Dopo aver tergiversato per qualche giorno, ieri mi sono rassegnata a riaccendere la caldaia per attivare il riscaldamento.
Negli ultimi tre o quattro anni le temperature autunnali particolarmente miti mi avevano permesso di rinviare questo appuntamento di almeno un mese, addirittura una volta, mi pare tre anni fa, ricordo di aver avviato l'impianto l'ultimo fine settimana di novembre: certo qualche giornata fredda c'era stata anche prima, ma era stato sufficiente accendere il caminetto per qualche ora.
Di solito, i pannelli solari sono più che sufficienti a fornirci acqua calda almeno da fine aprile a fine ottobre, a meno che non ci siano molte giornate di pioggia consecutive, per cui la caldaia può restare completamente spenta per circa sei mesi, con un discreto vantaggio economico ed ambientale, e riaccenderla è sempre un dispiacere.
Ora però, è quasi una sconfitta.
Sono circondata da persone che sembrano insensibili al freddo: Renato è capace di andarsene a spasso a gennaio solo con la camicia e una giacca in pelle, mia madre gira abitualmente per la cucina in magliettina di cotone anche in pieno inverno.
Anch'io una volta sopportavo bene il freddo: quando ero al liceo e vivevo a casa dei miei nonni, studiavo in una stanza con 16-17° (ma ero giovane...) e fino a due anni fa riuscivo benissimo a sopravvivere in casa con una temperatura di 18-19°, bastavano abiti pesanti.
Ora non più.
Mentre facevo chemio e radioterapia, ho sofferto pesantemente il freddo: ricordo pomeriggi di dicembre sul divano, con il caminetto acceso e il fuoco sovralimentato, temperatura della stanza intorno ai 26°, mentre io, vestita con maglione, pantaloni e berretto di pile e coperta da un caldissimo piumone altoatesino più un plaid, tremavo e battevo i denti, con Renato che mi abbracciava per riscaldarmi e potevo quasi toccare il suo dolore per il fatto di vedermi così debole. Normale, probabilmente, considerando che il mio sangue era spaventosamente impoverito.
Però anche quando i valori sono tornati quasi a posto (ci sono sempre quei globuli bianchi sotto 4.000...), mi è rimasta una maggiore sensibilità al freddo.
Ho sempre sostenuto che quando c'è freddo, bisogna innanzitutto coprirsi: trovo irritanti le donne che si lamentano del freddo indossando gonne corte, calze velate, magliettina scollata e scarpine con tacchi a spillo.
Il mio abbigliamento invernale prevede maglioni di pile (meravigliosa invenzione, dato che la mia pelle non sopporta il contatto con la lana), pantaloni di tessuto jeans pesante, velluto, felpa o pile, calzettoni e scarponcini. E per uscire, piumino, sciarpa, berretto e guanti
Adesso però mi capita di trovarmi infreddolita anche se nella stanza ci sono 21° e indosso abiti pesanti, una cosa inaudita, una debolezza che fatico ad accettare, un'altra batosta per il mio orgoglio.
Ho dovuto aumentare anche le coperte sulla mia parte del letto.
Renato ha una temperatura corporea straordinariamente elevata e anche in pieno inverno gli basta un piumino da mezza stagione; per fortuna, è anche molto gentile e disponibile a condividere con me il suo calore quando arrivo a letto con i piedi gelati, le "zampe Findus", come le chiama lui.
Fino a due anni fa, io aggiungevo dalla mia parte del letto una trapuntina e un plaid e con un pigiama pesante ero a posto.
Ora nella mia metà di letto, sopra al piumino da mezza stagione c'è il già citato piumone altoatesino, 20 centimetri di ottimo piumino d'oca, talmente caldo che in passato lo usavo - da solo - soltanto con i termosifoni della camera rigorosamente spenti e temperature interne che potevano scendere anche sotto i 10°. E ora quando Renato si alza alle 6:30, privandomi del suo "effetto stufa", ci aggiunge sopra anche un ulteriore plaid.
Fa tanto effetto "casa di riposo"... ma, come dico sempre, diventare vecchia è una bella cosa: significa che sono ancora viva.