In questi giorni stavo elaborando un post sulle rose, sul fatto che la fioritura di questo periodo mi riporta alla mente tanti ricordi.
E invece eccomi a parlare di spine, di dolore pungente, assurdo, che picchia, morde, si attacca al cuore e non se ne vuole andare.
Scava nei miei pensieri, cerca uno sfogo e non lo trova. Non riesco a trasformarlo in parole né in azioni, non riesco nemmeno a trasformarlo in rabbia.
Mi sento inutile di fronte alla sofferenza di un'amica, impotente davanti all'angoscia di una mamma, piccola al cospetto della grandezza di questa donna.
Ancora una volta leggendo ciò che scrive mi incanta la sua tenace dolcezza, quel tocco delicato che il suo cuore grande riesce a dare anche alle parole più difficili, perché si preoccupa di non farle pesare su di noi che le leggiamo.
Sapete? Alla fine mi viene ancora in mente una rosa.
Ma non una rosa qualunque: una rosa ben precisa, che ho visto tanti anni fa nella casa in cui sono cresciuta, e che non ho mai dimenticato.
C'era un rosaio rampicante sul muro esterno della mia camera e tra una potatura e l'altra i rami a volte arrivavano a toccare il vetro della mia finestra; da maggio in poi, per tutta l'estate, era un'esplosione di colori, giallo e rosa, e di profumo.
Ormai però era novembre, la stagione della fioritura era finita da un pezzo, faceva freddo ed era arrivata anche la neve. Ma una mattina in mezzo alla neve che si era posata sul davanzale della mia finestra è sbocciata una rosa.
Era un po' più piccola delle sue sorelle estive e non aveva i loro colori accesi: era di un rosa pallidissimo, quasi bianco. Ma era lì, in mezzo alla neve di novembre, incredibile, ostinatamente bella e profumata, delicata eppure fortissima.
Ho ammirato senza riserve il suo coraggio e la sua bellezza, il suo essere diversa e unica.
E oggi mi inchino davanti alla dignità di questa donna, allo splendore di questa rosa che l'inverno non riesce ad offuscare. E se mi scivolerà una lacrima, facciamo finta che sia una goccia di rugiada.
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martedì 29 maggio 2012
mercoledì 9 maggio 2012
Mutanti tecnologici?
Dicono che le persone si possano classificare come gufi oppure allodole, a seconda che siano più attive alla sera oppure al mattino: io sono, senza ombra di dubbio, un gufo.
Alle superiori mi capitava spesso di studiare di notte, perché al pomeriggio ero quasi sempre impegnata in palestra, come giocatrice e allenatrice di pallavolo, a volte anche per 5 o 6 ore nella stessa giornata.
All'università, ho realizzato quasi tutta la mia tesi di laurea di notte; a volte mi capitava di svegliarmi all'una o alle due con un'idea in mente e allora mi alzavo, accendevo il computer e andavo avanti a svilupparla per ore.
Tuttora preferisco lavorare alla sera, anche fino a notte fonda: sono più produttiva e più creativa; anche i miei post sul blog nascono spesso nelle ore notturne.
Per contro, al mattino sono uno zombie. Anche se sono andata a dormire prestissimo la sera prima, non c'è niente da fare: svegliarmi prima delle 8 - 8:30 fa di me poco più di un cadavere ambulante. Quindi, se posso, al mattino dormo fino a tardi.
Alle superiori mi capitava spesso di studiare di notte, perché al pomeriggio ero quasi sempre impegnata in palestra, come giocatrice e allenatrice di pallavolo, a volte anche per 5 o 6 ore nella stessa giornata.
All'università, ho realizzato quasi tutta la mia tesi di laurea di notte; a volte mi capitava di svegliarmi all'una o alle due con un'idea in mente e allora mi alzavo, accendevo il computer e andavo avanti a svilupparla per ore.
Tuttora preferisco lavorare alla sera, anche fino a notte fonda: sono più produttiva e più creativa; anche i miei post sul blog nascono spesso nelle ore notturne.
Per contro, al mattino sono uno zombie. Anche se sono andata a dormire prestissimo la sera prima, non c'è niente da fare: svegliarmi prima delle 8 - 8:30 fa di me poco più di un cadavere ambulante. Quindi, se posso, al mattino dormo fino a tardi.
Nel periodo in cui ho lavorato come dipendente ero necessariamente vincolata agli orari d'ufficio, ma da quando mi sono messa in proprio, ormai 13 anni fa, ai miei clienti capita spesso di ricevere mail spedite a tarda sera o anche nel cuore della notte.
È una mia scelta, lo faccio perché ho la possibilità di organizzarmi il lavoro con una grande flessibilità e mi va bene così.
Ultimamente però mi accade sempre più spesso una cosa che mi sconcerta e un po' mi preoccupa: mi arrivano risposte alle mail di lavoro anche all'ora di cena, oppure nei giorni festivi; proprio stasera ne ho ricevuta una alle 20:49 e un'altra alle 22:20.
In fondo a queste mail "fuori orario" di solito c'è scritto Sent from my iPhone.
Ovviamente non ho nulla contro la tecnologia né contro gli iPhone, ci mancherebbe, però mi viene spontaneo chiedermi se questo utilizzo della tecnologia sia davvero un bene.
Perché quelli che mi hanno scritto stasera non sono liberi professionisti come me, ma dipendenti, che non dormono fino a tardi alla mattina e il cui orario di lavoro dovrebbe terminare alle 18.
Io sono un gufo per natura e per scelta, ma non vorrei che qualcuno lo diventasse suo malgrado a causa di un telefono.
E adesso vado a lavorare, che è quasi mezzanotte.
giovedì 3 maggio 2012
Di umiliazioni, nudità e occasioni
Ieri ho dovuto passare il pomeriggio sul divano e anche adesso sono qui. Un po' perché il mio studio è inagibile, un po' perché la palla, le formiche e i capogiri hanno deciso così.
In questi giorni in casa ci sono i pittori per tinteggiare gli interni, che ne hanno davvero bisogno. Avrei dovuto decidermi prima, ho tergiversato un bel po' prima di rassegnarmi a chiamare dei professionisti, perché l'ultima volta la cucina e la camera da letto ce le eravamo imbiancate da soli, con costi decisamente contenuti. Ma erano altri tempi.
Tempi in cui potevo pulire tutta la casa anche da sola. Tempi in cui l'unico limite alla quantità di lavoro manuale che riuscivo a svolgere era il tempo a disposizione. Una vita fa.
Mi rode non riuscirci più, ma è un dato di fatto: me ne sono resa conto una volta di più in questi giorni, preparando le stanze per la tinteggiatura.
C'era da svuotare una libreria, la più piccola del mio studio, per poterla spostare e ridipingere anche la parete che c'è dietro; le altre, quelle grandi, restano dove sono e amen. C'erano da liberare tutti i piani dagli oggetti che avrebbero potuto intralciare il lavoro dei pittori e da togliere i quadri dalle pareti. Bisognava sgomberare le stanze, svuotarle più possibile.
E dopo c'era da passare l'aspirapolvere e spolverare tutto per bene, non perché ci tenessi a far trovare la casa pulita a questi estranei che per qualche giorno metteranno il naso in ogni angolo, ma perché la polvere è nemica di pennelli e pitture. E poi un'occasione come questa per pulire il retro dei mobili più grandi non mi ricapiterà più per un bel po'.
Attività magari poco consuete, ma in termini di carico di lavoro, niente di più delle pulizie a fondo che fa una normale casalinga.
Non ho nemmeno fatto tutto da sola: Renato mi ha aiutato a spostare qualche mobile e soprattutto a trasferire in garage quei due o tre quintali di cose che avevo nella libreria, che mai avrei pensato che in quelle due ante di larghezza per due metri e mezzo di altezza ci potesse stare tutta quella roba.
Ma che fatica... Un paio di volte mi è toccato posare qualcosa di pesante che avevo in mano per via di una fitta ai muscoli dell'addome, proprio in corrispondenza delle cicatrici; un dolorino, niente di che, ma insidioso, che faceva presagire danni più seri se mi fossi incaponita a reggere quel peso. Mi sono dovuta fermare un sacco di volte e sedermi oppure stendermi perché iniziava a girarmi la testa, restare lì per un po', aspettare di recuperare le forze mentre il tempo passava e il lavoro non andava avanti. Frustrante.
Mi sono anche misurata la pressione, stamattina, convinta di averla sotto le scarpe. Invece no, un bel 105-70 che per me è perfettamente normale. Ne deduco che i giramenti di testa arrivano semplicemente perché faccio sforzi superiori alle mie possibilità, che è avvilente, considerato che non si tratta certamente di imprese titaniche.
E poi ci si sono messe anche le formiche e la palla, irritate da quel poco di movimento che sono riuscita a fare tra un capogiro e l'altro.
Il Ciccio è preoccugattissimo da tutto questo movimento, ogni volta che in casa ci sono grandi manovre ha paura che siano il preludio di qualche nostra assenza e ci sorveglia con particolare attenzione; secondo me si aspetta da un momento all'altro di veder comparire le valigie, segno allarmante e inequivocabile di un viaggio imminente. Cerchiamo di rassicurarlo con dosi supplementari di coccole, ma con poco successo; d'altronde anche prima di un viaggio gli facciamo un sacco di carezze, quindi non posso dargli torto se non si fida.
Siamo a buon punto.
Ieri, all'arrivo dei pittori le stanze del piano di sopra erano tutte pronte e oggi mi sto occupando del piano terra, che è un po' più semplice, le cose da spostare non sono molte. Sempre a rate però, fermandomi ogni poco a riposare; e stamattina ho dovuto chiedere a Renato di andare a fare la spesa, perché non ero tanto sicura di riuscire a camminare a lungo tra gli scaffali dell'ipermercato.
Mi pesa questo continuo dover chiedere aiuto, perché da sola non ce la faccio, è umiliante, mi fa rabbia; finisce che divento scontrosa e irritabile, in questi giorni ho un grugno che... be', non vi auguro di capitarmi a tiro.
La casa è tutta sottosopra, sembra ci sia un trasloco in corso, con i mobili spostati e gli oggetti accatastati in garage. Le uniche zone indenni sono la cucina, che sarà liberata solo all'ultimo momento, e la libreria grande del salotto, troppo pesante anche solo per pensare di spostarla.
Tutto il resto è nudo: ripiani vuoti, pareti spoglie su cui al piano terra si intravede ancora il segno dei quadri, mentre di sopra è già quasi tutto imbiancato.
È strana, questa casa nuda.
Ma il vuoto non mi fa paura, è solo un invito, uno stimolo a riempire di nuovo, a rimettere le cose al loro posto, o forse a trovare loro un posto migliore, magari dopo aver gettato quello che non serve.
Come quando nella vita arriva un grande cambiamento: si fa fatica ad affrontarlo, bisogna lasciare indietro tutto ciò che non è essenziale e, dopo, le cose non sono più come prima. Ma si può cercare di farlo diventare una buona occasione.
Ah, se dal titolo vi aspettavate un post dal contenuto pruriginoso, se non addirittura osé... vi ho imbrogliati bene!
In questi giorni in casa ci sono i pittori per tinteggiare gli interni, che ne hanno davvero bisogno. Avrei dovuto decidermi prima, ho tergiversato un bel po' prima di rassegnarmi a chiamare dei professionisti, perché l'ultima volta la cucina e la camera da letto ce le eravamo imbiancate da soli, con costi decisamente contenuti. Ma erano altri tempi.
Tempi in cui potevo pulire tutta la casa anche da sola. Tempi in cui l'unico limite alla quantità di lavoro manuale che riuscivo a svolgere era il tempo a disposizione. Una vita fa.
Mi rode non riuscirci più, ma è un dato di fatto: me ne sono resa conto una volta di più in questi giorni, preparando le stanze per la tinteggiatura.
C'era da svuotare una libreria, la più piccola del mio studio, per poterla spostare e ridipingere anche la parete che c'è dietro; le altre, quelle grandi, restano dove sono e amen. C'erano da liberare tutti i piani dagli oggetti che avrebbero potuto intralciare il lavoro dei pittori e da togliere i quadri dalle pareti. Bisognava sgomberare le stanze, svuotarle più possibile.
E dopo c'era da passare l'aspirapolvere e spolverare tutto per bene, non perché ci tenessi a far trovare la casa pulita a questi estranei che per qualche giorno metteranno il naso in ogni angolo, ma perché la polvere è nemica di pennelli e pitture. E poi un'occasione come questa per pulire il retro dei mobili più grandi non mi ricapiterà più per un bel po'.
Attività magari poco consuete, ma in termini di carico di lavoro, niente di più delle pulizie a fondo che fa una normale casalinga.
Non ho nemmeno fatto tutto da sola: Renato mi ha aiutato a spostare qualche mobile e soprattutto a trasferire in garage quei due o tre quintali di cose che avevo nella libreria, che mai avrei pensato che in quelle due ante di larghezza per due metri e mezzo di altezza ci potesse stare tutta quella roba.
Ma che fatica... Un paio di volte mi è toccato posare qualcosa di pesante che avevo in mano per via di una fitta ai muscoli dell'addome, proprio in corrispondenza delle cicatrici; un dolorino, niente di che, ma insidioso, che faceva presagire danni più seri se mi fossi incaponita a reggere quel peso. Mi sono dovuta fermare un sacco di volte e sedermi oppure stendermi perché iniziava a girarmi la testa, restare lì per un po', aspettare di recuperare le forze mentre il tempo passava e il lavoro non andava avanti. Frustrante.
Mi sono anche misurata la pressione, stamattina, convinta di averla sotto le scarpe. Invece no, un bel 105-70 che per me è perfettamente normale. Ne deduco che i giramenti di testa arrivano semplicemente perché faccio sforzi superiori alle mie possibilità, che è avvilente, considerato che non si tratta certamente di imprese titaniche.
E poi ci si sono messe anche le formiche e la palla, irritate da quel poco di movimento che sono riuscita a fare tra un capogiro e l'altro.
Il Ciccio è preoccugattissimo da tutto questo movimento, ogni volta che in casa ci sono grandi manovre ha paura che siano il preludio di qualche nostra assenza e ci sorveglia con particolare attenzione; secondo me si aspetta da un momento all'altro di veder comparire le valigie, segno allarmante e inequivocabile di un viaggio imminente. Cerchiamo di rassicurarlo con dosi supplementari di coccole, ma con poco successo; d'altronde anche prima di un viaggio gli facciamo un sacco di carezze, quindi non posso dargli torto se non si fida.
Siamo a buon punto.
Ieri, all'arrivo dei pittori le stanze del piano di sopra erano tutte pronte e oggi mi sto occupando del piano terra, che è un po' più semplice, le cose da spostare non sono molte. Sempre a rate però, fermandomi ogni poco a riposare; e stamattina ho dovuto chiedere a Renato di andare a fare la spesa, perché non ero tanto sicura di riuscire a camminare a lungo tra gli scaffali dell'ipermercato.
Mi pesa questo continuo dover chiedere aiuto, perché da sola non ce la faccio, è umiliante, mi fa rabbia; finisce che divento scontrosa e irritabile, in questi giorni ho un grugno che... be', non vi auguro di capitarmi a tiro.
La casa è tutta sottosopra, sembra ci sia un trasloco in corso, con i mobili spostati e gli oggetti accatastati in garage. Le uniche zone indenni sono la cucina, che sarà liberata solo all'ultimo momento, e la libreria grande del salotto, troppo pesante anche solo per pensare di spostarla.
Tutto il resto è nudo: ripiani vuoti, pareti spoglie su cui al piano terra si intravede ancora il segno dei quadri, mentre di sopra è già quasi tutto imbiancato.
È strana, questa casa nuda.
Ma il vuoto non mi fa paura, è solo un invito, uno stimolo a riempire di nuovo, a rimettere le cose al loro posto, o forse a trovare loro un posto migliore, magari dopo aver gettato quello che non serve.
Come quando nella vita arriva un grande cambiamento: si fa fatica ad affrontarlo, bisogna lasciare indietro tutto ciò che non è essenziale e, dopo, le cose non sono più come prima. Ma si può cercare di farlo diventare una buona occasione.
Ah, se dal titolo vi aspettavate un post dal contenuto pruriginoso, se non addirittura osé... vi ho imbrogliati bene!