tutto quell'andirivieni non avevo avuto nemmeno il tempo di fare colazione. Mi sono fermata al bar e davanti a un piatto di pasta fredda e un tramezzino e ho elaborato le brutte notizie.
Morirò? Certo, come tutti.
Morirò di cancro? Molto probabilmente sì, ma non subito. Nel frattempo, meglio continuare a vivere.
Fine dell'elaborazione e archiviazione della pratica.
e su e giù...
Nel primo pomeriggio sono salita al quinto piano per il colloquio con l'anestesista, che non ha rilevato particolari criticità: abile e arruolata!
Come sempre, prima dell'anestesia mi somministreranno un po' di Valium. Ho spiegato all'anestesista che potrebbero anche farne a meno e lei inizialmente aveva inteso che il Valium non mi facesse effetto, ma ho chiarito l'equivoco: intendevo dire che non ne ho bisogno, perché non sono una persona ansiosa. Inoltre, con il ricovero previsto alle 7 di mattina, probabilmente arriverò già in modalità zombie per la levataccia e sarò mezza addormentata prima ancora del Valium. Ci siamo fatte due risate insieme, poi di nuovo al piano terra per tornare a casa, con l'impressione di aver girato come Asterix e Obelix nella Casa che rende folli del bellissimo cartone animato Le 12 fatiche di Asterix: e avanti e indietro... e su e giù...
venerdì 7 ottobre 2016
Gatti sul letto
Le sei del mattino. La mia schiena segnala che devo cambiare posizione.
Inizio a girarmi, ma il piede sinistro incontra un ostacolo. Sarà Gandalf, che dorme quasi sempre vicino ai miei piedi.
Sposto l'altro piede. Un altro ostacolo. Sarà Aki, che qualche volta viene ad acciambellarsi vicino a me.
Cerco di trovare un varco per i piedi tra le due palle di pelo, ma c'è un altro ostacolo all'altezza del ginocchio. Allungo una mano e accarezzo una forma allungata contro la mia gamba; il pelo è quello inconfondibile di Aki, liscio e lucido.
Ma se Aki è al mio fianco e Gandalf vicino al piede sinistro... Apro gli occhi e mi sollevo lentamente per controllare.
Aki si spanciotta per farsi coccolare.
Gandalf continua a dormire.
Shadow mi fissa spaventato, pronto alla fuga.
"Tranquillo, non ti faccio niente, dormi." gli sussurro. In qualche modo, lui capisce e torna ad acciambellarsi. Un altro passo per conquistare la sua fiducia, ma il cammino è difficile: dopo più di due anni, pur avendo acquisito abbastanza confidenza da restare nella stessa stanza con noi e mangiare dalla mia mano, ancora non si lascia toccare.
Il giorno dopo, commento l'episodio con una collega.
"Ma guarda che tipo: viene a letto con me, ma non vuole saperne delle coccole!"
"Beh, è come certi uomini!" risponde lei.
Inizio a girarmi, ma il piede sinistro incontra un ostacolo. Sarà Gandalf, che dorme quasi sempre vicino ai miei piedi.
Sposto l'altro piede. Un altro ostacolo. Sarà Aki, che qualche volta viene ad acciambellarsi vicino a me.
Cerco di trovare un varco per i piedi tra le due palle di pelo, ma c'è un altro ostacolo all'altezza del ginocchio. Allungo una mano e accarezzo una forma allungata contro la mia gamba; il pelo è quello inconfondibile di Aki, liscio e lucido.
Ma se Aki è al mio fianco e Gandalf vicino al piede sinistro... Apro gli occhi e mi sollevo lentamente per controllare.
Aki si spanciotta per farsi coccolare.
Gandalf continua a dormire.
Shadow mi fissa spaventato, pronto alla fuga.
"Tranquillo, non ti faccio niente, dormi." gli sussurro. In qualche modo, lui capisce e torna ad acciambellarsi. Un altro passo per conquistare la sua fiducia, ma il cammino è difficile: dopo più di due anni, pur avendo acquisito abbastanza confidenza da restare nella stessa stanza con noi e mangiare dalla mia mano, ancora non si lascia toccare.
Il giorno dopo, commento l'episodio con una collega.
"Ma guarda che tipo: viene a letto con me, ma non vuole saperne delle coccole!"
"Beh, è come certi uomini!" risponde lei.
martedì 4 ottobre 2016
Davanti alla porta numero 12
Quando arrivo in sala d'attesa, davanti alla porta numero 12 ci sono già quattordici persone, quasi tutti a coppie, solo un paio da soli. Ci sarà da aspettare parecchio.
Oggi sono sola anch'io, non perché non abbia trovato chi mi accompagnasse, ma perché devo fermarmi qui tutto il giorno, per partecipare a un seminario nel tardo pomeriggio, e non volevo costringere nessun altro a questo tour de force. E poi devo solo fare la visita con il mio oncologo, per valutare i risultati della risonanza e programmare l'intervento, non è indispensabile un accompagnatore.
Sulle poltroncine tutti fermi, e silenziosi, con facce serie serie. Non fanno niente. Non leggono, non parlano, non si guardano neanche tra loro, nemmeno quelli che sono in coppia.
Oggi sono sola anch'io, non perché non abbia trovato chi mi accompagnasse, ma perché devo fermarmi qui tutto il giorno, per partecipare a un seminario nel tardo pomeriggio, e non volevo costringere nessun altro a questo tour de force. E poi devo solo fare la visita con il mio oncologo, per valutare i risultati della risonanza e programmare l'intervento, non è indispensabile un accompagnatore.
Sulle poltroncine tutti fermi, e silenziosi, con facce serie serie. Non fanno niente. Non leggono, non parlano, non si guardano neanche tra loro, nemmeno quelli che sono in coppia.
Solo una traffica con il cellulare. Sembra vestita per una serata in discoteca,
con zeppe alte come trampoli, calze nere ricamate, trucco pesante. È arrivata
con un'altra, ma non capisco se sono insieme. L'altra ha vestiti comodi e
faccia acqua e sapone e non si sono nemmeno sedute vicine.
Ho la tentazione di cacciare un urlo, raccontare una barzelletta, fare qualcosa per
rompere quel torpore. Ma non funzionerebbe. Hanno staccato la mente, per
non pensare a cosa li aspetta oltre la porta numero 12.
Entra un uomo con una fasciatura al braccio, che probabilmente copre un accesso venoso, e porta una scia di puzza di fumo, peggio di una capra. Che fumare è già stupido di per sé, ma fumare con il cancro è autolesionismo puro.
Entra un uomo con una fasciatura al braccio, che probabilmente copre un accesso venoso, e porta una scia di puzza di fumo, peggio di una capra. Che fumare è già stupido di per sé, ma fumare con il cancro è autolesionismo puro.
La porta numero 12 si apre ed esce una coppia di anziani. Prima di entrare erano seri e tesi come tutti gli altri, ma evidentemente hanno ricevuto buone notizie perché sorridono e hanno gli occhi che brillano.
Gli altri, ancora zitti e fermi.
Fino all'arrivo delle suore. Due, una decisamente anziana, l'altra comunque non
giovane. Che salutano sorridendo. Che chiacchierano serene tra di loro. Che raccolgono la penna che è
caduta al signore in sedia a rotelle. Che portano una ventata di serenità che
fa bene a tutti, perché l'atmosfera si rilassa e anche gli altri iniziano a scambiare qualche parola.
Io invece leggo. Leggo la storia di un giovane uomo che ha il mio stesso
cognome e che muore di cancro.
È scritta straordinariamente bene, così bene che quasi arrivo a perdonare all'autore l'errore nell'uso di percento al posto di per cento. Anche se ormai non posso più perdonarlo né condannarlo, dato che è morto di cancro.
Non è la mia
storia, non ci assomiglia nemmeno, ma qua è là ci sono elementi che riconosco,
oggi più di ieri, perché sul referto della risonanza c'è una frase che è un
campanello di allarme.
Alterazione del segnale anche sull'osso. Che non è bello, per niente, e apre un
orizzonte inquietante. O meglio, chiude l'orizzonte e lo colora di buio.
La metto subito sulla scrivania del medico, quella frase, quando finalmente arriva il mio turno di entrare dalla porta numero 12. Gli faccio immediatamente presente che non mi piace.
Lui legge attentamente tutto il referto, guarda le immagini al computer e poi mi rassicura: quell'alterazione probabilmente è una sofferenza midollare dovuta alla radioterapia. Speriamo che sia vero, perché altrimenti è un casino. Grosso.
Mi conferma che l'intervento è fissato per il 12. Quasi non ci speravo più, dato che mancano pochi giorni e c'è ancora da fare il pre-ricovero. Dice che per quello mi daranno appuntamento venerdì o lunedì. Per l'operazione invece entrerò in ospedale il giorno stesso, non serve la preparazione che ho fatto le altre volte per la chirurgia addominale.
Mi rispiega i possibili effetti collaterali dell'intervento e della radioterapia intraoperatoria.
Linfedema: praticamente certo perché saranno di nuovo recisi i canali linfatici dell'inguine. Forse con il tempo si creeranno nuovi canali, ma intanto vincerò un abbonamento alla zampazampogna, da gestire con fisioterapia e linfodrenaggi.
Difficoltà di cicatrizzazione: probabili a causa della radioterapia intraoperatoria e della posizione critica dell'incisione, proprio sulla piega dell'inguine.
Neuropatia: non probabile con la dose di radiazioni prevista, ma possibile.
Il resto dipenderà da quanto/cosa si dovrà spolpare.
Rimane l'incognita del nodulo nel gluteo, su cui la risonanza senza il mezzo di contrasto non ha dato informazioni. Nel pre-ricovero sarà aggiunta un'ecografia, per valutarlo.
Ok, andiamo. Sono pronta.