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domenica 23 giugno 2013

Cambio della guardia

Quando frequentavo il poligono di tiro, c'erano alcuni personaggi a cui guardavo con seria preoccupazione.
Alcuni avevano la mania delle armi di grosso calibro: loro non si preoccupavano tanto di centrare il bersaglio, quanto di fare più rumore possibile. La loro frase tipica era "Hai sentito che botto?". Evidentemente avevano qualche piccolezza di altro genere da compensare.

Peggio ancora, c'erano quelli talmente meschini da aver bisogno di un'arma per sentirsi importanti. Alcuni avevano tentato senza successo di entrare nelle Forze Armate o in Polizia, per ripiegare infine come Guardie Giurate in qualche organizzazione di vigilanza privata . Qualunque cosa pur di portare la pistola. Il problema poi è che non vedono l'ora di usarla.

I più pericolosi però si trovano nei poligoni militari. Si sono arruolati perché vogliono esercitare autorità ed ottenere rispetto, ma non hanno le doti per riuscirci senza nascondersi dietro ad una divisa e un'arma e quasi sempre finiscono per infangare l'uniforme che indossano con comportamenti ingiustificatamente violenti, quando non addirittura crudeli. Sono quelli che, in altri tempi, sarebbero stati perfetti nazisti.

Sia ben chiaro che non sto parlando dei militari, dei poliziotti o dei Carabinieri in generale, ma solo di quelle teste calde - e stupide - che entrano nelle forze armate non per tutelare i cittadini onesti, ma solo per cercare l'occasione di sfogare i loro istinti violenti e bestiali.

In questi giorni mi sono resa conto che questi personaggi inquietanti non sono appannaggio esclusivo della specie umana.
Vi ricordate le mie formiche?
Negli ultimi mesi sembrava che avessero cessato le ostilità. Probabilmente si erano integrate con la fauna locale, un po' come il presidio di soldati italiani nell'isola greca del film Mediterraneo: dopo un po' che sei lì, isolato dal mondo, gli abitanti del luogo smettono di apparirti come nemici, inizi a fare amicizia e finisci per integrarti nella comunità.

Almeno fino all'arrivo di qualche commilitone dall'esterno.
Ecco, probabilmente per le mie formiche era andata proprio così: il drappello che era rimasto di presidio un po' per volta si è rilassato, ha deposto le armi, ha fraternizzato.
Qualche giorno fa, però, dev'essere arrivato il cambio della guardia.
E chi ti vanno a mandare?
Proprio la formica nazista, la guerrafondaia, quella che vuole a tutti i costi mostrare i muscoli. E che da due giorni mi morde insistentemente un punto sulla coscia destra.
Bastarda.

venerdì 21 giugno 2013

Benvenuta estate

Benvenuta estate!
Con il caldo afoso, che un minuto dopo la doccia sei già di nuovo appiccicaticcia.
Con le vampate che si quintuplicano e anche di più.
Con la pressione che scende sotto le scarpe.
Con poco lavoro, ma nessuna prospettiva di ferie all'orizzonte.
Con il raffreddore, la tosse, il mal di gola e la febbre.

Ma cosa si può desiderare di più?

sabato 15 giugno 2013

Galeotto fu il libro...

Quasi tre mesi per finire un libro di circa 900 pagine. Non ci siamo.
Io che ho sempre divorato romanzi come fossero patatine, golosamente, uno dietro l'altro. Che da bambina mi arrampicavo sull'albero in casa dei nonni con un libro e passavo ore appollaiata tra i rami a leggere. Che giravo per casa con il libro in mano, pronta ad aprirlo mentre aspettavo che bollisse l'acqua per la pasta. Che facevo le ore piccole per vedere come andava a finire.

Ultimamente giravo con il tablet e a letto, prima di dormire, facevo un nonogram oppure qualche partita a sudoku o a Ruzzle, e di quel libro leggevo sì e no un paio di pagine al giorno.
Cominciavo a pensare che la tecnologia mi avesse fatto perdere la testa.
Invece l'altroieri ho finalmente finito il libro che stavo leggendo e ne ho iniziato un altro e oggi sono già a pagina 120, nonostante ieri sia stata fuori tutto il giorno.
Non ero io che avevo qualcosa che non andava, era il libro.
Meno male.


PS: il libro in questione non era un saggio di filosofia né un testo di fisica quantistica, ma un fantasy, uno dei generi più leggeri che si possano immaginare, e aveva pure ottime recensioni da parte dei lettori. Non era nemmeno scritto male, ma l'ho trovato terribilmente complicato e noioso.

lunedì 10 giugno 2013

Io so perché

Casomai non ve ne siate accorti, vi comunico che piove.
Riporto una citazione molto azzeccata letta su Facebook qualche settimana fa: "Non può piovere per sempre. Però ci sta provando". E con molto impegno, aggiungerei io.


Non solo: fa pure freddino.
Un'altra citazione appropriata, sempre da Faccialibro: "L'ultima volta che ho visto un maggio come questo, era novembre".
E pensare che quando ero alle superiori, il bagno al mare il primo maggio era una consuetudine. Se mi fossi azzardata, quest'anno credo che avrei potuto incontrare pinguini e orsi polari.

Mi sono ridotta a scrivere post di banalità meteorologiche, e per giunta riciclate? Ohibò!
In realtà volevo semplicemente far notare che una primavera come quella che sta per finire (e meno male...) è decisamente insolita. Inusuale. Atipica. Strana. Anomala.
Le teorie si sprecano: ambientalisti che denunciano il riscaldamento globale (ma non avevamo detto che fa freddo?), fanatici complottisti che accusano "i governi" (quali???) di modificare il clima (perché???) attraverso le scie chimiche (sono le normali scie di condensa degli aerei, ma non diteglielo altrimenti vi piantano un pistolotto infarcito di sciocchezze pseudoscientifiche e non se ne esce più).
I meteorologi sfornano tonnellate di statistiche che confrontano le temperature e le precipitazioni degli ultimi duemila anni. Immagino che ai tempi di Giulio Cesare ci fosse Caius Edmundus Bernaccus che rilevava questi dati ad uso e consumo dei posteri, perché altrimenti non mi spiego come si possano fare confronti con epoche così lontane, nelle quali - per inciso - non esistevano i termometri.

Ma io non ho bisogno di queste cose. Io conosco la verità.
Io so perché abbiamo avuto un mese di maggio così particolare.
È accaduta una cosa inaudita, eccezionale.
L'INPS mi ha mandato il verbale della visita di revisione dell'invalidità in poco più di trenta giorni.
Non solo. Invece del solito modulo prestampato, compilato a mano con grafia più o meno illeggibile, mi sono arrivati ben due documenti scritti al computer. Il primo è un certificato completo di tutte le informazioni cliniche rilevanti (ebbene sì, hanno preso nota di tutte le magagne che ho segnalato, incluse la protrusione discale e l'ipoacusia), l'altro invece riporta solo il grado di invalidità riconosciuto e una motivazione sintetica e rispettosa della privacy, in modo da poter dimostrare la condizione di disabilità senza far sapere i fatti miei a chiunque.
Ora ditemi se dopo queste mirabolanti novità non c'era da temere qualche evento insolito.
Io penso che sia una fortuna se ce la caviamo solo con un paio di mesi di pioggia: mi aspettavo come minimo un'invasione degli alieni o uno tsunami nel fosso dietro casa.

Se il ricevimento del certificato è stato una sorpresa, il suo contenuto è più o meno quello che mi aspettavo: mi hanno ridotto la percentuale di invalidità dal 75% al 50%. Mi sembra una valutazione equa rispetto alle limitazioni fisiche che mi sono rimaste.
L'altra novità è che non è più prevista la revisione. Significa che questa percentuale me la tengo per il resto della vita, a meno che non mi pigli qualche altra magagna che comporti un aggravamento. Ma anche no, eh? Ho già dato...
Ho perso l'unico beneficio economico che avevo: l'esenzione dal ticket per le prestazioni non collegate alla patologia oncologica. Però rientro ancora nelle categorie per le quali sono previste quote di assunzione obbligatoria per le aziende, cosa che potrebbe facilitarmi nel caso in cui mi venisse il ghiribizzo - o la necessità - di tornare a lavorare come dipendente.
Direi che va bene così.

Mi ha colpita invece la motivazione riportata sul certificato sintetico: "intervento chirurgico mutilante".
Non l'avevo mai considerato in questi termini, non avevo associato il termine "mutilazione" alla mia situazione. Eppure è vero: dall'esterno non si vede, ma mi hanno tolto qualche pezzo e di quelli che sono rimasti, qualcuno non funziona più tanto bene.
L'asportazione delle ovaie per me significava maternità negata, un concetto più psicologico che materiale e non ho considerato il linfocele o ai danni ai nervi tanto come lesioni fisiche, quanto come elementi che limitano la mia mobilità.
In sostanza, non mi ero mai soffermata a valutare i danni sul corpo, ma solo i loro effetti su ciò per cui quel corpo mi serve. Ennesima conferma del fatto che per me il corpo è principalmente il contenitore della mente, lo strumento attraverso cui l'intelletto agisce e si manifesta.

venerdì 7 giugno 2013

Diari di viaggio - 3

Quasi un mese dall'ultimo post: accidenti, che pigrotta!
Potrei dire che non ho avuto tempo, ma sarebbe vero solo in parte. Ci sono stati tanti impegni, tra lavoro e teatro (a proposito: la prima del nostro Tartufo ha ricevuto ottimi consensi di pubblico), ma un'oretta per scrivere un post la potevo trovare di sicuro. E ne avevo voglia, anche.
Ho mille pensieri e parole che si inseguono e si ammassano, pronti per uscire; da riempire quattro post, altro che uno. Solo che non riuscivo a raccogliere la concentrazione necessaria per metterli in ordine.
Prendo atto, per l'ennesima volta, che le mie energie fisiche e mentali sono come i miei globuli bianchi: dopo il crollo di cinque anni fa, non sono più ancora riuscite a tornare a livelli normali. Amen.
Spero che almeno la memoria non mi tradisca, perché ho ancora un weekend in trasferta da raccontare.

Sabato 4 maggio, tarda mattinata: siamo in partenza per Monza.
Una sera di paio di mesi fa avevo ricevuto una telefonata, una voce di bimba: "Pronto, sono Martina. Vieni alla mia Comunione il 5 maggio?". Certo che ci vengo, raggio di sole!
Sono rientrata martedì da Roma, ma è già ora di rifare la valigia. Ho aspettato fino all'ultimo momento, perché ormai conosco l'effetto che questa attività ha sul Ciccio: panico. Non serve nemmeno tirare fuori il trolley, ormai basta che mi veda piegare i vestiti e inizia ad agitarsi, assumendo l'espressione da mi-lasciate-qui-triste-solo-e-abbandonato. Che non è vero nemmeno questa volta: staremo via poco più di ventiquattr'ore, torniamo domani, ma la nostra splendida gatto-sitter stasera verrà a fargli una visitina.
Prima o poi però questo benedetto trolley bisogna riempirlo. Ed ecco come va a finire...
Alla fine mi devo spostare sopra al comò per completare l'operazione, perché dopo aver estratto il felino dal trolley, non faccio in tempo ad allungare la mano per prendere la biancheria da metterci, che lui è di nuovo dentro.

La partenza verso l'ora di pranzo si rivela un'ottima scelta: traffico praticamente inesistente. L'unico fastidio, in un'autostrada semideserta, sono gli idioti che fingono di non vedere i tabelloni luminosi che ricordano l'obbligo di occupare la corsia libera più a destra. Evidentemente temono che viaggiare in prima corsia (vuota!) possa in qualche modo compromettere la loro virilità e li trovi ostinatamente piazzati in corsia di sorpasso anche quando non stanno sorpassando nessuno e viaggiano veloci come bradipi impagliati. Lo so che ci sono crimini peggiori a questo mondo. Però li odio.

A Monza ci attendono Martina, la sua sorellina Chiara, mia cugina Maria Cristina e suo marito Lorenzo.
Lorenzo deve occuparsi del pranzo di domani: c'è da passare in pasticceria a ritirare la torta e portarla al ristorante. Noi invece abbiamo in programma una passeggiata con Maria Cristina e le bimbe a Villa Reale. Il mio obiettivo è il roseto: non sono mai riuscita a vederlo nel periodo della fioritura e visto che siamo a maggio... Macché, è troppo presto, la fioritura non è ancora iniziata. Peccato, ma i Giardini Reali meritano comunque una visita.

Chiamarli "giardini" è riduttivo perché sono molto vasti, ma serve a distinguerli dal parco, che è immenso e contiene l'autodromo in cui si corre il Gran Premio di Formula 1.
Qualche anno fa, in occasione di un'altra visita, una delle guardie ecologiche ci spiegò che si tratta di un enorme giardino botanico, ricco di varietà rare.

La giornata è splendida ed è un vero piacere passeggiare sull'erba ammirando gli splendidi alberi secolari.

Torniamo a casa in tempo perché Martina possa prepararsi alla giornata di domani, mentre io leggo qualche favola a Chiara. Ceniamo tutti assieme, giochiamo ancora un po' con le bimbe, un po' di chiacchiere con Cri e Lorenzo e poi tutti a nanna.
La domenica mattina sembra smentire le previsioni del tempo, che indicavano pioggia: c'è un sole splendido. Raggiungiamo a piedi la chiesa in cui dodici anni fa ho fatto da testimone alle nozze di Maria Cristina e Lorenzo. Ricordo benissimo quel giorno: arrivammo da Portogruaro con due macchine di zie e cugini, io con l'abito di seta disteso sulla cappelliera per non sgualcirlo prima della cerimonia. Raggiungemmo direttamente la chiesa e da lì telefonai alla sposa per avvertirla del nostro arrivo e - soprattutto - per accertarmi che fosse tranquilla e convinta della sua scelta. Lo era, senza alcun dubbio: Cri è stata la sposa più bella che io abbia mai visto, il ritratto della felicità. E oggi è una moglie felice e una mamma meravigliosa, che durante la cerimonia si commuove nel vedere la sua primogenita con la veste bianca, ancora così piccola eppure già così grande. Davvero sono già passati nove anni dal suo arrivo frettoloso, in anticipo, allo scadere dell'ottavo mese di gravidanza?

Alla fine della Messa ci spostiamo al ristorante, dove ci attende un buffet sfizioso. Martina scarta sorridente  i suoi regali, orgogliosa del suo ruolo da protagonista della giornata, mentre la piccola Chiara non si rassegna a restare in secondo piano e dichiara con decisione al gestore del ristorante che oggi è la sua festa.
Durante il pranzo il cielo si è rannuvolato, è caduta anche qualche goccia di pioggia: alla fine le previsioni dei meteorologi si sono rivelate corrette.
Ci fermiamo ancora un po' a casa di Cri e Lorenzo, poi arriva l'ora di rimettersi in viaggio per tornare a casa.

Per un po' mi illudo di essere riuscita a sfuggire al maltempo, ma a Peschiera un violento acquazzone distrugge ogni speranza. Procediamo lentamente, mentre l'acqua si riversa a secchiate sul parabrezza, ma fortunatamente dopo qualche chilometro la situazione migliora e proseguiamo tranquilli fino a Mestre, quando vedo profilarsi sullo sfondo nuvoloni neri che non promettono nulla di buono.
Renato, dal sedile del passeggero, me li indica osservando che probabilmente là in fondo c'è un bel temporale. Già - rispondo io - e noi ci stiamo andando dritti dritti in mezzo...
Abbiamo ragione entrambi.
Poco dopo aver lasciato la comodità delle tre corsie del Passante per imboccare un tratto di lavori in corso, con due sole corsie a larghezza ridotta e senza corsia di emergenza, ci troviamo nel bel mezzo di una tempesta di acqua, vento e grandine. Procediamo incolonnati a passo d'uomo per qualche centinaio di metri, poi qualche genio decide di fermarsi sotto ad un cavalcavia, bloccando completamente tutta l'autostrada e lasciandoci per una decina di minuti fermi sotto la grandine battente, a pregare che non faccia troppi danni all'auto.
Finalmente il temporale si attenua e riusciamo a ripartire: ancora una cinquantina di chilometri e siamo a casa, dove ci aspetta il Sua Maestà.